Tennis

Sinner, quanti ritiri: quali sono i motivi?

A Cincinnati, l’altoatesino ha alzato bandiera bianca a partita in corso per l’ennesima volta in carriera - Il numero uno al mondo fisicamente sembra avere ancora delle fragilità, ma le condizioni in Ohio erano proibitive - Sotto accusa anche la nuova formula, su due settimane, dei Masters 1000: la programmazione dell’ATP va rivista
©Reuters/Aaron Doster
Alex Isenburg
20.08.2025 06:00

Ventitré minuti. Tanto – o in questo caso, poco – è durata la festa. Proprio sul più bello – dopo aver coltivato l’attesa di un evento che si preannunciava spettacolare – a prendere il sopravvento è stata la delusione. Al termine del quinto game della finale di Cincinnati, Jannik Sinner ha alzato bandiera bianca. Un epilogo amaro e controverso. Sì, perché assistere a un ritiro durante l’ultimo atto di un Masters 1000 è raro, ma non si tratta di certo di un unicum. Lo stesso scenario, infatti, si è già manifestato in 8 circostanze in passato e con ogni probabilità saremo costretti a riviverlo anche in futuro. Ciò che scatena la discussione, semmai, è il protagonista del fatto, così come lo scenario in cui si è consumato.

Un’altra similitudine con Nole

Qualcuno, forse, si ricorderà quando a Melbourne (correva l’anno 2009) Roger Federer commentò – in maniera pungente e meno elegante del solito – il ritiro di Novak Djokovic al cospetto di Andy Roddick, suo avversario, poi, in semifinale. «Gli è già successo più volte in passato – disse il basilese dell’allora numero tre del mondo – lui non è uno di quelli che non si arrende mai. L’anno scorso, contro di me, si fermò a Montecarlo per un mal di gola». Ecco, volendo si potrebbero riprendere queste celebri – e pure contestate, da parte dei tifosi di Nole – parole di Federer, per commentare il forfait di Sinner. L’altoatesino, d’altronde – che per caratteristiche tecniche viene considerato una sorta di evoluzione 3.0 del serbo – proprio al pari di Djokovic sta accumulando una serie notevole di ritiri nella prima fase di carriera.

Considerando che il numero uno del mondo sta disputando il suo settimo anno da quando è approdato nel circuito ATP, il confronto è presto fatto: Djokovic in quel lasso temporale si era ritirato 8 volte a partita in corso, Sinner, per ora, è a quota 6. Si è arreso contro, nell’ordine: Rublev (Vienna 2020); Cerundolo (Miami 2022); Rublev (Roland Garros 2022); Rune (Sofia 2022); Bublik (Halle 2023); Alcaraz (Cincinnati 2025). Beh, tenendo conto che il poc’anzi citato Federer ha chiuso la sua carriera – costellata da 1.526 match – a quota 0, qualche riflessione va pur fatta.

Tante polemiche pure in patria

Dalle vesciche ai piedi, all’infiammazione all’anca – passando poi per alcuni fastidi riscontrati a livello di caviglia e ginocchio – sono già molti i problemi di natura fisica a cui Sinner è andato incontro. In Ohio, l’altoatesino è stato messo k.o. da un malessere non precisato, ma non è stata una novità, in realtà, vederlo in campo in uno stato debilitato. L’esempio più eclatante è accaduto a Wimbledon nel 2024, quando un malore lo portò a perdere l’incontro con Medvedev, mentre quest’anno – pur avendo avuto delle evidenti difficoltà – Sinner è riuscito a sconfiggere Rune in Australia.

Come dimenticare, poi, i diversi appuntamenti di prestigio ai quali non aveva preso parte in passato? In patria erano stati accolti poco piacevolmente, basti pensare al torneo olimpico – saltato a causa di una tonsillite – o alla mancata partecipazione dell’edizione 2024 degli Internazionali d’Italia. Per non parlare, prima ancora – quando la stampa nazionale era meno tenera nei suoi confronti – della rinuncia alla fase a gironi della Coppa Davis 2023. Sinner voleva riposare, ma il primo quotidiano sportivo italiano non la prese bene: «Non si fa così» – titolò, catalogando la vicenda come un «Caso Nazionale».

L’afa di «Cincy» e il calendario

In termini generali, dunque, la sensazione è che Jannik Sinner possa essere in qualche modo cagionevole e che al tempo stesso debba ancora scoprire e capire il suo corpo alla perfezione. Il segreto della longevità di Djokovic, in fin dei conti, è stato proprio sviluppare un controllo totale anche del proprio fisico e capire quanto spingerlo al limite. Un limite, però, che Sinner ha evidentemente raggiunto a Cincinnati, dove, in aggiunta, è stato anche sfavorito da condizioni di gioco proibitive che hanno messo a dura prova tutti gli interpreti del circuito. Sono stati addirittura 8 i ritiri registrati nel tabellone principale maschile, quasi un record, siccome il primato restano i 9 forfait di Madrid (2025) e Shanghai (2009). Un clima soffocante – con temperature massime ben al di sopra dei 30° e un’elevata umidità – ha peraltro costretto diversi altri giocatori a ricorrere a dei medical timeout. «Qualcosa deve cambiare» – ha tuonato Alejandro Davidovich Fokina, che ha perlopiù messo in evidenza la discutibile scelta di disputare l’ultimo atto del torneo alle 15.00 del torrido pomeriggio americano.

Già, qualcosa deve cambiare per davvero. A iniziare dalla nuova formula, del tutto scellerata, dei Masters 1000. Un fiasco totale che, fatta eccezione per gli appuntamenti di Montecarlo e Parigi-Bercy, porta tutti gli altri tornei a svilupparsi sull’arco di due settimane, o 12 giorni per l’esattezza. Un formato – come ammesso candidamente da Sascha Zverev – che non piace a nessuno. Le tante rinunce al torneo di Toronto erano state un indizio, gli innumerevoli ritiri a «Cincy» sono la conferma che qualcosa non va per il verso giusto. Allo stesso tempo, tuttavia – e qui è Alcaraz a rappresentarne l’esempio perfetto – alcuni tennisti non possono lamentarsi, perché il loro calendario viene ulteriormente congestionato da tornei non necessari (vedi doppio misto allo US Open, Laver Cup o Six Kings Slam). Il programma dell’iberico – che dovrebbe prevedere anche la Coppa Davis, i tornei di Tokyo, Shanghai, Parigi-Bercy e le ATP Finals – appare folle.