Il caso

Djokovic, l’ossessione del ribelle

Domenica la decisione del Tribunale federale potrebbe mettere la parola fine alla partecipazione del serbo agli Open d’Australia – L’ostinazione anti-vaccinista del campione di Belgrado è stata letta dal Governo come un pericolo e, soprattutto, come un pessimo esempio
© AP/Mark Baker
Dario Campione
14.01.2022 20:08

Come sul campo, così in Tribunale. Novak Djokovic non si arrende. Mai. Almeno finché c’è un punto da giocare. Una pallina da rimandare dalla parte opposta della rete. È il suo modo di essere. Ostinato. Caparbio. Irriducibile.

D’altronde, non avrebbe potuto vincere 20 tornei dello Slam se, negli anni, non avesse fatto tesoro della sua qualità migliore. La stessa che adesso potrebbe però costargli la più grande umiliazione della carriera: l’esclusione dagli Open di Melbourne (e l’espulsione dall’Australia) per aver detto il falso. Per aver tentato di scavallare le regole che tutti gli altri hanno invece accettato. E di averlo fatto in forza di un convincimento anti-scientifico e in qualche modo irrazionale.

«Ci sono due soli modi di colpire, di diritto o di rovescio - dice Carlo Magnani, professore di diritto all’Università di Urbino e grande appassionato della racchetta, autore qualche anno fa di un divertente pamphlet sulla Filosofia del tennis - e questo è il risultato di una presa di posizione. La libertà, la necessità o il caso, dispongono di questa determinazione della volontà».

Djokovic si è preso la libertà di usare il rovescio contro il sistema e il virus, ma non aveva previsto il muro della necessità. O, forse, lo aveva sottovalutato. Pensando di far valere la propria forza al di là di ogni norma.

«Novak stabilisce le sue regole, questo è certo. Ha fatto qualcosa che pochi hanno osato da quando Atp e Tennis Australia hanno annunciato le condizioni per essere qui a Melbourne. Tra noi giocatori, nessuno immaginava di poter venire senza essere vaccinato - gli ha detto ieri in faccia il greco Stefanos Tsitsipas, numero 4 al mondo - Sembra che non tutti seguano le regole. E questa piccolissima minoranza fa sembrare la maggior parte degli altri giocatori degli idioti, in un certo senso».

Una giornata interminabile
Quella di oggi, per il tennista serbo, è stata una giornata interminabile. Iniziata con un normale allenamento e conclusa, a notte fonda, nuovamente davanti al giudice Anthony Kelly, lo stesso che 96 ore prima gli aveva aperto le porte del torneo annullando la cancellazione del visto decisa dalla polizia aeroportuale.

Come molti avevano previsto, il ministro dell’Immigrazione Alex Hawke ha esercitato il suo potere discrezionale e annullato il visto del campione di Belgrado. «L’ho fatto nell’interesse generale», ha detto Hawke nella sua unica dichiarazione pubblica, aggiungendo che «il Governo è fermamente impegnato a proteggere i confini dell’Australia, in particolare in relazione alla pandemia di COVID-19».

Hawke, alla fine, ha avuto la meglio sui possibilisti. E ha incassato anche il plauso del premier Scott Morrison, il quale ha coperto politicamente la decisione del suo ministro ricordando che l’annullamento del visto di Djokovic è stato preso «sulla base del fatto che ciò era nell’interesse pubblico. Questa pandemia è stata incredibilmente difficile per ogni australiano, ma siamo rimasti uniti e abbiamo salvato vite e mezzi di sussistenza. Insieme abbiamo mantenuto uno dei tassi di mortalità più bassi, salvaguardato l’economia e raggiunto livelli di vaccinazione tra i più alti al mondo. Gli australiani hanno fatto molti sacrifici durante questa pandemia e giustamente si aspettano che il risultato di quei sacrifici venga protetto».

L’ostinazione anti-vaccinista di Djokovic: questo, forse, era il vero ostacolo. Un macigno culturale, prima che sanitario. Un esempio da negare, come ha sottolineato in udienza l’avvocato del tennista, Nicholas Wood: «Djokovic è stato espulso perché secondo il Governo, rimanendo a Melbourne, avrebbe potuto causare una potenziale “eccitazione” nella comunità no vax; una scelta assurda, poiché è tutto da dimostrare che il potenziale sentimento no vax alimentato dal mio cliente possa avere un impatto reale soltanto se questi rimane in Australia». Come finirà lo sapremo soltanto domenica. Dopo il definitivo pronunciamento del Tribunale federale. Certo è che le cose non si mettono bene per il campione serbo. Intervistata dall’edizione australiana del Guardian, la professoressa Janina Boughey, associata di Diritto pubblico alla University of New South Wales di Sydney, è stata esplicita: «La discrezionalità di cui dispone il ministro dell’Immigrazione è molto ampia. Quindi, realisticamente, a meno che non siano stati commessi errori procedurali o non siano stati rispettati i termini di legge, è improbabile che Djokovic riesca a ribaltare la decisione. I suoi legali non si sono nemmeno potuti appellare a un Tribunale amministrativo. E davanti al giudice federale potrà essere effettuato soltanto un controllo giurisdizionale per stabilire se il potere del ministro sia stato esercitato legalmente».

L’atleta-soldato
«Se dovessi accostare Djokovic a un filosofo, questi sarebbe sicuramente Ernst Jünger, il pensatore soldato, esempio della cultura mitteleuropea critica con la modernità e con la tecnica, vista con sospetto». Carlo Magnani chiude idealmente l’ultimo capitolo del suo libro, dedicato a Roger Federer e Rafa Nadal e scritto prima che il campione serbo si affermasse come il terzo moschettiere del nuovo secolo tennistico. «Come l’autore del Trattato del ribelle, Djokovic sembra criticare la civiltà di massa che mette in discussione i valori eroici del singolo. Comportandosi come ha fatto, ha confermato la sua attitudine guerriera, di atleta che non si arrende - dice ancora Magnani, ammettendo di simpatizzare in qualche modo per il tennista di Belgrado - Certo, ha giocato anche sulla furbizia, non ha disdegnato qualche sotterfugio da leguleio. Ma la sua è stata comunque una sfida alla lettura moralistica del mondo: di qua il bene e di là il male. Non ne esce bene di fronte all’opinione pubblica conformista, ma resta un eroe: non soltanto dei no vax, ma di chi considera assurda l’impalcatura di obblighi costruita dagli Stati a causa della COVID».

Un eroe rimasto però solo. A giocare di rovescio, contro il muro, per placare la sua indocile ostinazione.

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