Curiosità bestiali

È vero che il letargo è come il sonno?

L’orso è il simbolo indiscusso del letargo invernale, ma sarebbe più appropriato dire che entra in uno stato di ibernazione.
L’orso è il simbolo indiscusso del letargo invernale, ma sarebbe più appropriato dire che entra in uno stato di ibernazione.
Martina Ravioli
01.02.2022 14:30

Quante volte abbia pensato, e magari anche detto, «vorrei andare in letargo e risvegliarmi quando tutto sarà finito?», riferendoci ad un periodo particolarmente stancante e denso di impegni? Ma davvero il letargo è come una lunga e sana dormita? Non proprio. Durante il letargo, infatti, l’animale vive un rallentamento reversibile del proprio metabolismo: la temperatura corporea cala dagli abituali 37-38°C fin verso i 4°C e il battito cardiaco rallenta in maniera impressionante arrivando ad una frequenza di 1-2 pulsazioni al minuto. Le settimane prima del letargo sono fondamentali. L’animale deve prepararsi al meglio per resistere durante i mesi di torpore e lo fa accumulando riserve sotto forma di grasso, tanto che la massa può arrivare quasi a raddoppiare. Alcune ricerche hanno trovato evidenze anche di un aumento nella secrezione di ormone antidiuretico da parte della ghiandola pituitaria per prevenire l’eccessiva perdita di acqua da parte dell’animale addormentato. Vi sono poi alcuni animali, tipicamente rettili e anfibi, che non fanno un vero e proprio letargo, ma vivono un periodo di quiescenza. Si riparano dal gelo sottoterra o in acqua e si ibernano, cioè si instaura una specie di torpore. Trattandosi di animali eterotermi - organismi la cui temperatura dipende da quella dell’ambiente - devono evitare temperature troppo fredde poiché sono molto sensibili al gelo.

L’orso
Sulle Alpi l’orso va in letargo ad inizio dicembre, ma se il clima è particolarmente mite il periodo di torpore può ridursi notevolmente o anche scomparire del tutto. Alcuni studiosi non considerano quello dell’orso un vero e proprio letargo. La sua temperatura, infatti, cala solo di 7-8°C rispetto allo stato di veglia e può capitare che durante i mesi freddi si risvegli ed esca dalla tana per bere o alimentarsi (un po’ come succede allo scoiattolo. Ne abbiamo parlato nell’articolo «È vero che nei nidi di scoiattolo fa caldo?»). Particolarmente interessante è la gestazione dell’orsa. L’accoppiamento avviene in luglio e il parto in gennaio-febbraio dell’anno successivo. A prima vista potrebbe sembrare che la gestazione duri 6-7 mesi, ma non è così .Subito dopo l’accoppiamento, infatti, l’embrione si sviluppa fino alla fase di blastocisti (quinto o sesto giorno dopo la fecondazione, con un aggregato di circa 200 cellule) e qui si ferma, restando quiescente per circa 4 mesi. La gestazione riprende quando l’orsa va in letargo e il parto avviene un paio di mesi dopo, verso la fine del periodo di torpore.

La marmotta
Questo mammifero sì che fa un vero e proprio letargo! Con l’arrivo dei primi freddi, ed un peso che si aggira attorno ai 9 kg, più del doppio rispetto ai 4 kg di inizio stagione, la marmotta si ritira nella camera centrale della tana, la cui entrata è nascosta da sassi e terriccio. Qui diversi esemplari si rannicchiano gli uni contro gli altri. La temperatura corporea oscilla tra 3 e 4°C, vi è solo un atto respiratorio al minuto e due pulsazioni. Possono verificarsi alcuni risvegli per permettere all’animale di depositare i proprio rifiuti lontano dalla camera centrale della tana, ma la vera e propria uscita si avrà solo in primavera.

Le api
Le instancabili produttrici di miele non vanno in letargo, ma è pur vero che in inverno non si vedono - o non si dovrebbero vedere - api svolazzare alla ricerca di fiori. Come è possibile? Come ci ha spiegato l’apicoltrice Micaela Campagnoli nell’articolo «Il miele è femmina», le temperature rigide portano le api in un torpore che si manifesta tramite la formazione del glomere, un raggruppamento di api ammassate le une sulle altre, per scaldarsi a vicenda, con al centro la regina. Gli inverni troppo miti, però, causano nelle api una penuria di nutrimento, poiché non formano il glomere e continuano, almeno parzialmente, la loro attività. Questo porta ad un notevole dispendio energetico e ad un rapido consumo delle risorse dell’alveare. In casi simili l’apicoltore deve intervenire somministrando alla colonia degli sciroppi sostitutivi formulati apposta per l’alimentazione di questi insetti.