Giochi olimpici

Lacrime d’oro e di felicità, che impresa Lara!

Il superG regala a Gut-Behrami la medaglia tanto attesa e un posto tra le più grandi - E alla fine la ticinese deve arrendersi alle emozioni, tra gli abbracci di papà Pauli e il salmo sul podio - «È il giorno giusto per lasciarsi andare, insieme a me - qui e a casa - hanno pianto tutti i miei cari»
Lara Gut-Behrami, 30 anni, non riesce a trattenere le lacrime dopo l’oro conquistato in superG. ©Reuters/Jorge Silva
Massimo Solari
11.02.2022 21:33

Un minuto, tredici secondi e un battito di cuore. Tanto è durata la prova che ha permesso a Lara Gut-Behrami di conquistare la medaglia d’oro. Apice di una carriera che non sembra conoscere limiti. Sì, la ticinese è stata immensa. Di nuovo. Mettendo le mani sul solo titolo che ancora le mancava. Quello che, al netto della diplomazia, bramava con tutta se stessa. E che il superG, sua disciplina feticcio, era disposto a consegnarle. Infine. Dopo anni di rincorsa, lastricati di piazzamenti d’onore, beffe e frustrazioni. La vittoria della 30.enne elvetica, tuttavia, è andata oltre il traguardo di Yanqing. Oltre le paraboliche di metà tracciato, collegate con un misto di delicatezza e aggressività sconosciute a tutte le avversarie. Per dirla con papà Pauli, un saggio di «disinvoltura» che ha fatto la differenza tra la gloria eterna e i libri di storia. Il valore del successo di Lara, il primo di uno svizzero nei superG a cinque cerchi, è apparso tangibile dopo trenta concorrenti. Quando l’ansia e i sogni hanno lasciato spazio a una realtà terribilmente bella. Ed emozionante. Per lei, l’atleta, ma anche per noi, spettatori oramai a corto di aggettivi davanti al televisore.

Prima a imporsi nella disciplina

Gut-Behrami ha così dovuto arrendersi. Alla spremuta di felicità sgorgata dai suoi occhi. Prima al parterre, dove gli occhi gentili e scintillanti di Pauli - la parte per il tutto - si sono trasformati in un lungo abbraccio. L’omaggio della figlia, della allieva e della sportiva al proprio punto di riferimento: padre, mentore e allenatore. La figura fondamentale, o perlomeno quella presente a Pechino. «È il giorno giusto per lasciarsi andare» ha ammesso Lara, travolta dagli eventi. «Con me hanno pianto tutti i miei cari, qui e casa. Mio marito, mia mamma e naturalmente mio papà. È bellissimo». Eccome se lo è stato. Anche perché sull’album dei ricordi olimpici, questo genere di sensazioni erano spesso state soffocate. «Normalmente - ha confermato la ragazza di Comano - piangevo per altre ragioni ai Giochi. Perciò non è stata un’attesa facile. Avevo già vissuto momenti simili, a fronte di una manche che non mi convinceva al cento per cento». L’esponente della famiglia Gisin - badate bene, pure lei eccezionale - a questo giro si è però dovuta accontentare del gradino più basso del podio. Come Lara, nel 2014 a Sochi, al termine di una discesa dal sapore agrodolce. Mentre quella matta di una Ledecka non è stata in grado di ripetere l’inimmaginabile, fermando il cronometro a 43 centesimi dalla vincitrice, sinonimo di un comunque gagliardo quinto posto.

Addio cicatrici: e ora?

