L'intervista

Uli Forte: «La precarietà in panchina? Non mi spaventa più»

Abbiamo fatto una bella chiacchierata con l'allenatore del Neuchâtel Xamax in vista del match di domani al Comunale
Uli Forte è giunto a Neuchâtel lo scorso 25 aprile. © Keystone/Peter Klaunzer
Maddalena Buila
09.12.2023 06:00

Domani al Comunale arriverà il Neuchâtel Xamax. Sarà dunque battaglia tra la terza della classe e l’ottava forza del campionato. Zone alte della classifica in cui i romandi si sono insediati da inizio stagione, dopo aver flirtato con la retrocessione lo scorso anno. Autore del salvataggio in extremis era stato Uli Forte, tecnico confermato con cui abbiamo fatto una bella chiacchierata.

Signor Forte, domani sarete ospiti al Comunale. Che lettura dà alla prima parte di stagione del Bellinzona?
«Partirei da un dato: nelle ultime 7 partite i granata hanno racimolato 14 punti. Una media spaziale. I sopracenerini stanno attraversando un periodo molto buono, e su questo ho messo in guardia anche i miei ragazzi. Ci aspettiamo una partita molto dura».

Come descriverebbe invece il percorso finora tracciato dalla sua squadra?
«Abbiamo cominciato la stagione molto bene, forse troppo (sorride, ndr). In seguito ci siamo un po’ persi, ritrovando poi il filo del discorso grazie a una buona continuità. Ciò che però ci manca da diverso tempo è una vittoria in casa. Tuttavia, al di là di questo aspetto, la definirei un’annata positiva finora».

Lei è seduto sulla panchina dei romandi solo dallo scorso aprile. Eppure in poco tempo è riuscito a evitare una retrocessione in Promotion League, per poi flirtare con la vetta della Challenge League. Si sente già molto legato a questo club?
«Assolutamente. Lo Xamax ha tanta tradizione e gioca in uno stadio che ha un fascino davvero particolare. Questa sensazione l’ho sempre percepita, ogni volta che mi sono presentato alla Maladière con ciascuna squadra che ho allenato. La casa del Neuchâtel è stata infatti una delle ragioni per cui ho deciso di abbracciare questo progetto. La piazza poi è incredibile, ama il calcio e ci spinge affinché si riesca a raggiungere traguardi importanti. Ed è proprio in questa direzione che stiamo lavorando».

In che modo ha approcciato la fine della scorsa stagione? In altre parole, cosa ha detto ai suoi ragazzi per evitare che facessero un clamoroso passo indietro di categoria?
«Quando sono arrivato a Neuchâtel, a 6 partite dal termine del campionato, per me era chiaro che l’unico obiettivo era evitare la retrocessione. C’erano invece altre voci che consideravano come plausibile il sorpasso sul Bellinzona, in quel momento penultimo in classifica. Appena le ho sentite ho subito messo in chiaro le cose, ovvero che l’unica cosa su cui dovevamo focalizzarci era la battaglia per evitare la Promotion League. E così abbiamo fatto».

Nel caso specifico del mio ingaggio a Neuchâtel, non ho mai percepito pressione. Ho sempre lavorato bene con tutti

Nel caso in cui non fosse riuscito a scampare alla retrocessione sarebbe rimasto comunque a Neuchâtel?
«No. Il mio contratto era valido solo per la Challenge League».

Come vive personalmente questa stretta relazione tra ingaggi di allenatori e risultati che devono arrivare immediatamente?
«Piuttosto bene. Anche questo è il calcio. Uno sport che negli anni è mutato, diventando sempre più esigente. Nel caso specifico del mio ingaggio a Neuchâtel, però, non ho mai percepito pressione. Ho sempre lavorato bene con tutti».

Senza nulla togliere al club romando, il suo curriculum vitae parla di esperienze su panchine decisamente più prestigiose in Super League. San Gallo, Young Boys, Zurigo, per citarne alcune. Sarebbe contento di tornare ad allenare nel massimo campionato?
«Perché no? Al momento però mi trovo bene dove sono. Sono tanti anni che alleno e ho capito una cosa: bisogna essere bravi ad adattarsi. Nell’estate del 2022, per esempio, ho fatto la mia prima esperienza fuori dai confini nazionali, in 2. Bundesliga con l’Arminia Bielefeld. Purtroppo non è stata una collaborazione duratura. Da qui ho capito che avrei dovuto fare un passo indietro. Ricominciare dal Neuchâtel Xamax è dunque stata un’ottima cosa».

Cosa è successo esattamente tra lei e il club tedesco, dove è rimasto per poco più di un mese?
«Si è trattato di una costellazione negativa di eventi. Innanzitutto la squadra arrivava da una retrocessione dal massimo campionato. Inoltre in Germania non ho percepito il sostegno di cui avrei avuto bisogno. Da qui l’addio dopo poche partite. Dopo di me sono arrivati altri due allenatori, che non sono riusciti a evitare la discesa in 3. Lega. Ora addirittura l’Arminia Bielefeld lotta per non incappare in un nuovo scivolone. Probabilmente hanno dei problemi di fondo».

Anche in questo caso estendiamo il discorso. Considera una sfida allettante o una spada di Damocle la perenne possibilità che un tecnico possa venir allontanato da un club da un giorno all’altro?
«Dopo tanti anni di esperienza non vivo più con paura questo aspetto. Fa parte del gioco. La mia è una delle professioni più incerte di tutte. Se lavorassi in ufficio non verrei licenziato dopo una settimana in cui ho lavorato un po’ meno bene del solito. Personalmente non sono un fan delle recenti tendenze che vedono la testa degli allenatori cadere per prima in caso di problemi. Chiaro, io sono di parte, ma questo trend comunque preoccupa e non saprei come porvi un freno».

A Neuchâtel si è spostato anche con la famiglia?
«No, è rimasta a Zurigo. I miei quattro figli d’altronde hanno lì la loro vita. Quando posso prendo un treno e li raggiungo».

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