La storia

Samuel Guerra e il futuro dopo l’hockey: «Ci penso da anni per evitare salti nel buio»

Per la transizione professionale post carriera dei suoi giocatori, l’HC Lugano collabora con una società specializzata - Ne abbiamo parlato con il difensore bianconero
© Keystone/Pablo GIaninazzi
Fernando Lavezzo
23.06.2023 16:48

Quando la carriera sportiva finisce, ogni atleta deve affrontare una nuova sfida. Gli obiettivi vanno ridefiniti. Per alcuni è un salto nel buio. Altri, avendo pianificato per tempo il futuro, vivono il passaggio con serenità. Per favorire la transizione professionale dei propri giocatori, l’HC Lugano ha deciso di collaborare con la società specializzata von Rundstedt & Partner. Samuel Guerra, difensore bianconero, ha già usufruito dei loro servizi. Con lui parliamo di problematiche e opportunità legate al post carriera.

Maggiore consapevolezza

Trent’anni compiuti da poco e una buona stagione alle spalle. Nel futuro di Samuel Guerra, infortuni permettendo, c’è ancora tanto hockey. «Ma da almeno cinque stagioni sto pensando a cosa farò da grande», confessa il difensore ticinese. «Credo che ci sia sempre più sensibilità sull’importanza di prepararsi alla vita dopo l’hockey. Per i giocatori delle generazioni precedenti alla mia non era un tema. Nei miei primi anni di carriera non sentivo nessuno parlare di piani B. I più giovani, invece, sono consapevoli di doversi preparare a un domani senza sport. In certe realtà è più facile, in altre meno. Soprattutto a Davos, dove ho giocato a lungo, era complicato pianificare un percorso da affiancare al disco su ghiaccio. La più vicina scuola universitaria o serale si trova a Coira. A Zurigo, invece, circa la metà dei miei compagni, in un modo o nell’altro, stava già facendo qualcosa a fianco dell’hockey».

Uscite di sicurezza

Si sentono tante storie di ex atleti finiti in depressione al termine della carriera sportiva. Nella sua autobiografia intitolata Il momento giusto, appena pubblicata, l’ex calciatore italiano Filippo Inzaghi ne parla apertamente: «Non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura».

Di racconti simili, Samuel Guerra ne ha sentiti tanti: «Conosco diversi ex giocatori che sono andati in crisi dopo aver appeso i pattini al chiodo. Ma per fortuna ci sono anche coloro che hanno voltato pagina senza contraccolpi, dalla sera alla mattina, avendo preparato il loro futuro nei dettagli. A 18 anni uno sportivo entra nel tunnel del professionismo. Alcuni progettano delle uscite di sicurezza per mettere fuori la testa e guardarsi intorno. Altri restano in quel tunnel per 15 anni e a fine carriera, quando escono, non sanno da che parte girarsi. Siamo fortunati, il nostro lavoro ci permette di avere - chi più, chi meno - un certo tenore di vita. Ma se non capisci che nel mondo reale certi stipendi sono solo un’eccezione, ti ritrovi spiazzato. Magari arrivi a fine carriera con un diploma ottenuto 15 anni prima, in un mondo che nel frattempo è andato avanti a grande velocità. Quando si smette di giocare, a volte improvvisamente a causa di un infortunio, le responsabilità nei confronti della propria famiglia e dei propri figli non spariscono».

Non diventano tutti allenatori

C’è una frase che i giocatori pronunciano spesso a fine carriera: «Vorrei restare nel mondo dell’hockey». «Qualcuno ce la fa, ma non c’è posto per tutti», osserva Guerra. «Inoltre, non tutti sono adatti a quel tipo di lavoro. Di solito si inizia ad allenare nel settore giovanile. Non è evidente e non basta aver giocato a hockey. Bisogna avere il giusto approccio pedagogico quando si ha a che fare con dei teenager. Puntare tutto su quella carta mi sembra troppo rischioso. L’ideale, semmai, sarebbe provare ad allenare un paio di sere a settimana, per capire se funziona. Il tutto avendo un altro lavoro a parte. Magari si scopre di avere un talento naturale come allenatore. Ma è una cosa che non si può forzare».

