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«Steph Curry ha allargato il campo da basket»

Il fenomeno dei Golden State Warriors, nuovo recordman nei canestri da tre punti, è considerato un rivoluzionario del gioco – Ne parliamo con Raffaele Ferraro, ideatore del portale «La Giornata Tipo»
AP Photo/Mary Altaffer
Fernando Lavezzo
17.12.2021 06:00

Stephen Curry, stella dei Golden State Warriors, è entrato nella storia della NBA strappando a Ray Allen il record di canestri da tre punti: 2.977. Curry è anche considerato un rivoluzionario del gioco. Ne parliamo con Raffaele Ferraro, ideatore de «La Giornata Tipo», un punto di riferimento per gli appassionati di basket.

Signor Ferraro, partiamo proprio dalla frase pubblicata da «La Giornata Tipo» per sottolineare l’impresa di Steph Curry: «Non è solo un record frantumato, è l’evoluzione di uno sport».

«Con lui il basket è cambiato, soprattutto quello americano. Nell’era dei social, con i video della NBA alla portata di tutti, è facile rendersene conto. Capita pure di imbattersi in qualche vecchia partita, magari degli anni Novanta. Ebbene, sembra un altro sport. Lo confermano i numeri, le analisi. Il gioco è nettamente più veloce rispetto anche solo ad una ventina di anni fa. E in questa evoluzione, Curry si è inserito più di tutti».

Cosa fa di lui un innovatore?
«Ha avuto la capacità di allargare il campo all’inverosimile, sfruttando anche il gioco d’attacco disegnato dall’allenatore dei Golden State Warriors, Steve Kerr, in cui i cinque giocatori partono tutti lontanissimi da canestro per lasciare l’area libera alle penetrazioni. Curry è il più grande tiratore di sempre, ma a differenza di quelli che gli stanno dietro, Ray Allen e Reggie Miller, si crea molti tiri dal palleggio e non solo sugli scarichi. Negli anni del liceo, poco prima di andare al college, Curry decise di cambiare la sua tecnica di tiro. Fare una cosa simile a 16-17 anni è inusuale, complicato. Steph, inoltre, ha lavorato tantissimo per sentirsi in una zona di conforto anche tirando da distanze siderali. Distanze che adesso – per lui, ma anche per altri giocatori in NBA – sono diventate normali. Oggi vediamo gente che tira con il 40% dai 9-10 metri. E il concetto di evoluzione sta proprio lì. Lo stile di gioco di Curry sarebbe stato utopistico anche solo 12 anni fa. Ma quando uno arriva così in alto, è inevitabile che abbia degli emulatori. Probabilmente fra 5 o 10 anni vedremo molti giocatori simili a Curry. Anche se è difficile immaginarli altrettanto efficaci».

Ad oggi, qual è il tentativo di imitazione più riuscito?
«Il giocatore che più gli assomiglia per la capacità di crearsi il tiro da tre punti direttamente dal palleggio è probabilmente Trae Young, 23.enne playmaker degli Atlanta Hawks. Come cultura del gioco, invece, credo che non ci sia nessuno che si avvicini allo stile dei Golden State Warriors, il miglior esempio di dinastia degli ultimi 8 anni».

Qual è stato il ruolo di coach Steve Kerr in questa rivoluzione?
«Kerr ha preso lo stile dei Phoenix Suns di Mike D’Antoni – considerato un po’ utopistico – e lo ha evoluto. Agli inizi degli anni Duemila, D’Antoni veniva preso per pazzo. Le partite dei Suns finivano con punteggi altissimi, si diceva che una squadra così, che attacca in 7 secondi e un po’ dimentica la difesa, va bene per dare spettacolo in regular season, ma non per vincere i playoff. Purtroppo per Mike, i fatti lo hanno confermato. Kerr, però, ha elevato questi concetti conquistando tre titoli NBA. Ha anche lavorato in maniera incredibile sull’approccio difensivo, fatto di aggressività, atletismo, collaborazioni, aiuti. Il tutto con quintetti in cui fondamentalmente non esiste un centro. Draymond Green gioca da centro, sì, ma è alto 198 cm: in attacco è come se fosse un secondo playmaker, in difesa può cambiare su tutti».

Martedì al Madison Square Garden di New York, subito dopo la «tripla» del record, la partita si è interrotta a lungo per celebrare degnamente Steph Curry. Una cosa molto americana...
«Sì, negli States hanno una capacità unica di narrare lo sport. Quando sanno di avere un appuntamento con la storia, riescono a prepararlo, ad enfatizzarlo, a creare un’aspettativa. Al punto da portare il pubblico di New York a tifare per il campione avversario. Probabilmente il 70% di chi ha comprato il biglietto lo ha fatto per vedere il record di Curry. A parte il tiro che è valso il sorpasso, ciò che ha fatto il giro del mondo sono state le immagini di Steph insieme ad Allen e Miller, i loro abbracci, le lacrime. La NBA ha una capacità inimitabile di rendere virale il suo prodotto».

Non tutti amano questa nuova pallacanestro «alla Curry». Capisce le ragioni dei nostalgici?
«Le rispetto, ma non le capisco. Ve lo dice un quarantenne cresciuto con la NBA degli anni Novanta, quella di Jordan. Molti parlano di rivoluzione del gioco, altri di peggioramento. Io credo che in tutti gli sport, vuoi per i metodi di allenamento, vuoi perché il passato ti aiuta a capire come migliorare, i cambiamenti ci saranno sempre. E saranno sempre divisivi. Il basket di oggi è diverso da quello degli anni Novanta, ma fra 20 anni si giocherà una pallacanestro più efficiente e diversa da quella attuale. Chi ha ancora nel cuore gli idoli della propria epoca, magari non ama vedere fenomeni che su 35 punti ne segnano 20 tirando dai 9 metri. È normale. Però alla fine parlano i fatti. E le percentuali».