Ticino

«Come per borse e orologi, il vino contraffatto va distrutto, non messo all'asta»

Interprofessione della Vite e del Vino Ticinese scrive al Consiglio di Stato sulla truffa che ha portato a 5 condanne: «Mettere in commercio 30mila bottiglie false è un danno per i viticoltori locali»
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Mattia Sacchi
07.07.2023 12:00

Continua a far discutere la grande truffa del vino, per cui sono state vendute a distributori soprattutto d’oltralpe oltre settantamila bottiglie di barbera spacciato per vino più nobile (Tignanello, Sito Moresco, Amarone). Un processo che ha portato a ben cinque condanne: la pena più alta, tre anni (sei mesi da scontare), è stata inflitta a colui che è stato il fulcro della truffa, perlomeno in territorio ticinese (per la stessa fattispecie una ventina di persone è stata rinviata a giudizio anche in Italia), e che era il titolare di fatto di una società del Luganese (oggi in liquidazione), un 68.enne del Mendrisiotto attivo da tempo nel settore.

Nella sentenza la Corte, oltre a giudicare nel merito gli imputati, doveva anche decidere cosa fare dell’ingente massa di vino sequestrata (circa 30mila bottiglie), in parte presso l’Ufficio reperti della Polizia cantonale, in parte nei magazzini di un grande distributore. Non avendo trovato soluzioni, la procuratrice Rigamonti ne prospettava a malincuore la distruzione. La Corte, però, ha deciso di salvarlo. Affermando di aver trovato un accordo con il Cantone, il vino sarà messo all’asta dopo averlo trasferito in bottiglie generiche (o dopo averne strappato l’etichetta): «Così non verranno smaltite decine di migliaia di litri di quello che comunque rimane un buon vino». 

Una decisione che tuttavia ha sollevato diversi dubbi, per usare un eufemismo, da parte di Inteprofessione della vite e del vino ticinese, che ha scritto al Consiglio di Stato per chiedere spiegazioni ed esporre le proprie preoccupazioni. «Cosa si sa esattamente sulle pratiche enologiche praticate in cantina per la contraffazione del vino? È vero che Gesù ha trasformato l’acqua in vino, ma quello fu un miracolo di portata divina - scrive l'associazione che raggruppa, sotto un unico tetto, tutta la filiera vitivinicola -  Se come riportato dai media, vinificando della Barbera siano riusciti ad ottenere vini così diversi, è legittimo presumere che siano stati aggiunti aromi, glicerina, tannini e/o altri prodotti per imitare i prodotti originali. Inutile aggiungere che queste pratiche sono vietate e, in questi casi oltre alla contraffazione è lecito presupporre anche la sofisticazione».

Ma non c'è solo il problema di qualità: secondo Interprofessione della vine e del vino ticinese, «la messa in commercio di 30’000 bottiglie andrà sicuramente a colpire chi lavora in maniera corretta e che già soffre l’agguerrita concorrenza dei vini di importazione. Quale organo competente di settore ha informato le autorità sulla dicitura legale con la quale potrà essere messo in commercio tale vino? Riteniamo che il vino, in assenza di documenti veritieri che attestino la provenienza dei vini, questi debbano essere declassati alla terza categoria con la denominazione vino da tavola di origine Europea, senza annata, senza nome di fantasia e senza immagini che possano trarre in inganno il consumatore. Il valore di mercato di una simile bottiglia sullo scaffale non può superare i Chf 2.-/3.-. Inoltre, queste bottiglie non dovranno essere solo lavate e private delle etichette, ma anche stappate visto che, in contraffazioni d’autore, anche i turaccioli saranno stati griffati e quindi da sostituire».

Secondo il direttore Andrea Conconi, l'unica soluzione è quindi la distruzione: «Interpellate le autorità doganali, risulta che la merce sequestrata per importazione illegale viene distrutta. È risaputo che partite di merce contraffatta (orologi, borse e capi di abbigliamento) sono distrutte. Perché non in questo caso?»

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