Il caso

«Jannik Sinner? Un'assoluzione logica»

Martial Saugy, ex direttore del laboratorio antidoping di Losanna: «Credo all'italiano, ma le contaminazioni involontarie sono una delle nostre sfide più grandi»
©Sam Greene
Flavio Viglezio
21.08.2024 18:00

Lo US Open – ultimo torneo stagionale del Grande Slam – è ormai alle porte. A tenere banco in queste ore è però il caso Sinner. Scagionato dall’Agenzia antidoping del tennis, l’italiano è però finito nella bufera dopo due test positivi al Clostebol (in quantità minime), uno steroide contenuto in una pomata cicatrizzante acquistata da un fisioterapista dello staff in una farmacia italiana per un taglio a un dito. Lo stesso fisioterapista avrebbe poi massaggiato Sinner senza guanti, venendo a contatto con alcune lesioni cutanee del numero 1 al mondo.

La rabbia dei colleghi

A molti tennisti – e non solo – l’assoluzione di Sinner non è andata giù. C’è chi molto semplicemente non crede alla versione dell’azzurro, mentre altri sono insorti per una presunta disparità di trattamento rispetto ad altri tennisti o ad atleti di altre discipline. Il primo a reagire è stato Nick Kyrgios: «Ridicolo, che sia stato accidentale o pianificato. Ti hanno fatto fare due test con una sostanza (steroide) proibita… dovresti stare fermo per due anni. Le tue prestazioni sono migliorate. Crema per massaggi… Sì, bella», ha scritto l’australiano su X. Molto critico anche il francese Lucas Pouille: «E cosa dire dei giocatori che sono stati squalificati solo per tre mancate presenze ai controlli e non sono mai stati testati positivi?». Non le ha mandate a dire nemmeno il canadese Denis Shapovalov: «Non riesco a immaginare cosa stiano pensando in questo momento tutti gli altri giocatori che sono stati squalificati per contaminazione da sostanze».

Il fisioterapista di Sinner e il dito curato con lo spray a base di Closterbol.
Il fisioterapista di Sinner e il dito curato con lo spray a base di Closterbol.

Un’ipotesi remota

Una polveriera pronta a esplodere, insomma. E allora proviamo a capirci di più con uno dei massimi esperti mondiali nella lotta al doping, il professore dell’Università di Losanna Martial Saugy, ex responsabile del laboratorio antidoping di Losanna. «Il Clostebol – spiega Saugy – è un sostanza molto conosciuta in Italia. Si tratta di un prodotto utilizzato per curare ferite superficiali della cute. Per quel che riguarda Sinner, siamo in presenza di un caso di “contaminazione involontaria” e più precisamente di “cross contamination” (contaminazione crociata): il Clostebol è stato trasmesso al tennista italiano dal suo fisioterapista».

Il mondo dello sport si chiede però se la difesa di Sinner sia sincera: «I casi di contaminazione involontaria rappresentano una delle sfide principali nella lotta al doping. Una delle più grandi paure di chi si occupa di questi casi è la possibilità di avere dei falsi positivi, con la possibilità purtroppo di punire chi non ha barato. Nei casi di cross contamination siamo spesso al limite. Quel che è certo è che un massaggio può portare ad una positività, come nel caso di Sinner. Non si può essere certi al cento percento che le spiegazioni dell’italiano non vogliano nascondere un caso di doping voluto, ma questa ipotesi mi sembra davvero remota. Il tennis lavora in maniera professionale nell’ambito dell’antidoping e i legali di Sinner hanno fornito motivazioni logiche e dettagliate. E la sentenza di assoluzione – che conta più di 30 pagine – è altrettanto logica e dettagliata».

