Australia

Chi è Alex Hawke, l’uomo che deciderà sul caso Djokovic

Il ministro dell’Immigrazione, 43 anni, crede nei valori cristiani della grazia, del perdono e della redenzione – Come si comporterà con «Nole»? E che cosa succederebbe se pronunciasse l’espulsione?
© AP/Mick Tsikas
Marcello Pelizzari
13.01.2022 17:39

La pallina è nella metà campo di Alex Hawke. Da giorni, oramai. La domanda è sempre la stessa: il ministro dell’Immigrazione risponderà alla stoccata di Novak Djokovic o subirà il punto? Uscendo dalla metafora tennistica, le speranze del serbo di rimanere in Australia passano – inevitabilmente – dalla decisione del citato Hawke. Il quale, l’anno scorso, era balzato agli onori della cronaca per aver concesso a una famiglia di asilanti – i Murugappan – di lasciare Christmas Island per raggiungere una comunità detentiva a Perth.

Ma chi è, davvero, Hawke? 43 anni, una laurea in arte all’Università di Sydney, si è unito al Partito Liberale e alle Riserve dell’Esercito nel 1995, dove ha raggiunto il grado di tenente. Per i Liberali ha lavorato per diversi politici statali e per Helen Coonan a livello federale. La carriera vera e propria, però, è decollata nel 2015 con Malcolm Turnbull quale primo ministro. È stato vice-ministro del Tesoro, dell’Immigrazione, degli Interni e della Difesa, mentre l’attuale premier Scott Morrison l’ha appuntato ministro dell’Immigrazione lo scorso dicembre durante l’ultimo rimpasto.

Le letture della Bibbia
Hawke e Morrison, leggiamo sui media australiani, sono molto vicini. Fanno parte di un gruppo di studio della Bibbia. Non solo, Hawke ha sostenuto con forza Morrison quando la leadership di Turnbull è stata minacciata nel 2018. Nel suo primo discorso in qualità di ministro dell’Immigrazione, Hawke aveva affermato di credere con fermezza ai concetti di «grazia, perdono e redenzione», oltre all’idea di «seconda possibilità», valori cristiani – citiamo – che hanno reso «il nostro mondo più abitabile».

Chissà se applicherà questi concetti a Djokovic, permettendogli di rimanere in Australia per (cercare di) conquistare lo Slam numero ventuno in carriera. O se, rovesciando la decisione del giudice Anthony Kelly, lo espellerà dal Paese. Nella seconda ipotesi, i legali del tennista serbo sono pronti a riportare il caso in tribunale. Lo hanno confermato fonti anonime vicine al giocatore.

La sfida, come avevamo già avuto modo di scrivere, è legale e politica.

Credo ai concetti di grazia, perdono e redenzione, oltre all’idea di seconda possibilità, valori cristiani che hanno reso il nostro mondo più abitabile

Le bugie sul modulo
Hawke, banalmente, è chiamato a esprimersi sulla decisione originale di garantire a Djokovic un visto d’ingresso. Rispetto a quanto stabilito dal giudice Anthony Kelly, sono emersi nuovi elementi. Uno su tutti: il giocatore ha ammesso di aver riportato informazioni false sul modulo ATD, in particolare sui viaggi effettuati nei 14 giorni prima del suo arrivo in Australia. Un errore, voluto o meno, che potrebbe costare carissimo al serbo.

Il ministro, come noto, può revocare il visto di «Nole» ed espellerlo per motivi di salute pubblica e per svariate altre ragioni. Si mormora, fra l’altro, che Hawke in questi giorni si sia separato dal resto del governo per evitare qualsiasi impressione di interferenza politica.

In gioco, appunto, c’è molto. Moltissimo. Qualora Hawke pronunciasse l’espulsione, i legali di Djokovic replicherebbero con un’ingiunzione. Rimandando la questione alla Corte Federale. Tradotto: entrambe le parti dovrebbero aspettare ancora. Dove, nel caso del giocatore? Non è chiaro, secondo Associated Press. Djokovic potrebbe comunque competere agli Australian Open, stando ad alcuni pareri, ma potrebbe benissimo essere rispedito al Park Hotel di Melbourne finché la Corte Federale non emetterà la sua sentenza.

L’espulsione, qualora pronunciata e poi confermata, negherebbe a Djokovic la possibilità di richiedere nuovamente un visto per i prossimi tre anni. Una mazzata, pensando agli Australian Open.

Gli scenari e le battaglie politiche
Intanto, non è chiaro se (e come) il mancato isolamento di Djokovic, a margine della positività riscontrata a dicembre, influirà sulla decisione. L’opinione pubblica è divisa, ma converge su un aspetto: tutti, da Tennis Australia alle autorità australiane, passando per il giocatore, escono e usciranno male dalla vicenda. Perché tutti, con vari gradi, hanno sbagliato qualcosa.

Soprattutto, con il passare dei giorni Djokovic è diventato materia di discussione politica. Per spuntarla, Morrison e il suo partito hanno giocoforza bisogno dell’espulsione. Perché le regole sono regole, per dirla con il primo ministro, e l’Australia fino a prova contraria al momento nega l’ingresso ai non vaccinati a meno che non dispongano di una valida esenzione. Se il governo sostiene che aver contratto la COVID-19 negli ultimi sei mesi non rappresenti un’eccezione, beh, allora sarebbe assurdo non intervenire a gamba tesa su Djokovic.

Anthony Albanese, leader del Partito Laburista all’opposizione, ha sfruttato l’impasse creatasi per picchiare duro sul governo: «Tutto ciò è diabolico per la reputazione dell’Australia in termini di competenza. La decisione avrebbe dovuto essere presa prima che a Djokovic fosse concesso il visto. O era idoneo o non lo era».

La pallina è nella metà campo di Alex Hawke. E pesa come un macigno, perché si trascina appresso la reputazione di un intero Paese.

© EPA/DIEGO FEDELE
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