Il collezionista, d'Annunzio e Casati

VENEZIA - Alla «divina marchesa», così la chiamavano i contemporanei, il «coup de théâtre» che si è svolto a Venezia, ossia il sequestro di una lettera di Gabriele d'Annunzio a lei indirizzata, sarebbe piaciuto moltissimo, sia per il luogo in cui si è svolto sia per le modalità.
Per capire perché le sarebbe piaciuto vanno raccontati alcuni episodi della vita della Casati, una delle donne più ricche d'Italia all'inizio del Novecento, con proprietà a Milano, Roma, Capri, Parigi e Venezia, conosciuta per la sue eccentricità, per la capacità di anticipare le mode, per l'abilità di far parlare di sé. Fu mecenate di molti artisti, si fece ritrarre dai Futuristi e non ebbe esitazioni, sebbene aristocratica, a farsi ritrarre nuda da una pittrice americana, Romaine Brooks. La marchesa amava molto Venezia, tanto che organizzava feste faraoniche in piazza San Marco, chiudendola al pubblico per incontri mondani, serate a tema con artisti, ballerini, scrittori. Era una donna intelligente ed eccentrica: la marchesa amava stupire gli amici, non solo portando pitoni veri sulle spalle come se fossero normali sciarpe, ma amava ingannarli. Aveva fatto costruire un suo doppio in cera, che vestiva commissionando ai suoi sarti abiti in dublice copia.
Gabriele d'Annunzio, che la inseguì a lungo, su queste sue manie scrisse un testo, «La figure de cire», opera incompiuta sul tema del doppio, del vero e del falso (chi era la vera Marchesa tra le due?). Il manoscritto, dopo mille vicissitudini, è poi curiosamente confluito alla Biblioteca cantonale di Lugano. E sempre a Lugano, nella collezione di carte novecentesche di Giovanni Maria Staffieri, si trovano altri cimeli dannunziani e alcune lettere di d'Annunzio alla marchesa.
Ora questi materiali, insieme a importanti prestiti di ritratti da collezioni private, sono a Venezia, in una mostra dedicata a questa eccezionale protagonista del Novecento europeo (La divina marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla belle époque agli anni folli), allestita nella sede più adatta alla sua figura, palazzo Fortuny, dedicato ad un altro estro creativo, ossia Mariano Fortuny. Dunque all'esposizione partecipa anche la Svizzera con i suoi documenti e con prestiti internazionali, regolati da carte di esportazione temporanea.
Ma improvvisamente si presentano nella sede museale i carabinieri, accompagnati da due bibliotecari del Vittoriale (la casa-museo di d'Annunzio sul Garda), che fanno sequestrare una lettera del poeta alla marchesa proveniente dall'archivio Staffieri ritenuta falsa. L'accaduto ha dell'incredibile per varie ragioni. La segnalazione ai carabinieri è stata fatta da un ignoto «esperto», come recita il verbale da noi consultato, ma pare sia un collezionista, forse inviperito con il mondo antiquario, sicuramente affetto da sindrome di Sherlock Holmes. Il fatto che i due rappresentanti del Vittoriale siano giunti a Venezia e abbiano portato alla mostra documenti da sostituire a quello incriminato indica che erano già al corrente della segnalazione.
Il Vittoriale potrebbe trarre vantaggio dalla vicenda, perché una carta sequestata con perentorio mandato delle autorità non viene restituita al prestatore. Se poi venisse riconosciuta come vera, potrebbe anche non ritornare al mittente. L'Italia può infatti mettere un vincolo non solo su quell'opera, ma anche sulle altre prestate. Tra i vari contendenti, in mezzo c'è il Museo, vincolato al prestito internazionale, e il collezionista, ingenuo prestatore. Nessuno parla dell'antiquario, il primo da interrogare.
Sarà stata la marchesa ad inscenare questo gioco di veri e di falsi, in occasione della mostra in suo onore?