Reportage

Dal Ticino a Disentis alla ricerca della voce dei monaci

Riscoprire storia, arte e religione percorrendo la Via Francisca in un viaggio fisico e spirituale oltre il Lucomagno
Martina Ravioli
22.09.2022 10:00

Qualcuno la chiama religione, taluni spiritualità, altri energia. E se è pur vero che le parole sono importanti, ancora di più lo è l’esperienza, poiché senza di questa avremmo poco da raccontare. E così, quando ho saputo che è possibile ascoltare i canti dei monaci benedettini di Disentis e partecipare alla Liturgia delle Ore, ho voluto compiere una sorta di moderno pellegrinaggio all’incontrario, alla riscoperta della Valle del Sole, della via Francisca, del Lucomagno, ma soprattutto della loro storia, tra realtà e leggenda. Detto fatto, Chiara ed io saltiamo in macchina per apprestarci a percorrere un pezzetto fondamentale dell’antico sistema viario europeo - lo stesso utilizzato dagli imperatori germanici per arrivare a Roma - e per cercare, lungo questo itinerario, quei luoghi simbolo di una spiritualità in parte dimenticata, in parte più viva che mai. Il Lucomagno, transitabile per gran parte dell’anno, era valicato già in epoca romana e la sua importanza crebbe con il passare dei secoli. Da qui transitarono Ottone I, Federico Barbarossa e Sigismondo: quanta storia è passata sotto ai nostri piedi! Nel Medioevo era utilizzato dai pellegrini, tanto che sia sul versante nord che sul versante sud sorgevano ospizi dotati di cappelle, una delle quali riposa oggi in fondo al lago artificiale di Santa Maria. La strada a nord del passo era controllata dal monastero di Disentis, ed è proprio lì che ci stiamo dirigendo, ma la strada è ancora lunga... Abbandoniamo l’autostrada, lasciamo sulla destra Biasca e ci addentriamo in una valle che fa sì parte della Svizzera italiana, ma è anche un mondo a sé. Ben presto le industrie lasciano il posto ai rustici in sasso e i magazzini agli appezzamenti di terreno con mucche e capre. Ed ecco che, superato il Castello di Serravalle, lasciato Dongio alle spalle, appare Acquarossa e sullo sfondo lui, sua maestà il Sosto.

Il cristallo di Olivone

Che il dialetto qui fosse una lingua a sé è cosa risaputa, ma non mi aspettavo fosse addirittura incomprensibile: un idioma affascinante e arcano, ostico per chi non è nato in questa valle e pane quotidiano per chi qui ci vive. D’altronde dovevo immaginarlo: se Olivone diventa Rivöi, ecco che tutto può succedere. Ma un motivo c’è. Secondo il volume del 1931 «La storia di Olivone» di Guido Bolla, l’etimologia di Rivöi è da ricercare nel termine «riva». Nel fondovalle, infatti, ci sarebbe stato un lago e l’antica strada romana lo avrebbe costeggiato, per poi inerpicarsi sul Lucomagno. Sempre secondo Bolla, il Sosto emanerebbe energia positiva, tesi ripresa da Claudio Andretta nel volume «Luoghi energetici in Ticino». Quel che è certo è che questa montagna, così unica con i suoi 2.221 metri a punta, trasmette qualcosa. Forse «solo» stupore dinnanzi alle meraviglie del creato, forse qualcosa in più. Ma mentre il Sosto ci osserva benevolo noi ci apprestiamo alla prima tappa di questo lungo viaggio: la chiesa romanica di San Carlo a Negrentino.