Non sono un giurista, ma non ritengo che ci sia una disparità di trattamento. Le regole dell’Agenzia mondiale antidoping sono chiare: alla fine però sono giudici dotati di sensibilità diverse che prendono le decisioni, secondo appunto le loro convinzioni e le informazioni che hanno a disposizione
Martial Saugy, ex responsabile del laboratorio antidoping di Losanna

Capisco, ma non condivido

Crediamo allora alla buona fede di Jannik Sinner. Parecchi tennisti – lo abbiamo visto – si lamentano però per una presunta disparità di trattamento. L’italiano ha sempre potuto giocare, dopo aver inoltrato un ricorso a un tribunale indipendente. Per altri, in passato, non era stato così: «Io – prosegue Saugy – non sono un giurista, ma non ritengo che ci sia una disparità di trattamento. Le regole dell’Agenzia mondiale antidoping sono chiare: alla fine però sono giudici dotati di sensibilità diverse che prendono le decisioni, secondo appunto le loro convinzioni e le informazioni che hanno a disposizione. La stessa AMA, a volte, non è soddisfatta delle sentenze, ma l’indipendenza dei giudici deve essere garantita. Capisco benissimo la rabbia di alcuni atleti, ma il sistema funziona così».

Il tennis non è il ciclismo

Oltre a vari tennisti, anche il mondo del ciclismo non ha preso nel migliore dei modi l’assoluzione di Sinner. Nel gruppo delle due ruote si sussurra che se il protagonista della vicenda fosse stato un corridore, si sarebbe scatenata una vera e propria bufera. Stefano Agostini – professionista nel 2012 e 2013 – afferma che «io, per una quantità analoga di Clostebol, fui sospeso per 15 mesi. Non riuscii ad accettarlo e smisi di correre a 24 anni».

Saugy non ha dubbi: «Se a risultare positivo al Clostebol fosse stato un ciclista se ne sarebbe sicuramente parlato di più, ma sono certo che le conclusioni sarebbero state le stesse. Il mondo della bicicletta, anche per il suo passato, è più avanti del tennis riguardo all’antidoping. Il medico di una squadra ciclistica italiana non prescriverebbe mai una pomata a base di Clostebol: sa che non può essere utilizzata. E sa anche che un eventuale caso di positività legato a questa sostanza susciterebbe reazioni molto forti».

Tornando a Sinner, la WADA (l’Agenzia mondiale antidoping) ha la possibilità di ricorrere contro l’assoluzione del tennista italiano: «Sì, ma non credo che lo farà. Da un lato Sinner ha accettato di perdere i punti ATP e il montepremi vinto a Indian Wells. Dall’altro – come detto in precedenza – la situazione di “cross contamination”, e quindi di doping totalmente involontario, appare piuttosto limpida».

Nessun prodotto miracoloso

Alla luce di alcune prestazioni ai recentissimi Giochi olimpici, o allo strapotere di Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard al Tour de France, in parecchi si chiedono se il doping non abbia di nuovo preso un certo vantaggio su chi lo combatte. «Lo so – chiosa Saugy – in molti si domandano cosa assuma Pogacar per andare così forte. Conosco molto bene le organizzazioni che si occupano della lotta al doping nel ciclismo: oggi hanno mezzi all’avanguardia e svolgono un immenso lavoro di investigazione. Si cerca di giocare d’anticipo: ogni nuovo medicamento prodotto dall’industria farmaceutica viene testato. Si studia se le nuove molecole possano avere proprietà dopanti. Inoltre i ciclisti sono sottoposti a moltissimi controlli». Il ciclismo ha dunque definitivamente sconfitto la piaga del doping? «Personalmente non credo che sia stato trovato un nuovo prodotto dopante miracoloso, in grado di migliorare radicalmente le prestazioni come accaduto con l’EPO, con il testosterone e con l’ormone della crescita. Ai tempi di Lance Armstrong la lotta al doping era appena iniziata. E oggi i ciclisti sono maggiormente seguiti a tutti i livelli: medici, fisiologi e nutrizionisti non lasciano nulla al caso. Magari tra cinque anni verrò smentito, ma io mi sono divertito a guardare il Tour de France».

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