Tennis

La finale Sinner-Alcaraz è stata la migliore di sempre?

L’ultimo atto del Roland Garros non era mai stato in grado di offrire uno spettacolo del genere - Solo pochissime altre partite, nella storia dei tornei del Grande Slam, hanno toccato vette tanto epiche - Questa rivalità è già leggendaria e per svariati ex giocatori il livello è superiore a quello dei «Big Three»
©Reuters/Robert Szaniszlo
Alex Isenburg
11.06.2025 06:00

Non era attesa, di più. La si bramava, questa finale. E a giusta ragione, verrebbe da aggiungere a posteriori. Le premesse, d’altronde, erano quelle ideali. Seppur giovane, la rivalità tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz aveva già regalato - è proprio il caso di dirlo, dinnanzi a duelli del genere che sono un dono per gli occhi - delle battaglie degne di nota. A livello Slam si erano affrontati, in sequenza, agli ottavi (Wimbledon 2022), ai quarti (US Open 2022) e in semifinale (Roland Garros 2023). Hanno proceduto per gradi, insomma. E un gradino alla volta - nella scalata che porta verso l’Olimpo del tennis - hanno pure instradato il loro percorso nelle finali. Seguendo una perfetta parabola di climax ascendente, partendo dall’ATP 250 di Umago - e proseguendo con il 500 di Pechino e il recente Masters 1000 di Roma - sono giunti al tanto agognato ultimo atto di un Major. Laddove, in pratica, vengono scritte la pagine più iconiche di questo sport.

Paragoni prestigiosi

Ogni tanto, perfino le aspettative più mirabolanti vengono superate. Di rado, ma capita. Ebbene, questa è una di quelle circostanze. Una testimonianza - in favore della bontà del gioco espresso dal numero uno e numero due del mondo - è rappresentata dai termini di paragone. Già, perché la sfida disputatasi sul campo centrale di Parigi, ha fatto sì che venissero addirittura scomodate alcune delle migliori partite di sempre.

Per lasciare un’impronta di questo genere, è indispensabile, innanzitutto, poter contare su due protagonisti di un certo peso. Su questo aspetto di dubbi ce n’erano ben pochi. Già da tempo ormai - basti pensare agli ultimi sei Slam, vinti o dall’uno o dall’altro - Sinner e Alcaraz si sono presi, di forza, le redini del circuito ATP. Ma oltre a un’affascinante rivalità, per sfociare nell’epica sono richiesti degli ingredienti indispensabili all’interno di un match: il livello, in primis, ma anche la durata e l’andamento del confronto. E questi, effettivamente, ci sono stati, e pure in abbondanza.

Alla mente, allora, torna subito lo storico epilogo di Wimbledon 2008. Anche in quella occasione, infatti, ci fu una rimonta da due set a zero. Federer, però - a differenza da quanto compiuto da Alcaraz - non riuscì a completare l’opera. Ma i rimandi a quella memorabile edizione sono pure legati a una coincidenza incredibile: quel giorno Nadal mise in bacheca il suo quinto Slam a 22 anni, 1 mese e 3 giorni. Ossia, la medesima età con cui Alcaraz, domenica, ha conquistato il suo quinto titolo Slam. Lo ha fatto dopo 5 ore e 29 minuti di rara intensità, ricordando così l’estenuante ultimo atto australiano del 2012, quando Djokovic prevalse su Rafa dopo quasi 6 ore di lotta. E per trionfare il murciano ha dovuto annullare tre match point, perlopiù consecutivi. Mentre fu costretto a salvarne due, Nole, il 14 luglio del 2019. Quando a Londra - nella partita che, parafrasando J.K. Rowling, è diventata «Colei-Che-Non-Deve-Essere-Nominata» - si consumò un dramma sportivo. Prima ancora di Sinner, peraltro, Federer sperimentò che cosa significa perdere pur avendo conquistato un maggior numero di punti rispetto al proprio avversario. Non tutti, d’altronde, contano allo stesso modo.

