Calcio e politica

Un silenzio assordante in risposta al regime

I giocatori dell’Iran non hanno cantato l’inno nazionale per protestare contro le violenze perpetrate dal governo degli ayatollah dopo l’uccisione di Masha Amini – Il ct Queiroz: «Ora, però, lasciate in pace i miei ragazzi, hanno il diritto di godersi il Mondiale»
Massimo Solari
21.11.2022 22:45

Un momento toccante. Da brividi. No, i giocatori dell’Iran non hanno cantato l’inno all’esordio mondiale. Un gesto forte. Un gesto attesissimo. Che la porzione di tifosi presenti al Khalifa Stadium ha accolto con trasporto. Applausi e lacrime, accompagnati da messaggi al regime degli ayatollah. Woman, life, freedom. Insomma, al netto dei protocolli e dell’asservimento alla famiglia reale, la FIFA non ha potuto soffocare anche la protesta per le violenze perpetrate dal Governo di Teheran.

Tumulti e malessere

All’esterno dell’impianto, oltre alla rabbia dei tifosi inglesi per la panne che ha fatto sparire centinaia di biglietti dall’app ufficiale di Qatar 2022, è risuonato ancora e ancora il nome di Masha Amini. L’uccisione della giovane da parte della polizia iraniana - dopo l’arresto con l’accusa di non aver indossato l’hijab - sta scuotendo il Paese da oramai diverse settimane. Si stimano oltre 400 morti dovute alla repressione e migliaia di imprigionamenti. Messi sotto pressione dalla Federcalcio iraniana e, di riflesso, dalla guida suprema della Repubblica islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, i rappresentanti del Team Melli hanno dunque reagito. Dando sostanza alle parole pronunciate alla vigilia dal capitano Ehsan Hajsafi: «Noi giocatori stiamo dalla parte di chi ha perso la vita, dobbiamo accettare il fatto che le condizioni attuali in Iran non sono giuste e il nostro popolo non è contento. Innanzitutto voglio esprimere le mie condoglianze a tutte le famiglie che hanno avuto un lutto, voglio che sappiano che siamo con loro, che li sosteniamo e sposiamo la loro causa».

«Sosteneteci o andateneve»

Difficile, tuttavia, sapere se basterà. Con l’insorgere dei tumulti, numerose critiche sono infatti state rivolte agli stessi giocatori. Non esultare dopo una rete o portare dei braccialetti neri, come avvenuto a livello di club negli ultimi turni del campionato locale, non è ritenuto sufficiente dai manifestanti. Considerata la visibilità degli uomini di Queiroz sulle piattaforme social - la nazionale iraniana rimane seguitissima - viene richiesta maggiore empatia verso le vittime e in generale la battaglia portata avanti da donne e uomini. Una scelta di campo definitiva, per intenderci. Al termine di quella che ha definito una «lezione sportiva», il commissario tecnico portoghese non ha però usato mezzi termini sulla questione. Quasi implorando l’opinione pubblica iraniana, o parte di essa. «Vi prego, lasciate giocare i miei ragazzi. Lasciate che si godano la competizione più prestigiosa al mondo.Lasciate che lo facciano per portare gioia al loro Paese». Al suo fianco, nella conferenza stampa post partita, non si è presentato alcun calciatore. «Non potete nemmeno immaginare cosa stanno vivendo dietro le quinte» ha rilevato Queiroz. «Qualsiasi cosa dicano o non dicano, vengono minacciati di morte. Capite dunque che non abbiamo avuto modo di affrontare gli inglesi nelle migliori circostanze». L’allenatore dell’Iran, tra i più rinomati a livello di selezioni nazionali, ha quindi guardato al passato: «Nel 2014 e pure nel 2018 abbiamo vissuto un avvicinamento al torneo sereno. E le cose sono andate molto bene. Sì, è stata una festa per la squadra e per i suoi tifosi. Tifosi veri, carichi di passione. Perciò invito coloro che non sono qui per sostenere l’Iran ad andarsene. I giocatori hanno il diritto di vivere i Mondiali come avviene per i colleghi delle altre formazioni. Divertirsi, partecipare allo spettacolo e rendere fiero il Paese che rappresentano».

Beh, il silenzio assordante andato in scena al Khalifa Stadium, in tal senso, merita certamente una sottolineatura. Un momento storico. Toccante e da brividi. 

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