«Uomo normale, campione esemplare»

Il suo libro è un bel regalo per gli amanti del campione.
«Il merito va al mio editore, che mi aveva proposto l’idea nell’estate del 2017. Confesso che, inizialmente, ero un po’ preoccupato. Ho studiato Federer in azione in tante occasioni, rincorrendolo un po’ ovunque. Attraverso articoli e interviste ho raccolto parecchio materiale che poteva essere riutilizzato per qualcosa di più curioso e, mi auguro, di ancora più gustoso. Oltre a essere un fenomeno del tennis, il basilese è anche una persona squisita, uno che non se la tira, con il quale è davvero piacevole parlare. Mi auguro che dal volume non emergano solo gli exploit sportivi, che naturalmente sono una parte importante della sua vita, ma soprattutto l’uomo».
In un’intervista di diversi anni fa lei ha affermato che tra i suoi tennisti preferiti c’è Rafael Nadal. Poi ha aggiunto che la partita che più di tutte l’ha emozionata è stata la vittoria a Wimbledon del maiorchino nella finale del 2008 (9-7 al quinto). Ancora oggi sceglierebbe quel match?

«Le rispondo che ho una grande stima per Roger, ma anche per Rafa. Lo stesso Federer, ricevendo il Laureus Award, ha detto che lo spagnolo è il giocatore che più di tutti gli ha dato lo stimolo a progredire. Senza di lui non sarebbe mai diventato il campione che è. Quanto alla finale del 2008, sì, la sceglierei ancora. In quell’occasione l’elvetico uscì sconfitto, ma il match fu unico per la sua intensità. Voglio dire che, al di là del risultato, quello resta l’incontro più bello al quale ho potuto assistere dal vivo. Ero presente come giornalista e ho condiviso con entrambi gli stati d’animo di un match fantastico, interrotto dalla pioggia, poi ripreso e concluso in tarda serata. Sì, per me quella è stata la partita più bella. E non c’entra nulla con il tifo o con le simpatie personali. Se Roger è un campione esemplare, lo stesso si può dire di Rafa, che ha caratteristiche opposte. I due d’altra parte hanno un rapporto di reciproca stima e amicizia. Lo hanno dimostrato con le esibizioni benefiche, ma anche sul campo quando hanno giocato in doppio nella prima edizione della Laver Cup».
Nel suo libro parla di Roger, ma anche di diversi altri giocatori, da Agassi a Djokovic, senza dimenticare Murray.
«È stato interessante rivedere le loro dichiarazioni e i loro giudizi su Federer. Ognuno ha aggiunto un tassello al mosaico di un personaggio che ha realizzato qualcosa di straordinario. Penso ai venti Slam, ai 97 tornei vinti in carriera e al fatto che sia tornato in testa al ranking dopo oltre cinque anni smentendo molte Cassandre. Sedicenti esperti che più volte gli avevano predetto un triste finale di carriera. Roger invece è nuovamente tornato ai vertici del ranking ATP, senza alcuna spocchia o malevolenza nei confronti delle malelingue».
Nel 2019 la mitica Coppa Davis lascerà il posto a una nuova competizione a squadre, con un’unica sede e con 18 nazioni che lottano per il titolo sull’arco di una settimana. Quali sono le sue impressioni su questa novità?
«Passerò per un nostalgico passatista, ma non vedo di buon occhio un cambiamento così radicale. La Davis avrebbe potuto restare la Davis, magari con qualche aggiustamento per renderla più moderna. Snaturarla completamente, togliendole il pathos dei match casalinghi o di quelli in trasferta, mi sembra rischioso. Dallo scorso anno è stata introdotta la Rod Laver Cup, un torneo a squadre con caratteristiche diverse, simili a quelle della Ryder Cup del golf. No, mi auguro davvero che il futuro della Davis non sia quello che ci hanno presentato».
Come è nata la sua passione per il tennis?
«L’ho raccontato in un altro mio libro, Centre Court. Avevo 7 anni e mio padre mi portò a vedere una giornata al torneo ATP di Bologna. Vidi Rod Laver e da allora la passione non mi ha più lasciato. Anzi, è cresciuta con gli anni. E a questa crescita hanno contribuito moltissimo Federer e Nadal».