Un po' saggio, un po' amaro: «Non volevo smettere così»

Mauro Caviezel, in carriera, ha raccolto meno di quanto meritasse. E, sì, è più di una sensazione. Quasi una certezza. D’altronde, senza determinate qualità - tecniche, fisiche e mentali - non si conquista una coppetta di specialità. Poco importa la disciplina. Il grigionese vi era riuscito al termine della stagione 2019-20, in superG. Senza però mai vincere una gara. Due secondi e un terzo posto e tanti buoni piazzamenti, a riprova di un potenziale importante ma - appunto - rimasto per certi versi inespresso. Colpa altresì dei tanti, troppi infortuni che hanno inevitabilmente segnato la carriera del velocista elvetico. Incrinandola più volte. Sino a spezzarla. Già, dopo l’annuncio di qualche giorno fa, oggi Caviezel ha dato sostanza al suo addio alle competizioni. Un addio prematuro, forzato dall’ennesimo incidente sugli sci: il brutto trauma cranico rimediato a Lake Louise, a fine novembre. «Un addio difficile» ha aggiunto il diretto interessato a Wengen, vicino alle lacrime, alla vigilia del superG che avrebbe tanto voluto correre. «Le prove sul Lauberhorn, d’altronde, sono state le mie preferite sin da piccolo».
La liste dei pro e dei contro
E invece no. Il 34.enne grigionese non tornerà a calzare scarponi e vestire tuta e pettorale. Basta corse contro il tempo e, a oltre 100 chilometri orari, ricerche della linea perfetta. «Invero, non era previsto che mi fermassi dopo l’ultimo infortunio» ha spiegato. «Sì, speravo di poter svolgere altre prove. Non volevo uscire di scena in questo modo. La forza di volontà, però, da sola non basta. Dopo un’attenta riflessione ho quindi deciso di fermarmi». Lo sciatore svizzero ha quindi precisato la genesi della scelta sofferta. «A inizio anno ho effettuato una giornata sugli sci. La sera, ho quindi stilato una lista di pro e contro insieme alla mia ragazza. Ebbene, nonostante non mancassero le ragioni per continuare, gli argomenti contrari si sono rivelati semplicemente più forti». Gli infortuni, dicevamo, sono infatti stati parecchi. «È vero» riconosce Caviezel, che aveva saltato di netto l’ultima stagione. Olimpiadi comprese. «Questi episodi mi hanno reso la persona che sono oggi. Anche se continuare a rientrare, ancora e ancora, alla lunga rende tutto più complicato. Se mi guardo alle spalle, e osservo la mia carriera, posso comunque ritenermi soddisfatto. I risultati non sono mancati».


Oscurato da Kilde
La parabola di Caviezel si è dunque chiusa dopo 110 gare in Coppa del Mondo, 12 podi e la conquista della classifica di superG poco meno di due anni fa. Curiosità: l’atleta rossocrociato non ha mai concluso nella top3 nelle gare casa. Ma è a St. Moritz che Mauro è riuscito a mettersi al collo l’unica medaglia della carriera: il bronzo in combinata, nel quadro dei Mondiali del 2017. Caviezel, 34 anni, si è imposto nel Circo bianco solo di recente. Forse troppo tardi. L’esplosione del norvegese Aleksander Aamodt Kilde - sommata alla costanza di rendimento di Vincent Kriechmayr - hanno indubbiamente sottratto un pizzico di gloria al grigionese, inseparabile dal fratello Gino. «Naturalmente le cose cambieranno anche per lui» ha riconosciuto il maggiore dei Caviezel. «Abbiamo viaggiato fianco a fianco per anni. Continuerò ad aiutarlo in futuro, ma non voglio interferire con la sua carriera».
L’omaggio di Odermatt
Mauro Caviezel non è stato un punto di riferimento solo per Gino. «Sei stato il più grande lottatore che ho incrociato sulla mia strada» l’omaggio pubblicato su Instagram da Marco Odermatt. E non sorprende, dunque, che alla domanda circa il suo futuro, Caviezel abbia risposto così: «Ho bisogno di qualcosa che mi metta alla prova».
Il tempo per riordinare idee e obiettivi, in ogni caso, non manca all’oramai ex sciatore svizzero. La priorità, ora, è la completa guarigione dal trauma cranico subito in Canada. «Mi sento meglio. Ci sono ancora alcune cose che richiedono tempo, ma sono sulla strada giusta. Per fortuna ricordo tutto del mio incidente» ha sottolineato Caviezel. Per il quale, tuttavia, è arrivato il momento di dire basta. «È giusto così. Non mi resta che fare il tifo ai colleghi di lunga data al traguardo del Lauberhorn». Le ultime parole, prima di raccogliere i meritati applausi della sala.