«Sono vent’anni che Brady smentisce chi dubita di lui»

Alla sua prima stagione lontano dai New England Patriots, il quarterback californiano classe 1977 disputerà il decimo Super Bowl in carriera. Abbiamo parlato di questo campione all’apparenza eterno con lo scrittore Roberto Gotta, autore del libro «Il mondo di Tom Brady. Football e vita di un’icona americana».
Roberto, partiamo da una premessa. Tom Brady a 42 anni (oggi 43) e in partenza dai New England Patriots dopo 20 stagioni e 6 titoli, non doveva più dimostrare niente a nessuno. In molti pensarono che la scelta fatta a marzo 2020 di accasarsi a Tampa Bay fosse determinata dalla volontà di «svernare» in Florida con un ricco contratto... Pure lei?
«Sinceramente no, perché la storia di Brady racconta di un giocatore che non ha mai particolarmente posto l’accento sui soldi. Anzi, negli ultimi anni con New England ha spesso rinunciato allo stipendio massimo per permettere alla società (vincolata dal tetto salariale) di utilizzare il resto del budget per costruire una squadra competitiva. A tal proposito ha sempre scherzato sul fatto che fosse sua moglie (la modella brasiliana Gisele Bündchen, ndr) a guadagnare di più in famiglia. Poi è vero che il contratto firmato con Tampa Bay gli ha restituito parte di ciò a cui aveva rinunciato negli anni, ma rimane pur sempre “solo” il sedicesimo giocatore più pagato della NFL. La verità è che lui ha sempre badato più al lato sportivo che a quello finanziario. Voleva dimostrare di saper vincere in un altro contesto».
Però a livello sportivo i Buccaneers arrivavano da 12 (!) stagioni senza fare i playoff...
«La scelta però non è stata casuale, bensì molto ponderata. Tampa Bay presentava un organico più che discreto e con una difesa in crescita, che negli anni precedenti era stato penalizzato da un quarterback poco efficace. In prospettiva era forse la squadra migliore che lui potesse scegliere, al di là delle big che però avevano già un quarterback rinomato. Poi chiaro, da californiano - dopo tanti inverni in stati freddi come Michigan e Massachusetts -, sicuramente non gli è dispiaciuto tornare al caldo (ride, ndr). Non è inoltre da sottovalutare il fatto che Tampa Bay - poco dopo l’arrivo di Brady - abbia operato uno scambio con i Patriots per rimettere in campo Rob Gronkowski, suo compagni storico a New England ritiratosi nel 2019 per via di diversi infortuni. È stato un incentivo in più».
I Patriots senza Brady hanno mancato i playoff per la prima volta da 11 anni, Tampa Bay invece disputerà il Super Bowl. Chi si chiedeva chi fosse - tra il quarterback e l’head coach Bill Belichick - l’artefice dei successi dei «Pats», forse questa stagione ha avuto la sua risposta...
«Penso proprio di sì, non credo che ci siano dubbi a tal proposito. Anche se - provando a mettermi nei panni dello stesso Belichick - non penso che il coach dei Patriots si senta particolarmente sminuito da questo fatto; o che abbia sperato in un insuccesso di Brady per evitare certi ragionamenti. Ho l’impressione che i due abbiano avuto un rapporto personale così intenso da non poter essere scalfito da eventuali ripicche o giochi mentali. Poi per carità, magari tra dieci anni salteranno fuori dei retroscena gustosi su questo argomento, ma per il momento la vedo così».
Ma cosa rende quella che gli americani definirebbero la «legacy» (una sorta di lascito) di Tom Brady così speciale? A 43 anni è ancora all’apice e sembra francamente eterno...
