Tennis

Bertola e una passione senza assilli «Vincere conta, ma non è tutto»

A causa di uno stop forzato di due mesi per un problema alla spalla, il giovane talento ticinese è tornato alle competizioni solo a fine febbraio Il 23.enne, estromesso ieri al Challenger di Lugano, guarda con fiducia al 2022: «Mi sento meglio e voglio giocare bene, ma non guardo solo ai risultati»
© Ti-Press / Pablo Gianinazzi
Maddalena Buila
30.03.2022 06:00

Non conta vincere, ma divertirsi. Sembra una frase di un film. Oppure una di quelle battute che ci si scambia, prima di scendere in campo per la partitella di tennis della domenica mattina, con l’amico di una vita. Che poi anche in queste occasioni, se prevale la competitività, conta più la vittoria che il divertimento. Sicuro non ci si aspetta che questo concetto funga da leitmotiv per un atleta professionista. Eppure esistono sempre le eccezioni che confermano la regola. Una di queste parrebbe essere un tennista di casa nostra, Rémy Bertola. Il 23.enne ha un rapporto tutto suo con le sconfitte, che non paiono demotivarlo più di quel tanto. Ci ha fatto ancora i conti al suo debutto sul cemento del Challenger di Lugano, dove ieri è stato sconfitto 7-6 (7/5) 6-4 dal bosniaco Aldin Setkic. Proprio alla domanda relativa alle sue sensazioni prima di affrontare un match, ci ha risposto infatti così: «Non sono mai nervoso. Ciò che conta è divertirsi, non vincere. Credo molto in questo e lo ripeto diverse volte. Non siamo in guerra. Se si perde chiaramente si prova un senso di delusione, ma non è la fine del mondo. Ci si congratula con l’avversario e si guarda avanti».

Una calma che effettivamente traspare durante tutto l’arco del nostro colloquio col tennista ticinese. Una chiacchierata spaziata su più fronti, che ha preso il via con uno dei temi più delicati, quello legato alla salute, che negli ultimi mesi non sembra essere stata particolarmente dalla parte di Rémy. «Al momento mi sento bene, anche se non è mai facile stare fermi per due mesi. Da fine dicembre ho infatti dovuto dedicarmi alla mia spalla, che negli ultimi tempi mi ha fatto un po’ soffrire. Tutto è cominciato a settembre, quando mi sono infortunato i muscoli intercostali. Quando sono rientrato avevo paura, come tutti, di sforzare. Questo ha portato la mia spalla destra a lavorare più di quanto avrebbe dovuto, fino ad arrivare a una calcificazione ossea. Ho dunque dovuto essere sottoposto, tra le altre cose, anche a iniezioni di cortisone per riuscire a rimettermi in sesto. Inizialmente credevo non fosse nulla di grave, infatti ho provato a disputare un torneo a inizio anno, poi però ho capito che dovevo prendermi una pausa, durata fino al 28 febbraio. Per fortuna, da lì in poi, sono riuscito a tornare in campo giocando diversi tornei. Compreso quello di Lugano».

Una stagione iniziata in un modo diverso da quello che ci si poteva aspettare, ma che ora sembrerebbe aver preso un ritmo di crociera. Come infatti ci conferma Rémy, dopo la competizione casalinga spunta già all’orizzonte il prossimo obiettivo. «La settimana prossima andrò a firmare per le qualifiche del Challenger di Sanremo, al quale spero di riuscire ad accedere senza particolari problemi. In questo caso non beneficerò di una wild card come qui a Lugano. Dato che ne parliamo, colgo l’occasione e ringrazio Riccardo e Luca Margaroli per avermi dato l’opportunità di partecipare».

Un pensiero condiviso

Lunedì abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Severin Lüthi, incontrato proprio in occasione del Challenger sottocenerino, che si è detto convinto che dopo l’era Federer-Wawrinka, il tennis svizzero al maschile avrà ancora le sue carte da giocare. Rémy Bertola condivide il pensiero? «Direi di sì. Sicuramente il più quotato per diventare un grande di questo sport, a livello nazionale, è Dominic Stricker. A mio modo di vedere diventerà davvero un giocatore temibile. Ma questo non lo dico io, è sotto gli occhi di tutti. Persino chi non segue con assiduità il tennis può capire che Dominic è una spanna sopra gli altri. Oltre a lui comunque ci sono tanti ragazzi che spingono molto. Uno di questi è Leandro Riedi, che a Lugano ha estromesso Maxime Cressy, testa di serie numero 1. Da tener d’occhio anche Kilian Feldbausch che sta piano piano emergendo. Possiamo dire che è un periodo in cui ci sono tanti svizzeri in alto nella classifica ATP. Un esempio pratico. Con i punti che ho ora, sei anni fa circa avrei potuto vantare un 5. o 6. posto nel ranking elvetico, mentre in realtà sono intorno alla 12. posizione. Questo ci fa capire quanti nuovi talenti sono affiorati nel giro di poco tempo».

Impegnarsi per i giovani

Invece di portare indietro l’orologio, proviamo a proiettare il nostro interlocutore in avanti di qualche anno per porgli una classica domanda, quella alla quale molto spesso non si ha la risposta pronta. Ovvero, se Rémy ha mai pensato a cosa fare una volta appesa la racchetta al chiodo. Il 23.enne ticinese invece ci spiazza mostrandosi molto in chiaro sui suoi piani per il futuro. «Vorrei creare un movimento giovanile di tennis in Ticino. Mi piacerebbe utilizzare tutto ciò che ho imparato durante la mia carriera agonistica e metterlo a disposizione delle nuove leve. Al momento, purtroppo, sul nostro territorio non ci sono allenatori. Ci sono tanti maestri, ma pochissimi allenatori. Vorrei poter cambiare le cose offrendo qualcosa in più ai giovani. Un altro problema, su cui si può intervenire ben poco, sono i genitori. Sono dell’opinione che molti bambini non scelgono lo sport che vorrebbero praticare, sono i genitori che lo fanno per loro. Questo di riflesso porta il ragazzino a non avere un’identità, a non giocare per sé stesso,ma per qualcun altro. È impossibile crescere e fare risultati in queste condizioni».

 Una star in famiglia

Dato che si è tirata in ballo la famiglia, com’è quella di Rémy Bertola? «Splendida. Non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Mi è sempre stata concessa la possibilità di inseguire i miei sogni e di praticare lo sport che amavo, anche a livello professionistico». Dobbiamo dedurre che il tennis e l’agonismo sono inscritti nel DNA di Rémy da generazioni? «Sì e no. Per mio papà praticare sport è sempre stato un hobby, mentre per mia mamma è stato diverso. Vi svelo un dettaglio che sanno in pochissimi: mia madre era una ginnasta molto brava, tant’è che è arrivata a partecipare alla competizione più prestigiosa, le Olimpiadi. Purtroppo si è poi rotta il tendine d’Achille, dovendo dire addio al mondo agonistico. Pensate che io sono venuto a saperlo solo all’età di 17 anni. Questo perché i miei genitori non volevano in nessun modo che sentissi la pressione di essere in qualche modo un figlio d’arte. Trovo che questo faccia loro molto onore. Ora che vi ho svelato questo piccolo segreto, posso anche dirvi che infatti il sogno più grande di mia mamma sarebbe quello di vedermi partecipare a un’edizione dei Giochi. Dato che lei è francese... chissà che non riesca ad accontentarla nel 2024, volando a Parigi (ride, ndr)».