Hockey

«Vorrei trasmettere basi e valori, tra ambizioni e divertimento»

A colloquio con Alessandro Chiesa, il nuovo responsabile del settore giovanile dell'HCL
Alessandro Chiesa. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Flavio Viglezio
13.02.2024 21:00

Alessandro Chiesa è il nuovo responsabile del settore giovanile del Lugano. L’ex capitano bianconero ha accettato con entusiasmo la nuova sfida. Tra formazione sul ghiaccio e scolastica, gestione delle aspettative e una base da allargare, il lavoro non gli mancherà: «Vorrei che i nostri ragazzi – spiega – ricevano qualcosa che vada oltre alle semplici conoscenze sportive».

Due anni fa Alessandro Chiesa appendeva pattini e bastoni al chiodo. Aveva la possibilità di proseguire la sua carriera altrove, magari per un paio di stagioni ancora, ma decise di smettere. Di pensare insomma concretamente a una seconda vita, dopo quella trascorsa in pista: «Ho sempre detto – spiega il nuovo responsabile del settore giovanile dell’HC Lugano – che avrei voluto decidere io, quando dire basta. Non ho mai sopportato l’idea di diventare un peso per la squadra, di fare il classico anno di troppo. Con Marco Werder avevamo già iniziato a discutere un po’ del mio futuro e intanto avevo iniziato a frequentare la SUPSI: l’hockey è sempre stato la mia vita, ma volevo ritagliarmi la possibilità di iniziare un nuovo percorso, dopo un’esistenza trascorsa in pista».

L’importanza della formazione

Queste discussioni con il CEO bianconero hanno comunque aiutato Chiesa a prendere la decisione di chiudere la carriera: «Sicuramente sì, ma per un giocatore è fondamentale pensare già durante l’attività agonistica, a cosa fare dopo. Personalmente – prima ancora di iniziare la SUPSI – stavo riflettendo da diversi anni a un percorso formativo stimolante. Non è stato facile riaprire i libri dopo tanti anni, ma arrivare a fine carriera senza un’idea precisa non faceva per me. Ho visto tanti miei ex compagni vivere situazioni non facili, dopo una vita fatta di adrenalina ed emozioni forti».

Non sono moltissimi i giocatori che pensano presto al loro futuro, però: «Ogni persona ha il suo carattere. Un giovane, è chiaro, farà di tutto per diventare un professionista dell’hockey. Oggi ci sono però le possibilità di portare avanti una formazione, in parallelo allo sport. Per noi il percorso scolastico-formativo resta un punto fondamentale: Marco Werder è stato uno dei promotori della scuola media per sportivi di Canobbio, un progetto che ora è diventato anche cantonale. Per il nostro club l’impegno dei ragazzi a scuola rimane un punto fermo. Quando si arriva in prima squadra, queste riflessioni diventano più individuali: personalmente ho sempre cercato di sensibilizzare i miei compagni o ex compagni su questo tema».

Lasciare il segno

La formazione dei giovani, a tutti i livelli, da passione è dunque diventata la professione di Ale Chiesa: «Mi piacerebbe lasciare un segno in tutti questi ragazzi, nel loro lungo percorso formativo in seno alla nostra sezione giovanile. Li accogliamo da bambini e li lasciamo quando sono ormai diventati adulti: vorrei che potessero ricevere qualcosa che vada oltre alla disciplina sportiva, degli insegnamenti e dei valori utili anche negli altri settori della vita, a cominciare dal mondo del lavoro. Anche per i nostri volontari e i nostri collaboratori professionisti – penso per esempio agli allenatori – un club sportivo permette di portare avanti una sorta di formazione continua. Pensiamo anche a loro, insomma».

Forse chiamarsi Alessandro Chiesa, Flavien Conne, oppure Krister Cantoni, aiuta un giovane a identificarsi con i valori e la filosofia di una società sportiva: «È difficile da dire. Magari ancora per qualche anno sì: molti dei nostri ragazzi ci hanno visto giocare in Serie A e questo può influenzare un po’ il loro modo di vedere le cose. Ma tra una decina d’anni i bambini che si affacceranno a questa disciplina non sapranno nemmeno chi è Alessandro Chiesa (ride, ndr). Ed è giusto così. La cosa che conta di più non è il nome, ma quello che vuoi trasmettere ai giovani. Ed il modo in cui decidi di farlo».

