L’incrocio

La pazienza del vecchio campione e l’eccellente debutto di Berrettini

Roy Emerson accompagna la moglie al primo incontro vittorioso di Casper Ruud e non viene riconosciuto da un securitas — Poi è sceso in campo l'italiano, che ha sconfitto Richard Gasquet
Dopo un’attesa di tre giorni, è finalmente sceso in campo anche l’italiano Matteo Berrettini, che ha battuto il francese Richard Gasquet. ©KEYSTONE/PETER SCHNEIDER
Raffaele Soldati
22.07.2022 06:00

Ci sono voluti tre giorni per vedere in campo i «tenori». Attese trepidanti per i tifosi. E anche per chi osserva il tennis con piacere, ma oggi anche con un po’ di distacco. «Di partite ne ho giocate tante e viste anche troppe nella mia vita. Adesso mi accontento di seguire in tivù le finali dei grandi appuntamenti, soprattutto le prove del Grande Slam», ci aveva detto Roy Stanley Emerson mercoledì in tarda mattinata. Sua moglie, Joy, aveva cercato di convincerlo a scendere nell’Arena dicendo che voleva assolutamente dare un’occhiata al suo tennista preferito del momento, il norvegese Casper Ruud. «Roy, ti ricordi che l’abbiamo visto vincere qui lo scorso anno? Mi piacerebbe se ci riuscisse ancora. Poi l’abbiamo rivisto nella finale del Roland Garros, dove però ha perso male contro Nadal. Oltre ad essere un gran bel ragazzo, è anche simpatico. Dobbiamo assolutamente andare all’Arena e tifare per lui». Emerson le aveva risposto che le previsioni del tempo davano temporali e che «non valeva la pena di inzupparsi inutilmente, senza magari vedere neppure uno scambio».

Aveva visto giusto il vecchio Roy. Gran parte delle partite del mercoledì sono infatti state cancellate. L’australiano, vincitore di 28 titoli del Grande Slam (12 in singolare) negli anni Sessanta e Settanta, ha preferito raccontare lungo i corridoi del Palace di Gstaad storie d’altri tempi, legate a fotografie d’epoca. Immagini che considerava decisamente più familiari rispetto ai campioni di oggi. «Guarda - ha detto indicando una grande foto appesa alla parete - riconosci questo signore che pattina sul ghiaccio all’esterno dell’Hôtel, dove d’estate noi giocavamo gli incontri di tennis?». Timidamente, facciamo segno di no. E lui, serafico, ha proseguito il suo racconto: «Questo signore era Jaroslav Drobny, nato a Praga nel 1921 e morto a Londra nel 2001. Nella sua carriera da tennista conquistò tre volte gli Internazionali d’Italia, ma si impose anche due volte al Roland Garros e una a Wimbledon. Parliamo degli anni Cinquanta. Gli appassionati di hockey lo ricordano però per altre imprese. Con la Repubblica Ceca conquistò l’argento olimpico alle Olimpiadi del 1948. L’ho conosciuto anni dopo, perché anche lui, nel 1983, era stato inserito nella Hall of Fame del tennis».

Visto l’interesse per l’argomento, Roy Emerson ha detto che conosceva altre storie legate alle immagini sulle pareti. La moglie lo ha però sollecitato a interrompere la sua chiacchierata perché iniziava a farsi tardi.

Bloccato all'uscita

Sono trascorse poco più di ventiquattro ore ed ecco il nostro secondo incontro con i coniugi Emerson. Insieme abbiamo proseguito il percorso verso l’uscita, diretti al punto d’incontro per le interviste ai vincitori. Il norvegese Ruud l’aveva appena spuntata sul ceco Jiri Lehecka (6-3 6-4) ed era pronto a parlare con i giornalisti. Roy Emerson, un po’ affaticato, avrebbe tanto voluto prendere la via più corta per il «villaggio» del torneo, ma un securitas, senza riguardo, l’ha bloccato in modo scortese. «Di qui non passa nessuno», gli ha detto stizzito. La moglie Joy, con pazienza, ha cercato di fargli capire che il signore con il quale stava parlando era Mister Roy Emerson. Avrebbe tranquillamente potuto aggiungere che aveva vinto 5 volte a Gstaad e che anche per questo gli avevano intitolato l’Arena. Roy le ha preso dolcemente il braccio e le ha detto sottovoce, «non perdiamo tempo inutile, andiamo. Se vuoi ascoltare il giovane Casper Ruud, ti aspetto qui fuori». Insieme si sono allontanati tra la folla.

Dopo una giornata in tutti i sensi grigia, gli appassionati di tennis hanno finalmente potuto sorridere. Al successo di Ruud, ha fatto seguito quello di Matteo Berrettini contro il francese Richard Gasquet (6-4 6-4): il vincitore del 2018 contro quello del 2006. Un match piacevole da osservare, ma senza grandi emozioni con l’italiano molto più presente in campo. «Sono arrivato a Gstaad diversi giorni fa - ha detto - sapevo che non avrei iniziato a giocare prima di mercoledì. Pensavo di dover iniziare con il doppio, insieme a mio fratello Jacopo, ma purtroppo si è fatto male in allenamento. Un problema all’anca, che però non dovrebbe procuragli complicazioni. L’attesa, che si prolungata per il maltempo, non mi ha snervato. Mercoledì guardavo fuori dalla finestra, sentivo la pioggia e i temporali. Ci sono state diverse interruzioni degli incontri con il telone che si è aperto e chiuso a più riprese. Il tempo cambia veloce in montagna. Mi dispiace solo per chi sperava di vedermi in campo prima. Adesso, comunque, non ci dovrebbero più essere intoppi. La mia speranza è quella di poter restare qui fino a domenica. E, chissà, magari ripetere il successo del 2018».

Fondue digerita

Dicono che tra Berrettini e Gstaad ci sia un’ottima sintonia. «Lo confermo. Quando sono arrivato mi sono mangiato una fondue, che non è il massimo della leggerezza. L’ho digerita bene. Per quanto riguarda gli incontri, ho iniziato come volevo». Ora lo aspetta lo spagnolo Pedro Martinez.