Paso doble / 16 settembre 1981

«The Showdown» a Las Vegas: la sfida tra Leonard e Hearns

Il quarantesimo anniversario dello storico match tra due fenomenali pesi welter - L’ultima vera grande stagione della boxe mondiale e l’inizio del suo declino.
L’incontro tra Ray Sugar Leonard e Thomas Hearns (a destra) marcò un’epoca, quella di un pugilato più nervoso e spettacolare. © AP/Photo
Stefano Marelli
16.09.2021 06:00

Nella seconda metà degli anni ’70, con l’avvicinarsi del tramonto di Mohammad Alì e di chi aveva cercato con alterne fortune di detronizzarlo, l’attenzione di promoter, media e appassionati di boxe - dai pesi massimi che avevano in pratica monopolizzato gli ultimi vent’anni - si spostò verso fighters più leggeri e agili, portatori di un pugilato più nervoso e spettacolare. Archiviata l’epopea di figure del calibro di Clay, Liston, Frazier e Foreman - sostituiti da pugili meno forti e assai meno sexy quali Holmes e Berbick - si era aperta l’era di atleti e personaggi straordinari come Roberto Duran, Thomas Hearns, Sugar Ray Leonard e Marvin Hagler, folletti a cavallo dei 70 kg capaci per quasi un decennio di oscurare il mito e il prestigio della massima categoria di peso.

Fra i match più significativi di quel periodo, il 16 settembre di 40 anni fa si disputò a Las Vegas la sfida fra Leonard e Hearns - sulle 15 riprese - che avrebbe unificato il titolo mondiale dei welter. Collezionista di Golden Gloves, oro olimpico nel ’76 e pupillo di Mohammad Ali, Leonard a 25 anni sta vivendo una strepitosa ascesa culminata 10 mesi prima, a New Orleans, con la rivincita vittoriosa sul già citato panameño Roberto Duran - il più anziano dei 4 moschettieri, un modello per tutta una generazione di pugili - nel celebre match in cui Manos de piedra gettando la spugna avrebbe detto «No mas!» Proprio come Ali, Sugar - detentore della corona WBA - è sorridente e fotogenico, potenzialmente un nuovo OJ Simpson, tv e sponsor lo coccolano e lo coprono di soldi. Comunque vada a finire il match, quella sera si porterà a casa 11 milioni di dollari.

Thomas «The Hitman» Hearns - nato nel Tennessee ma cresciuto a Detroit - invece ha una faccia da galera tipo Scottie Pippen e un soprannome che inquieta non solo gli avversari, ma anche i pubblicitari, che non se la sentono di investire molto su di lui: difficile immaginare di vendere cornflakes grazie a un ceffo detto «Il Sicario». Il suo record però parla chiaro: è imbattuto (ha vinto per KO 30 volte su 32), a 22 anni è già padrone della cintura WBA (strappata al grande Pipino Cuevas) e l’anno precedente Ring Magazine - una sorta di Bibbia della boxe - lo ha eletto pugile dell’anno. Nonostante ciò, vinca o perda, nelle sue tasche finiranno soltanto 5,1 milioni.

Sugar e Tommy non potrebbero essere più diversi: il primo, tanto è proporzionato, pare il modello ispiratore degli scultori greci, mentre il secondo, arti scheletrici e lunghissimi montati su un tronco minuscolo, sembra messo insieme con pezzi raccattati qua e là. Opposto è pure lo stile: Sugar danza elegante e «porta» solo quando è certo di andare a segno, senza sprecare un solo pugno. Guardandolo boxare, l’esteta se la gode. Tommy invece, disegnato a quel modo, risulta scoordinato ma solo in apparenza. Possiede in realtà castagna mortifera e allungo da record. Il solo punto in comune lo troviamo fuori dal ring: entrambi nati nel sud segregazionista - da piccolissimi si trasferirono al nord al seguito delle famiglie in cerca di lavori migliori e maggior dignità. Hearns dal Tennessee a Detroit, Leonard dal North Carolina al Maryland.

La resa dei conti

Come tutti i grandi match - vedi The rumble in the jungle o The thrilla in Manila - la sfida del 1981 ebbe nome e cognome ancor prima che andasse in scena: The Showdown, la resa dei conti. L’interesse attorno all’evento era enorme, certo non circoscritto ai soli USA, ma di dimensioni planetarie. E lo dimostra il fatto che il main sponsor fosse il consorzio europeo IVECO. Ring e tribune per 24mila spettatori vennero allestiti sui campi da tennis di proprietà del Ceasar’s Palace e nel parterre, boccheggianti per i 33 gradi della tarda serata, sedevano star come John McEnroe, Jack Nicholson, Bo Derek, Kareem Abdul-Jabbar, e il reverendo Jesse Jackson. Interrogati sul pronostico, Joe Frazier disse Leonard, Emile Griffith scelse Hearns, mentre Joe Di Maggio non seppe decidersi. Sul divano di casa, birra in mano, si stima ci fossero invece 300 milioni di appassionati di tutto il mondo sintonizzati sulla diretta dal Nevada.