Il profilo inconfondibile del Sosto domina la valle. © CdT/Chiara Zocchetti
Il profilo inconfondibile del Sosto domina la valle. © CdT/Chiara Zocchetti

Soggetto da francobollo

Recuperata la chiave nel ristorante di Leontica, dove si respira ancora quella familiarità comune spesso andata perduta in località più grandi, ci incamminiamo verso la meta. Una chiesina piccola, ma da taluni definita il più bell’esempio di romanico del Ticino, tanto da essere stata raffigurata, nel 1987, anche su uno dei 4 francobolli commemorativi che celebravano i 200 anni del turismo svizzero. Ed ecco che, superata una curva, appaiono chiesa e campanile in tutto il loro splendore. Il moderno ponte sospeso ci introduce all’antico, la razionalità all’inspiegabile e la concretezza di funi d’acciaio e blocchi di pietra squadrati alla spiritualità di un luogo potente e a tratti ancora misterioso. La parte più antica della costruzione viene datata attorno al XI secolo, il successivo ingrandimento risale al XIII. Occhi e fantasia sono colpiti dai meravigliosi affreschi, tra cui una trinità che vede la Vergine benedetta dal figlio, Cristo, mentre tra loro Dio Padre siede in trono e ha posata sulla barba la colomba dello Spirito Santo. Il campanile sorge accanto al corpo principale con gli stemmi urani in bella vista. Chissà cosa devono aver provato i pellegrini che dal fondovalle volgevano lo sguardo in alto a cercare un segno del cielo lungo il cammino. Avrà dato speranza la vista di Negrentino, stagliata là a mezza montagna quasi a vegliare il cammino? In realtà la posizione è stata pensata non per i viandanti occasionali, ma per facilitare il recarsi in chiesa sia da chi viveva sul fondovalle, sia da chi si trovava sui pascoli a monte. Andretta, inoltre, sostiene nel suo volume che «la grande roccia sotto l’altare dell’abside più antica sia stata utilizzata come luogo di culto e di guarigione già dai celti, se non addirittura ancora prima da rappresentanti della cultura megalitica. Blanche Merz ha assegnato a questo gioiello romanico il valore energetico più alto di tutte le chiese del Ticino: 24.500 Bovis. (...) Questa pietra è dotata di un’ampia aurea protettiva, sferiforme e luminosa, in grado di trasmettere sensazioni di protezione e vitalità. Qui sono presenti delle energie di guarigione, forze curative sottili benefiche per la salute». Il dipinto del drago, dietro all’altare, indicherebbe «il punto esatto in cui si concentrano le forze energetiche primordiali presenti in questo luogo». Anche l’acqua della fonte sottostante sarebbe terapeutica e il fatto che dietro al campanile si può ammirare il Sosto rende il tutto ancora più simbolico. Tradizione, religione, miti, spiritualità e laicità si fondono in questo luogo che ci abbraccia ed è per noi la porta d’entrata nella dimensione interiore che questo viaggio richiede. Bisogna ripartire, l’abate di Disentis ci aspetta...

San Carlo di Negrentino è definito il più bell'esempio del romanico in Ticino. © CdT/Chiara Zocchetti
San Carlo di Negrentino è definito il più bell'esempio del romanico in Ticino. © CdT/Chiara Zocchetti

Un valico sacro e gentile

Riprendiamo il cammino, superiamo Rivöi e seguendo le morbide curve guadagniamo la cima del Lucomagno. Un luogo intriso di sacralità. Anche Marco Borradori, nel suo discorso dell’11 luglio 2009, pronunciato in occasione dell’inaugurazione della riserva forestale della Selvasecca, si è soffermato su questo aspetto: «Ci troviamo sul Lucomagno, un nome che deriva dal latino lucus magnus e significa grande bosco sacro». Dove oggi ci sono prati e pascoli, vi erano foreste e radure (altra origine etimologica fa derivare il termine da locus, luogo) considerate sacre e il carsismo di superficie, con le doline che costellano il paesaggio, contribuisce a creare un’atmosfera magica. Oggi sono tutti fenomeni scientificamente spiegabili, ma secoli e millenni fa la spiegazione più razionale era l’irrazionalità della magia. In epoca più recente si è passati a cose ben più prosaiche, come spiega il Dizionario storico della Svizzera: «La strada sul versante nord del passo era controllata dal monastero di Disentis. (...) Sul percorso venivano inoltre prelevate tasse di transito e per il trasporto. Nel 1333 fu stipulato un accordo per la sicurezza della strada del L. fra la valle e Como; nel 1376 la valle e la Cadi di Disentis si garantirono il libero transito delle merci. Nel basso ME i pascoli e gli alpeggi sul L., che ancora oggi hanno una particolare importanza, furono dati in pegno dal monastero di Disentis a vicinanze di Blenio e Leventina». Ecco, appunto. L’abbazia di Disentis è strettamente legata alla Valle del Sole ed è un centro religioso e spirituale di primaria importanza. È proprio lì che stiamo andando, la voce dei monaci ci chiama.

