L'intervista

«Successi così valorizzano tutta la rosa»

L'intervista a Raffaele Poli, direttore Osservatorio del calcio al CIES di Neuchâtel
© CdT / Archivio
Flavio Viglezio
17.05.2022 06:00

Signor Poli, dal suo ritorno in Super League nel 2015 il Lugano ha spesso dovuto navigare a vista sul piano finanziario. Eppure si è sempre salvato senza troppi patemi, ha conquistato tre volte l’Europa e ha disputato due finali di Coppa Svizzera, vincendone una. Come spiegare questa sorta di «caso sportivo»?
«Il club bianconero ha adottato una politica sportiva piuttosto chiara: ha prevalentemente puntato su giocatori di esperienza. In un campionato che vede parecchie società impegnate nella valorizzazione dei giovani al fine di monetizzare una loro futura cessione, questo può fare la differenza. O perlomeno può aiutare a ottenere buoni risultati. Il Lugano, insieme al Servette, è la squadra di Super League con l’età media più elevata (28 anni), il San Gallo è invece quella più giovane (24). La finale di domenica ha messo in luce questa differenza di esperienza. Credo che la nuova sfida del club bianconero sarà quella di riuscire a integrare più giovani del suo settore giovanile in prima squadra».

Il FC Lugano e il Ticino in generale rimangono comunque realtà periferiche nel panorama del calcio elvetico. Pochi minuti dopo la finale di domenica, l’edizione online del Blick offriva vari servizi sulla sconfitta del San Gallo. Nemmeno uno sul trionfo bianconero...
«Non è un segreto: gli svizzerotedeschi sono molto concentrati su loro stessi. Anche la coreografia dei tifosi del San Gallo – peraltro molto bella – lo lasciava intendere. Il calcio ticinese e quello romando sono invece fondamentali per il movimento nazionale. Abbiamo visto quanto entusiasmo può suscitare un successo come quello ottenuto dal Lugano. In realtà nella Svizzera tedesca c’è molta ignoranza su quanto viene fatto in Ticino. La critica che viene mossa – e che mi sento in parte di condividere – riguarda la già citata politica che non mette in primo piano i giovani. In altre parole, per essere maggiormente riconosciuto e stimato, il Ticino dovrebbe dare una maggiore importanza allo sviluppo dei propri ragazzi».

È possibile determinare l’aumento di valore della rosa del Lugano dopo il successo nella Coppa Svizzera?
«Dal punto di vista quantitativo un tale aumento è difficilmente calcolabile, ma ovviamente successi di questo tipo valorizzano il parco giocatori a disposizione. Gli scout non attendono i grandi eventi per muoversi, ma si interessano ai buoni risultati ottenuti da un club. Una vittoria in Coppa Svizzera aumenta le probabilità di vendere un giocatore a un buon prezzo e, allo stesso tempo, di ingaggiare elementi interessanti. Sempre che questi ritengano di avere concrete opportunità di crescita e di miglioramento».

Quanto sarà importante il nuovo stadio per un ulteriore salto di qualità del Lugano?
«Lo stadio sarà fondamentale. Anche perché darà – e in realtà ha già dato – sicurezza a chi decide di investire nel club. Inoltre nel calcio al giorno d’oggi – in uno sport che in questo senso deve far fronte alla concorrenza dell’hockey su ghiaccio – il pubblico si abitua a certi standard. E li pretende pure».

Il Lugano ha un proprietario, miliardario, che vive negli Stati Uniti, ha una dirigenza formata da diverse figure confederate e un giovane allenatore ticinese che non ha ancora il diploma. Una piramide perlomeno strana, vero?
«Questo è il calcio globale, e nel globale esiste anche il locale. D’altra parte il Lugano non è l’unico club che negli ultimi tempi è stato acquistato dagli americani. E i dirigenti svizzerotedeschi hanno avuto l’intelligenza di puntare su un tecnico come Croci-Torti. Non bisogna però dimenticare Michele Campana, persona che ricopre un ruolo fondamentale in seno al FC Lugano».