Alla pari per i bookmaker

Nel pre-match, le telecamere indugiano sull’angolo di Ray, in cerca del faccione italiano di Angelo Dundee, trainer di Clay per oltre 20 anni e ora mentore di Leonard. Ai «secondi» di Hearns invece dedicano solo poche fugaci inquadrature, segno che anche la TV, come gran parte degli spettatori, ha già scelto il proprio cavallo. Al botteghino, però, i bookmaker li danno praticamente alla pari. I pugili vestono entrambi bermuda bianchi, ma non c’è alcun rischio di confonderli: provvisto di gambe esageratamente lunghe, Tommy è 7 cm più alto (185 cm contro 178) e magro all’inverosimile; al peso infatti, la vigilia, ha fatto segnare cinque etti meno dei 66,2 kg dell’avversario. Quando lo speaker termina le presentazioni, l’arbitro Davey Pearl chiama i contendenti a centro ring, gli ricorda di non fare i furbi, manda fuori i secondi e dichiara aperte le ostilità.

Secondo copione, Hearns si prende il centro del quadrato e inizia, come un metronomo, a portare jab di disturbo alternati a fulminei ganci e diretti che spesso vanno a bersaglio. A Sugar e ai ponpon che gli pendono dagli stivaletti non resta che girare in tondo cercando di limitare i danni. Il gong che chiude i primi 3 minuti giunge nel bel mezzo di un’azione di Tommy, che invece di arrestarsi subito lascia partire un ultimo uno-due. Leonard allora gli appoggia un guanto in faccia per allontanarlo e Hearns reagisce tornando a colpirlo. La folla ruggisce eccitata, e l’arbitro perdona entrambi. Il canovaccio si ripete identico per i primi 5 round, che Hearns si aggiudica senza discussione.

Sugar le sta buscando, l’occhio sinistro gli si gonfia come un’arancia, ma tornando all’angolo per sedersi, alza le braccia al cielo come fosse il vincitore. Pare una spacconata, ma in realtà è il primo segnale di riscossa: a metà della sesta ripresa, infatti, Leonard riesce a portare i primi colpi degni di questo nome. Hearns accusa, all’improvviso par aver finito la benzina ed è spesso costretto alle corde da Sugar, che si aggiudica 3 round consecutivi. Alla fine dell’8., The Hitman raggiunge lo sgabello barcollando come un ubriaco. A bordo-ring i più esperti rimarcano che nella stragrande maggioranza dei suoi incontri - tutti vinti - Hearns ha sempre liquidato la pratica entro le prime 3 riprese; non è avvezzo a maratone come quelle di stasera, e si vede bene. Riposare però gli fa bene, e nel nono round dà segni di ripresa, anche perché Sugar - dopo una decina di minuti col gas pigiato al massimo - molla un po’ la presa: deve rifiatare e in qualche modo preservare l’occhio mancino, ormai quasi chiuso del tutto. Un paio di riprese interlocutorie fanno tornare la bilancia a pendere per Hearns, che a inizio match aveva accumulato un vantaggio notevole. Leonard sa che ai punti uscirebbe sconfitto. Se vuole vincere deve trovare il KO. Nel 13., Hearns subisce un montante al mento che lo lascia groggy e Sugar ne approfitta per scaricargli addosso un paio di serie furibonde, per sottrarsi alle quali Tommy si lascia inghiottire dalle corde e poggia il culo fuori dal ring. Però non viene contato, secondo l’arbitro c’è stata una spinta. Lo spilungone però è ormai sfinito, irrigidito sulle sue gambe da fenicottero. I 30 secondi che mancano alla fine del round sono per lui uno strazio: quell’uppercut destro ha davvero lasciato il segno. Finisce di nuovo fuori dal quadrato, stavolta viene contato, e a salvarlo è solo la campanella. A finire Tommy sarà un gancio destro amplissimo e pesante come travertino: rimane in piedi, ma i suoi riflessi sono ormai un ricordo, e dopo un’ultima decina di colpi al volto e alla figura ai quali non sa rispondere, l’arbitro decreta il KO. Mancavano 1’15” al termine della 14. ripresa.

Iniziò l’era di Tyson

La passione sfrenata per medi e welter durò circa un decennio, fin quando non detonò il fenomeno Tyson, la cui forza bruta ristabilì l’ordine naturale delle cose, e la gente tornò a seguire gli scontri fra i giganti. Era il 1986, una star assoluta era nata, ma la boxe eroica, quella dei bei tempi andati - quando i pugili erano glamour come gli attori di Hollywood e non c’era da vergognarsi se i ragazzini sognavano di salire un giorno sul ring - stava cominciando inesorabilmente ad agonizzare.