Delle versioni 2.0

Le tre menzioni d’onore - riguardanti incontri del passato tra Federer-Nadal; Nadal-Djokovic; Djokovic-Federer - hanno un minimo comune denominatore, facilmente intuibile. E un quesito, di conseguenza, sorge spontaneo: rispetto ai «Big Three», dove si posizionano Sinner e Alcaraz?

A scoperchiare il vaso di Pandora - per giunta ancora in sede di presentazione della finale parigina - è stato John McEnroe. Per lui, Sinner e Alcaraz avrebbero ipoteticamente giocato da favoriti contro la miglior versione su terra battuta di Rafael Nadal. Con toni diversi, e forse con un pizzico di azzardo in meno, gli hanno poi fatto eco altre spiccate personalità del mondo del tennis. A cominciare da due ex giocatori svedesi, Mats Wilander e Robin Söderling. Per loro, il duo italo-spagnolo ha «portato il tennis su un altro livello». Allo stesso modo, inoltre, la pensa il celeberrimo allenatore Patrick Mouratoglou, secondo il quale, in aggiunta, per stile «Sinner è una versione 2.0 di Djokovic: rispetto al serbo è più aggressivo, poiché è capace di imprimere una maggior velocità alla pallina e la colpisce con più anticipo. In termini di tipologia di gioco - ha sottolineato il francese - Alcaraz è una versione 2.0 di Federer, meno elegante ma più efficiente dal punto di vista fisico».

Il ragionamento di fondo di Mouratoglou è del tutto condivisibile e va anche al di là del tennis. Qualsiasi disciplina, con il passare del tempo, è destinata a migliorarsi, per via di una professionalizzazione costantemente al rialzo, che comporta altresì attrezzature superiori e una condizione fisica migliore. Questo aspetto, tuttavia, rende difficile - e per taluni anche ingiusto - comparare varie ere. Quel che è certo, è che - dopo averci deliziato per quasi due decenni - i «Big Three» hanno consegnato il tennis nelle mani giuste. A pagarne le conseguenze è stata un’intera generazione, quella nata negli anni ‘90, tanto che tra di loro soltanto in due, Thiem e Medvedev, hanno conquistato una prova dello Slam. Sinner e Alcaraz - nati e cresciuti negli anni 2000, nell’epoca d’oro della disciplina - insieme sono già arrivati a quota otto.

Presto arriva il bis?

Non può essere chiaro, allo stato attuale, quanto l’egemonia di Sinner e Alcaraz sia destinata a durare. La grandezza dei «Big Three» è stata anche quella della longevità. Per quanto ammirato sul Philippe Chatrier, l’asticella comunque è stata posizionata in altissimo. Essendo stata, questa, soltanto la prima finale - probabilmente di molte - a livello Slam, che cosa ci possiamo aspettare da due giovani fenomenali del genere? Lasciarsi ingolosire è più che lecito. L’appetito, si sa, vien mangiando e lo sguardo, in questo senso, è rivolto al prossimo grande appuntamento. Wimbledon è il palcoscenico perfetto per assistere a una nuova epica sfida e per alimentare una rivalità che già sin d’ora è da considerarsi leggendaria.

I favoriti, va da sé, saranno loro. Nonostante ciò, la corta stagione sull’erba tradizionalmente avvicina il valore medio dei giocatori e permette a una schiera di tennisti, invero poco nutrita, di esaltarsi in quanto «specialisti» della superficie. In questo senso, Alcaraz - pur perdendo l’unico precedente al cospetto del rivale altoatesino - ha dimostrato di sapersi esaltare anche a Church Road. I due successi consecutivi - maturati entrambi a discapito di Djokovic, che non va affatto sottovalutato - ne sono una perfetta dimostrazione. Allo stesso tempo però, anche sulla terra battuta, in linea teorica, l’iberico avrebbe dovuto avere un certo gap sul numero uno del mondo, re indiscusso del cemento. Un divario che, a conti fatti, non si è visto e non è da escludere, perciò, che l’equilibrio totale si ripresenti tra circa tre settimane.

Sarebbe entusiasmante, di certo, e starebbe a significare un’ulteriore vittoria per il tennis. Federer in persona ha accolto proprio così il meraviglioso spot che Sinner e Alcaraz hanno appena dedicato a questa disciplina.