Gli ampi pascoli costeggiano la strada del Lucomagno. © CdT/Chiara Zocchetti
Gli ampi pascoli costeggiano la strada del Lucomagno. © CdT/Chiara Zocchetti

Il canto diventa preghiera

Siamo arrivate: il timore di giungere in ritardo all’appuntamento con l’Abate Vigeli si è rivelato infondato, per fortuna. Siamo d’accordo di trovarci all’ingresso principale dell’Abbazia e osservo attentamente ogni monaco che ci si avvicina chiedendomi se è lui o non è lui. Ma eccolo. L’Abate Vigeli ci accoglie e ci accompagna nella zona del Coro della barocca Martinskirche. Non c’è tempo di parlare ora, sta per iniziare il momento di canti e preghiere. Chiara cerca le inquadrature migliori per scattare e io mi lascio cullare dai salmi cantilenanti che rendono ogni preghiera un dialogo tra l’umano e il divino. Non per niente Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte. Non capisco tutte le parole - i salmi sono in tedesco - ma mi affascinano i gesti ritualizzati e le voci che si cercano - una risponde all’altra - si uniscono, si distanziano e tutte insieme vanno a comporre quell’«ora» che insieme al «labora» è la base della regola benedettina. Troppo presto la nenia termina e i monaci rientrano nella zona definita di «clausura». Noi siamo donne e non possiamo accedervi, ma l’Abate Vigeli ci rassicura: «Siete le benvenute in tutto il resto dell’Abbazia. La regola benedettina ci esorta ad accogliere ogni ospite come Cristo, poiché l’ospitalità è segno di spiritualità. Siamo aperti al mondo, un luogo di incontro per tutti: credenti e non. Abbiamo un liceo con oltre 150 studenti provenienti anche dall’estero e che ospita una quindicina di ticinesi, un hotel, un ristorante. Inoltre, gli uomini che lo desiderano possono fare richiesta per vivere con noi alcuni giorni nella zona riservata ai monaci e seguire la nostra quotidianità». Mentre parliamo attraversiamo gli ampi corridoi, saliamo scalinate, vediamo cappelle. Ovunque vi è quiete e frescura: un luogo perfetto per meditare o per prendersi una pausa dal rumore della vita quotidiana. Scopro, infatti, che nell’Hotel Kloster Disentis, ospitato e protetto dalle larghe e solide mura, volendo si può trascorrere un soggiorno «Digital Detox». L’idea mi stuzzica... non è detto che prossimamente io decida di provare l’esperienza.

A Disentis il canto diventa preghiera. © CdT/Chiara Zocchetti
A Disentis il canto diventa preghiera. © CdT/Chiara Zocchetti

Il pellegrinaggio

Il convento è stato fondato attorno al 700 e l’Abate Vigeli ci mostra le reliquie gelosamente custodite nei pressi dei resti delle chiese ancestrali, riemersi grazie a scavi archeologici: una costola di San Sigisberto e un osso del cranio di San Placido. Un tempo questa Abbazia strategicamente posta lungo la via Francisca ristorava i pellegrini diretti a Roma o a Santiago, oggi è principalmente un luogo di passaggio anche se, mi spiega l’Abate: «Pochi lo sanno, ma Disentis ha gli stessi privilegi di Roma, Gerusalemme o Santiago in materia di perdono dei peccati per i pellegrini, quindi anche questo stesso luogo può a pieno diritto essere meta di pellegrinaggio». Insomma, un po’ come abbiamo fatto noi, anche se siamo qui soprattutto per scoprire e capire. Le strade dei pellegrini sono percorse ogni anno da un numero crescente di persone, ma non tutti lo fanno per fede. «Der Weg ist das Ziel: spesso è la strada stessa ad essere la meta. Il pellegrinaggio è per tutti ed è, in ogni caso, un’opportunità di entrare in contatto con la fede e per la Chiesa la possibilità di entrare in relazione con chi, altrimenti, non si sarebbe riusciti a raggiungere» mi spiega il nostro interlocutore.

