Gusto

Nella spirale del tempo: il giardino varietale Librandi e la Calabria che coltiva il futuro

A Rocca di Neto, tra mare e Sila, 200 vitigni autoctoni – di cui 77 unici al mondo – raccontano trent’anni di ricerca, sostenibilità e collaborazione internazionale, con un legame storico e strategico con il Ticino e la Svizzera
Mattia Sacchi
04.08.2025 08:19

Quando, al Merano WineFestival Calabria, si è parlato di biodiversità vitivinicola, il nome Librandi è emerso più volte come caso emblematico di come la ricerca scientifica possa intrecciarsi alla tradizione. A Cirò Marina e Rocca di Neto, dove il mare incontra le prime alture della Sila, la famiglia Librandi ha fatto della custodia dei vitigni locali un atto di visione e di radicamento territoriale. La conferma è arrivata pochi giorni dopo, quando la visita alla Tenuta Rosaneti ha trasformato in esperienza diretta ciò che al festival era stato raccontato: un paesaggio ordinato e armonico, colline dolci, filari pettinati, ulivi secolari, e al centro una spirale di viti che sembra disegnata con il compasso. È il Giardino varietale dei vitigni autoctoni calabresi, ideato da Nicodemo Librandi, cuore di un progetto che da trent’anni preserva e studia un patrimonio irripetibile.

«Questa forma – racconta l’ampelografa Anna Schneider, tra le prime a mettere mano al progetto – ricorda un’impronta digitale: il segno indelebile che la ricerca può lasciare sul territorio. Quando Nicodemo mi contattò, c’erano 200 nomi di vitigni da verificare: un tesoro straordinario, ma con un problema di fondo, l’enorme confusione tra sinonimi e omonimie. In Calabria quasi tutto si chiamava Magliocco, Mantonico o Greco, con varianti locali che cambiavano da paese a paese. Il nostro lavoro è stato quello di dare identità certa a ciascun vitigno, abbinando le analisi genetiche alle osservazioni morfologiche in campo».

Dopo anni di studi, condotti in collaborazione con il Cnr di Torino, l’Istituto di San Michele all’Adige, l’Università di Milano e altri centri di eccellenza, il risultato è una collezione di 200 varietà locali, di cui 77 uniche al mondo, registrate nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite e rese disponibili a vivaisti e viticoltori. «Mettere tutte queste viti nello stesso vigneto – prosegue Schneider – significa poterle confrontare ad armi pari: stessa esposizione, stesso suolo, stessa gestione agronomica. Così vediamo quali maturano prima, quali resistono meglio alla siccità, quali offrono acidità più stabili o colori più intensi. È una collezione rara: altrove, col tempo, queste installazioni vengono trascurate. Qui, invece, è viva e produttiva dal punto di vista scientifico».

Davide De Santis, agronomo in azienda dal 2003 e premiato nel 2024 come miglior agronomo italiano da Vinoway, vede nel giardino varietale uno strumento di adattamento al cambiamento climatico: «Le sfide oggi non sono più soltanto fitosanitarie, ma ambientali. Ci troviamo a gestire gelate tardive, siccità estreme, picchi di calore che compromettono aromi e freschezza delle uve. In estati particolarmente dure proteggiamo le piante con caolino, che riflette la luce e abbassa la temperatura dei grappoli. Stiamo anche valutando tecniche di evoluzione assistita per selezionare cloni più resistenti, mantenendo intatte le caratteristiche organolettiche. Ma la base resta la stessa: un suolo vivo, ricco di sostanza organica, che dia alla vite le difese per affrontare stress sempre più frequenti».

Il sovescio è tornato a essere parte integrante della gestione agronomica: leguminose, graminacee e brassicacee fioriscono tra i filari, arricchiscono il terreno di azoto e potassio, migliorano permeabilità e porosità, nutrono api e insetti utili. «È una tecnica antica – sottolinea De Santis – che riprende quanto facevano i nostri antenati. La pratichiamo con approccio scientifico, monitorando anche la componente microbiologica del suolo, perché è lì che si gioca la partita della resilienza».

Per Paolo Librandi, oggi alla guida dell’azienda insieme al fratello Raffaele e ai cugini Teresa e Francesco, la Tenuta Rosaneti rappresenta un equilibrio tra passato e futuro: «Siamo la terza generazione. Mio nonno Raffaele avviò la cantina negli anni Cinquanta, mio padre Nicodemo e mio zio Antonio la portarono fuori dai confini regionali, scegliendo fin da subito di puntare all’estero. Negli anni Settanta, i primi mercati furono la Germania e la Svizzera, e il Ticino è rimasto un nostro punto fermo: oggi rappresenta oltre il 40% del nostro export. Con un importatore di Stabio collaboriamo da quindici anni: è un mercato attento e fedele, che ci ha stimolato a migliorare».

L’idea di investire in ricerca per un’azienda privata non era scontata: «All’inizio – ricorda Paolo – poteva sembrare un lusso, ma si è rivelata una strategia vincente. Dal primo campo sperimentale del 1993 alla spirale del 2000, fino alla selezione dei cloni di Gaglioppo e Pecorello, il percorso è stato lungo. Oggi chi vuole piantare Gaglioppo può scegliere tra quattro cloni certificati, adattabili a condizioni diverse. È un passo avanti importante per la viticoltura calabrese».

La Tenuta Rosaneti è anche un modello di economia circolare: le vinacce diventano grappa e poi energia elettrica, il residuo torna come concime; un impianto fotovoltaico copre fino al 30% del fabbisogno energetico; il 70% del vetro usato per le bottiglie è riciclato. Un uliveto di 80 ettari assicura lavoro stabile anche dopo la vendemmia, mentre iniziative come “Il vino fa buon sangue” sostengono l’Avis locale.

Il Museo d’impresa Vi.Te.S., aperto nel 2023 e parte della rete Sud Heritage, racconta questa storia intrecciando oggetti, documenti e immagini, e collocandola nel più ampio contesto della viticoltura calabrese. Qui il visitatore può toccare con mano come scelte agronomiche e paesaggio siano legati in modo indissolubile.

Lasciando la spirale, il colpo d’occhio è quello di un disegno che tiene insieme estetica e utilità, memoria e innovazione. Le viti, ordinate ma diverse, sono la prova che il futuro della viticoltura passa dalla capacità di custodire il passato, selezionando ciò che potrà rispondere alle sfide climatiche, agronomiche e di mercato. La lezione che arriva da qui non riguarda solo Cirò o la Calabria, ma ogni territorio viticolo: la biodiversità non è un concetto da convegno, ma una strategia concreta, fatta di osservazione, pazienza e scelte lunghe decenni. Non è un percorso che garantisce ritorni immediati, ma è forse l’unico che possa garantire, domani, che il vino resti espressione viva di un luogo e non solo di una tecnica.

In questo articolo:
Correlati