Gestire le aspettative

Chiesa arrivò a Lugano a 18 anni, nel 2005. Oggi il settore giovanile bianconero ha totalmente cambiato volto rispetto a quei tempi: «Lo ripeto spesso ai nostri ragazzi e anche ai loro genitori: quello che hanno a disposizione oggi, a tutti i livelli, noi potevamo solo sognarcelo. Lo sottolineo, a tutti i livelli: infrastrutture, preparazione dei coach, materiale, skill coach, programmi personalizzati, pianificazione della stagione. C’è stata una professionalizzazione del movimento davvero incredibile».

A proposito dei ragazzi e dei loro genitori, oggi la possibilità di arrivare in prima squadra crea ambizioni spesso smisurate. Un rovescio della medaglia dell’attività sportiva non sempre facile da gestire, per un club: «Per un ragazzo il punto di riferimento rimane la famiglia. Che nella grande maggioranza dei casi si rivela di grande aiuto, ma che a volte può anche trasformarsi in un problema. Ci si dimentica a volte che il primo obiettivo dello sport è il divertimento. Un’attività sportiva permette inoltre di vivere esperienze umane uniche. Oggi le aspettative sono spesso troppo elevate e tocca anche a noi, come club, far capire che i giovani vanno supportati e non spinti oltre misura. Io capisco i genitori: un papà o una mamma guarderanno sempre il figlio in maniera speciale. E ci mancherebbe altro. Si tratta invece di evitare le situazioni estreme: nella categoria che alleno, ho visto per esempio genitori che cronometrano il tempo di ghiaccio del loro figlio. Sono cose che non stanno né in cielo né in terra. Questa è una delle grandi sfide che attendono gli allenatori e la società, a livello di sensibilizzazione. Perché lo sport può anche essere brutale: sono in pochi quelli che hanno davvero il talento e le capacità per arrivare ai massimi livelli».

Solo il 3%

Sorprende che in un Cantone che vive di hockey, con la rivalità tra Lugano e Ambrì Piotta, solo il 3% dei ragazzi ticinesi pratichino a livello agonistico – tesserati in un club – questa disciplina: «È chiaro che non potremo mai competere con il calcio, a livello di numeri. Quasi ogni paese in Ticino ha il suo campo di calcio e la sua società. Noi, a livello di infrastrutture, siamo molto più limitati. Nel Sottoceneri, per esempio, abbiamo solo tre piste coperte: quella di Chiasso, la Reseghina e la Cornèr Arena. Tra poco arriverà il nuovo centro di allenamento di Sigirino e questa per noi rappresenterà una grande opportunità per far crescere il nostro movimento. Le infrastrutture non spiegano però tutto ed è per questo che portiamo avanti delle iniziative – come le visite negli asili o nelle scuole – per far conoscere ai bambini la disciplina e il nostro club. E cominciamo a vedere i primi risultati concreti. Anche perché i costi sono relativi: la nostra scuola hockey è davvero a buon mercato e c’è la possibilità di noleggiare tutto il materiale».

Niente nausea

Quantificare quanti ragazzi di un settore giovanile avranno la possibilità di maturare un’esperienza in prima squadra resta una missione quasi impossibile: «Avere un obiettivo numerico è praticamente impensabile. L’idea è quella di allargare la base: in termini percentuali, più ragazzi si hanno a disposizione e più cresce la possibilità che qualcuno di loro possa arrivare in prima squadra. Ma mi piace ricordare che questo non deve essere l’unico obiettivo di un club come il nostro: vogliamo dare una nuova dimensione al movimento dell’hockey, permettere anche ai ragazzi che non potranno mai giocare in prima squadra di innamorarsi di questo sport e di continuare a praticarlo nelle Leghe inferiori. Non vogliamo che un ragazzo, arrivato al termine del suo percorso formativo, abbia la nausea dell’hockey».

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