Tutti sono i benvenuti. © CdT/Chiara Zocchetti
Tutti sono i benvenuti. © CdT/Chiara Zocchetti

Giorno dopo giorno

Vigeli Monn, che parla un perfetto italiano visti i trascorsi giovanili nelle Guardie Svizzere a Roma, guida una comunità di 22 monaci tra cui 2 novizi. L’Abbazia dà lavoro a 70 impiegati e deve sostenersi finanziariamente in modo autonomo. «I costi di manutenzione e per i restauri sono notevoli» dice l’Abate mentre proseguiamo alla scoperta di questo luogo radicato sia nella valle che nel cuore di chi qui ha preso i voti, poi mi spiega: «I benedettini, oltre a castità, povertà e obbedienza, hanno un quarto voto: lo stabilitas loci. Ogni confratello è legato per la vita al monastero dove è entrato e ognuno ha una storia da raccontare. Qui, ad esempio, vive un monaco che, dopo decenni trascorsi ai più alti livelli della professione pubblicitaria - ha collaborato alla creazione della famosa mucca viola di un noto cioccolato - si è trovato un giorno a passeggiare a New York. Davanti alla chiesa di St. Patrick ha sentito il profumo d’incenso ed è stato folgorato: doveva prendere i voti a Disentis. E così è stato. Ma ci sono anche ragazzi, il più giovane ha 25 anni, che portano una ventata di modernità». Non sono sicura che serva. Tutto mi pare già improntato all’oggi e poco vive nel passato: sito, webcam, social..., continua infatti l’Abate: «Vogliamo essere attuali. Le cose con il tempo cambiano. Ad esempio, decenni orsono la scuola era solo maschile, ma dagli anni ‘70 accoglie anche ragazze. Teniamo corsi di tedesco d’estate, la Stiva Sogn Placi offre pranzi e spuntini. Tutto è pensato per creare incontro e scambio». D’altronde, non è un mistero che la Chiesa sia in difficoltà e lo dimostrano i numeri. In tutta la Svizzera ci sono solo circa 140 monaci benedettini. Eppure, come in tutto il percorso fatto per arrivare fin qui, il moderno si amalgama all’antico e la tradizione all’innovazione. Fatti pochi passi entriamo nella Cappella della Mater Misericordiae, con le pareti tappezzate di Ex-voto (altre foto su cdt.ch), alcuni vecchi di decenni, altri recentissimi: «Devo appenderne ancora uno. Ieri me lo ha portato una coppia per la guarigione dei loro gemellini» sorride fratello Vigeli. Ed è così. Non si può e, probabilmente, non si vuole, ignorare completamente un qualcosa che ci ha accompagnato negli ultimi 2.000 anni. Un po’ come l’Abbazia di Disentis. Un viandante può anche decidere di non fermarsi, ma difficilmente, passando da qui, riuscirà a ignorare l’imponenza e il fascino magnetico di un luogo che ha contribuito alla storia di questa valle e alla spiritualità di chi ci abita. Il nostro viaggio finisce, la meta è raggiunta. Ma la meta, in fondo, è stata la Via Francisca. «Der Weg ist das Ziel», direbbe l’Abate e, mentre mi rimetto in viaggio per tornare a casa, non posso che dargli ragione. 

L'Abbazia è imponente e domina il villaggio. © CdT/Chiara Zocchetti
L'Abbazia è imponente e domina il villaggio. © CdT/Chiara Zocchetti