«Ha sempre detto di voler giocare fino a 45 anni e dal punto di vista fisico credo che nessuno abbia mai avuto particolari dubbi sulla sua tenuta. Non si vuole mitizzare nessuno - altri atleti sono come lui - però è innegabile che abbia una cura metodica e notevole del proprio corpo, quasi a livello scientifico. Infatti spesso viene anche preso in giro per alcune sue scelte alimentari, come il famoso gelato all’avocado, che afferma di amare. Certe abitudini spiegano come abbia fin qui trascorso più di 20 anni in NFL senza particolari infortuni. Semmai qualche punto interrogativo era stato sollevato sulla sua capacità di essere ancora così efficace in campo. La stagione che sta per volgere al termine, però, ha dimostrato che nonostante qualche piccola difficoltà qua e là - appianate grazie a discussioni costruttive con il coach Bruce Arians - il suo livello è rimasto molto elevato».
Alcuni sostengono che sia addirittura lo sportivo - e non solo il giocatore di football - più forte di tutti i tempi. È d’accordo?
«Non amo le classifiche e nemmeno le affermazioni assolute concernenti giocatori di epoche e sport differenti. Sicuramente è uno dei più grandi di sempre, ma non vedo il senso nell’andare oltre. Anche perché spesso questi giudizi sono dettati da visioni soggettive e non sempre basate su simpatie ed antipatie personali, piuttosto che su fatti e risultati. È passato alla storia già da anni, oggi ancora di più».
Però i risultati ottenuti in più di vent’anni di carriera non sono affatto male per un giocatore selezionato al sesto round (199. scelta assoluta) al draft del 2000. Cosa non videro in lui gli scout?
«La sua carriera universitaria fu davvero frastagliata e soltanto all’ultimo anno di college divenne davvero titolare per l’Università del Michigan. Prima dovette fronteggiare diversa concorrenza e non fu dunque mai realmente un uomo da copertina, in un’epoca in cui i magazine sportivi erano ancora più in voga del web. Non disponeva inoltre di un grande fisico, specie dal punto di vista atletico. Era abbastanza lento e nei test-provino del draft ottenne risultati mediocri (girano ancora i video su YouTube, a tal proposito). Sembrava il classico giocatore buono per il college ma non per la NFL e all’epoca non fu uno scandalo selezionarlo così tardi. Poi chiaro, ad anni di distanza è facile dire che in molti si sbagliarono...».
Oggi Brady - spesso l’antagonista per eccellenza a causa dei tanti successi con i Patriots - sta imparando a farsi amare di più lontano da New England?
«La città di Boston è rinomata per avere dei media molto faziosi, che non hanno mai fatto mistero di essere di parte nei confronti di Brady e dei Patriots, alimentando le antipatie. Poi alcuni scandali emersi nel corso degli anni - lo “spygate” con le presunte riprese di allenatori e allenamenti avversari richieste da Belichick, oppure il “deflategate” con la questione dei palloni sgonfi contro Indianapolis nel 2015 - hanno fomentato l’avversione dell’opinione pubblica verso New England e il suo quarterback. Erano visti come una squadra che vinceva perché sporca, sleale e aiutata. Ma Brady non è mai stato né fortunato né tantomeno favorito. È figlio di una famiglia di ceto medio, questo sì, ma tutto il resto nella vita - soprattutto in campo - se lo è sempre guadagnato».
Certo che a questo punto il 55° Super Bowl - in programma domenica 7 febbraio - ha assunto i contorni di un perfetto film Disney...
«Diciamo che i media non dovranno sforzarsi per trovare delle storie da raccontare (ride, ndr). Sarà il decimo Super Bowl di Brady e Tampa Bay è la prima squadra nella storia della NFL a giocare una finalissima nel proprio stadio, seppur con pochi spettatori ammessi. Inoltre sfideranno i Kansas City Chiefs campioni in carica, guidati Patrick Mahomes, che è il nuovo superstar quarterback della NFL e che con 18 anni in meno potrebbe essere il figlio di Brady a livello anagrafico... Sarà un match ricco di spunti».
Secondo lei sarà l’ultimo grande ballo di Tom Brady, oppure chi lo darà nuovamente per finito verrà sconfessato una volta di più?
«La sua è la storia di un giocatore che ha sempre voluto smentire coloro che dubitavano delle sue capacità. C’è chi lo fa per una settimana, lui lo fa da vent’anni. Poi però disputare due Super Bowl di fila rimane complicatissimo e non dipenderà soltanto da Brady».