Lara Gut-Behrami, invece, è stata praticamente perfetta. Facendo la differenza nell’unico segmento di pista esigente sul piano tecnico e tattico. E, nel finale, riuscendo a limitare il colpo di coda dell’austriaca Mirjam Puchner. «Essere riuscita a sciare in questo modo è geniale» ha confermato la ticinese. «Le emozioni sono parecchie anche per questo e credo che mi servirà un po’ di tempo e una certa distanza per realizzare cosa ho fatto». Di certo il gigante di lunedì, chiuso in rimonta e con una medaglia di bronzo al collo, ha funto da grimaldello. Facendo scattare qualcosa d’intenso in un’atleta che si era presentata a Pechino con qualche cicatrice. Nel fisico e nella testa. Entrambi, oggi, sembrano liberi. Liberi di inseguire un’altra fantasia proibita e - perché no - nuovi brividi sulle note del salmo svizzero, destinato al più forte di giornata. Già, martedì si corre ancora. C’è la discesa e oltre a una reazione di Corinne Suter non è blasfemo attendersi un’altra prestazione di spessore di Gut-Behrami. Sganciata definitivamente dai fantasmi del passato, grande fra le più grandi dello sci alpino. Come sua maestà Beat Feuz.

«Una fonte d’ispirazione»

A cucirle addosso un altro ruolo è però Noè Ponti. Sì, proprio l’ultimo ticinese in grado di conquistare una medaglia alle Olimpiadi. Il nuotatore locarnese - bronzo a Tokyo la scorsa estate - parla di «una fonte d’ispirazione» per tutti gli sportivi. «Non solo di casa nostra, ma a livello mondiale». Un oro ai Giochi, sottolinea, «è il massimo successo al quale può aspirare un atleta. Lara, in tal senso, ha fatto qualcosa di straordinario. È stata una stagione olimpica fantastica, prima con me, Del Ponte, Petrucciani e Colombo. E soprattutto ora con la sua impresa».

Michelle Gisin, una vita senza tregue e poi la commozione

Le lacrime, venerdì mattina, non hanno rigato solo le guance di Lara Gut-Behrami. Anche Michelle Gisin non è riuscita a trattenersi. Come avrebbe potuto, d’altronde? Dopo uno slalom carico di amarezza, la 28.enne di Engelberg è tornata a sorridere. È tornata grande. Il bronzo conquistato in superG è un premio alla sua tenacia. E, anche, alla sua scelta di vita. La polivalenza non s’improvvisa. No, va curata sciata dopo sciata. Stagione dopo stagione. Senza conoscere tregue. Servono sacrifici, insomma, tantissimi sacrifici. Ma il bello, appunto, è che le occasioni per riscattarsi - se la caparbietà e il cuore sono come quelli di Michelle - aumentano rispetto alla concorrenza. Lo ha ammesso la stessa Gisin, raggiante come non mai al traguardo di Yanqing. «Sono così fiera di essere diventata competitiva in tutte le discipline, con chance di medaglia a ogni prova olimpica. Riuscirci è difficile, è duro. Perché, in stagione, significa essere lontana da casa, costantemente; il calendario e tutte le sue specialità infatti non concedono pause. Se va male qualcosa, però, hai la possibilità di gettare in un angolo gli sci da slalom e provare la libertà che solo quelli più lunghi sanno darti». Le parole dell’elvetica alla RSI inquadrano bene la filosofia di un’atleta per certi versi così diversa da Gut-Behrami. La ticinese nel corso degli anni ha preferito dosare le proprie prestazioni. Rinunciando altresì a diverse gare, respirando di più della collega. Risparmiando il fisico e tenendo a distanza di sicurezza lo stress mentale. La rottura del legamento crociato del ginocchio, ai Mondiali di St. Moritz del 2017, ha in questo senso costituito la svolta. Dal dolore alla saggezza. E all’equilibrio. Sempre al proposito, e a differenza di Gisin, Lara ha inoltre trovato nei suoi regolari rientri a Udine - dall’amato Valon - quella serenità poi cruciale al cancelletto. Esistenze e strategie sportive quasi agli antipodi, dunque, che a Pechino hanno trovato il modo di congiungersi. Lara Gut-Behrami e Michelle Gisin sullo stesso podio. Oro e bronzo. E, comunque, facce della stessa medaglia. Quella del successo, che non tradisce il talento, ma nemmeno la perseveranza.

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