Staccare la mente

Samuel sta pensando al post carriera da tempo: «Mi sono reso conto che facendo qualcosa à côté, le mie prestazioni sul ghiaccio miglioravano. Otto anni fa, quando ero al Davos, costruivo mobili in legno. Può sembrare una sciocchezza, ma mi permetteva di staccare la mente. Non avendo un diploma, ho iniziato a pensare a una formazione scolastica. Una volta arrivato a Zurigo, nel 2016, vari compagni frequentavano un bachelor in economia. Tutti mi hanno confessato di non avere un reale interesse per la materia. Lo facevano così, tanto per fare. Mi hanno quindi consigliato di prendermi il tempo necessario per capire cosa volessi veramente diventare. Una volta individuata la direzione da prendere, sarebbe poi stato più facile scegliere il percorso. Ho quindi iniziato la scalata verso il mio obiettivo. E ho capito di voler lavorare nell’ambito psicologico-sportivo e del mental coaching».

Incontri intensi

Qui entra in gioco il supporto di von Rundstedt & Partner in collaborazione con l’HCL. «Ho avuto alcuni incontri molto intensi con i loro specialisti. Hanno voluto conoscermi a fondo: carattere, passioni, capacità, competenze. Io avevo già un’idea chiara su ciò che mi sarebbe piaciuto fare, quindi non pensavo che avrebbero potuto aiutarmi. Invece si sono rivelati molto utili. Grazie a loro, ho avuto conferme. Ho capito di essere sulla strada giusta: la psicologia potrebbe fare per me. Questo mi ha dato una carica enorme. Mi avevano avvisato che sarebbe potuto succedere il contrario. Poteva risultare che fossi più adatto a un lavoro d’ufficio. O a tagliare legna. Una volta stabilito che la via era quella giusta, mi hanno spiegato come preparare la ‘‘cassetta degli attrezzi’’ per raggiungere i miei obiettivi. Ho capito come utilizzare certe piattaforme per creare contatti. Mi hanno spiegato come sfruttare la mia popolarità di sportivo per inseguire i miei traguardi. Mi hanno illustrato le opportunità professionali, i percorsi formativi. Il tutto tenendo in considerazione il fatto che sono un giocatore di hockey con delle esigenze particolari. Settimana scorsa ho concluso gli esami per l’attestato federale in contabilità. È stato un primo passo. In futuro frequenterò un bachelor in psicologia. Il mio messaggio ai giovani giocatori è questo: il nostro mestiere ci lascia abbastanza tempo libero per studiare, svolgere degli stage e pianificare il post carriera. Ci saranno momenti difficili, perché entreremo nel mondo del lavoro attorno ai 35 anni. Ma vale la pena sfruttare ogni opportunità per capire cosa vogliamo fare. Nella vita e nello sport, è tutto più facile se hai un obiettivo da raggiungere».

Il comunicato del club bianconero

Per favorire la transizione professionale post carriera dei propri giocatori, l’HCL ha così deciso di collaborare con l’azienda von Rundstedt & Partner. La società bianconera conferma in questo modo la sua missione di organizzazione sportiva che agisce in modo responsabile, dal supporto ai ragazzi della propria Sezione Giovanile per conciliare scuola e sport all’aiuto ai propri atleti professionisti nel pianificare il loro post carriera. Von Rundstedt & Partner si occupa principalmente di talenti e di consulenza di carriera attraverso servizi indirizzati alle singole persone che vengono accompagnate e sostenute nei loro processi di transizione e sviluppo professionale. Nel caso concreto potrà in particolare aiutare i giocatori a costruire un progetto professionale mediante la valutazione delle loro competenze e capacità. Attraverso assessment, training, coaching e informazioni di mercato il giocatore potrà beneficiare di una tappa necessaria per focalizzare la sua preparazione alla seconda fase della sua vita professionale.

Così si è espresso Marco Werder, CEO dell’Hockey Club Lugano: «Atleti che hanno già indirizzato la pianificazione del loro futuro sono tendenzialmente più sereni e tranquilli e quindi in grado di fornire una prestazione sportiva migliore. La carriera di uno sportivo professionista offre importanti prospettive di successo e di guadagno, ma è limitata nel tempo. L’HCL vuole agire per favorire una migliore pianificazione della fine della carriera sportiva dei propri giocatori. Gli strumenti e i metodi di von Rundstedt & Partner mirano, attraverso il bilancio delle competenze, a prevenire una transizione difficoltosa».

Queste le parole di Marco Costantini, Managing Director di von Rundstedt in Ticino: «Siamo molto felici di sostenere l’Hockey Club Lugano in questo progetto lungimirante e socialmente responsabile, costruito su misura per ogni singolo professionista che deciderà di farsi accompagnare da noi. Lavorare alla propria futura impiegabilità il prima possibile, è davvero la mia migliore per affrontare il presente con maggiore serenità».

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