Il parco della Valle della Motta
Il parco si sviluppa in un paesaggio ricco di biodiversità dove flora e fauna presentano molte specie anche rare, come la rana di Lataste e il rospo smeraldino. Sul sito si legge che nella valle «sono state censite oltre mille specie differenti, di cui 75 figurano nella lista rossa delle specie in pericolo di estinzione in Svizzera, 45 non erano mai state censite in Ticino e 30 non erano mai state censite in Svizzera. Addirittura, sono sette le specie di funghi rilevate finora solo all'interno della Valle della Motta e in nessuna altra parte del mondo». C’è di che incuriosirsi!
Le ricchezze del sottosuolo
Il parco è vasto e ha diversi accessi. L'itinerario che proponiamo inizia dall'entrata vicina al mulino del Daniello. La prima meta è la zona dell’ex cava di argilla. Sì, perché qui, fino a metà Novecento circa, era fiorente l’industria dei laterizi che sfruttava il terreno argilloso. Giunti a uno spiazzo con un affioramento di argilla ben visibile, si trovano utili spiegazioni sulla geologia del luogo. C’è pure un tavolo destinato alle scuole dove i ragazzi possono creare con le loro mani un oggetto partendo da questa preziosa materia prima.
Si apprende così che verso la metà dell’Ottocento nel Mendrisiotto esistevano numerose fornaci che fabbricavano mattoni, coppi, tegole e altri manufatti destinati all’edilizia. Era un’attività importante che dava prodotti di buona qualità venduti anche al di là della frontiera. Le testimonianze di quell’industria non sono più visibili sul territorio; le ultime fornaci sono state demolite nel 1989 a Boscherina. Erano state costruite nel 1870 e la produzione – agli inizi completamente manuale – fu in seguito meccanizzata, tanto da produrre 10 milioni di pezzi nel 1935, dando lavoro fino a 85 operai a Boscherina e 60 a Balerna. Un’altra attività presente da secoli nella valle della Motta era quella dell’estrazione di sabbia, anch’essa legata alle attività edilizie.
Il mulino dei Galli
Si torna indietro per un breve tratto. Ciò che meraviglia è il silenzio del bosco, nonostante la valle sia incastrata tra autostrada e ferrovia.
In pochi minuti si arriva al mulino del Daniello. Qui si apre un altro affascinante capitolo di storia. Erano tre i mulini attivi nella valle della Motta e tutti sfruttavano le acque del torrente Roncaglia. Due li abbiamo già incontrati: il mulino Prudenza, il più antico, forse di epoca tardo-medioevale, che ospita oggi un centro cinofilo, e il mulino Re, di proprietà privata.
Quello del Daniello (dal nome di un mugnaio che vi operò) è stato restaurato con finalità didattiche negli anni Novanta ed è rimesso in funzione in alcune occasioni, inclusa la «giornata svizzera dei mulini» organizzata solitamente a maggio. La struttura, dotata di due ruote idrauliche, di tre macine in pietra per cereali (mais, frumento, segale, orzo, …) e di un frantoio verticale che permetteva la produzione di olio di noci, canapa e lino, è stata edificata nel 1801.
Ne ha ricostruito la storia (in un bel libro apparso nel 2007 e intitolato «Il mulino dei Galli») Ivan Camponovo, che nel corso di alcune ricerche inerenti il territorio del parco si è imbattuto in un corposo archivio, quello della famiglia Galli appunto, i cui esponenti per tre generazioni hanno svolto l’attività di mugnaio proprio qui.
Attività diversificate
Sono circa 760 i documenti che erano custoditi al Daniello e che hanno permesso a Camponovo di raccontare sia lo sviluppo degli edifici voluti dalla famiglia Pozzi di Coldrerio nel 1801 – il complesso comprendeva il mulino, la casa di abitazione e la stalla a cui nel 1870 fu aggiunto un rustico per la bachicoltura – sia le vicissitudini dei mugnai Galli. Originari di Drezzo nel Comasco, furono dapprima affittuari, più tardi proprietari, e operarono qui per tutto l’Ottocento.
Nell’interessante volume non mancano sguardi sulle varie attività collaterali da essi svolte, quali la coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi da seta, l’allevamento di bovini, maiali e animali da cortile, l’agricoltura, la viticoltura e (forse) anche la tabacchicoltura. Un intenso lavorare che garantiva un certo benessere alla famiglia, come si può desumere dai documenti trovati.
Soprattutto agli inizi, tuttavia, il maggior beneficio era per il proprietario della struttura che riceveva per contratto una quota di grani fissa e la metà della produzione di uva o vino, oltre a pollastri, capponi e uova. L’attività del mulino si andò però esaurendo attorno alla metà del secolo scorso. In tempi più recenti, gli ultimi discendenti della famiglia hanno fatto dono del mulino, degli altri edifici e di quattro ettari di terreno al comune di Coldrerio; dando vita alla Fondazione Luigi e Teresa Galli, ne hanno quindi promosso il restauro e la valorizzazione.
Terroir, vigneti e vini
Una carta geografica di Novazzano del 1894 reca il toponimo «Le Vigne» non lontano dal Daniello; anche il luogo dove fu costruito il mulino, denominato Roncaccio, già in un documento settecentesco viene definito «arativo e vitato». Doveva essere dunque una zona in cui si coltivava la vite e i mugnai Galli, come i loro conterranei, facevano arrampicare i tralci sugli alberi, in particolare sui gelsi. L’attività viticola deve però aver avuto un arresto o essere cessata del tutto (forse a causa della filossera) a fine Ottocento, quando tra le carte di famiglia appaiono le fatture dei Fratelli Valsangiacomo fu Vittore di Chiasso per la fornitura di grosse quantità di vino. Oggi nel cuore della valle non si vedono vigneti, che si trovano invece a Boscherina, perlopiù ai margini del parco.
Seguendo il Roncaglia
Altre interessanti particolarità del parco si possono vedere percorrendo il sentiero che dal Daniello conduce a nord. Arrivati alla biforcazione, proseguendo sulla destra si giunge alla «cascata delle marmitte». Si tratta di una piccola sorgente che scende fino al Roncaglia in una sorta di scala formata da gradini che contengono l’acqua. Un fenomeno favorito, scrive la documentazione sul parco, «dalla forte presenza di una sostanza naturale che si trova disciolta in quest’acqua: il carbonato di calcio. Esso si deposita in continuazione dove la corrente è più debole, formando queste caratteristiche terrazze».
Tornati al bivio si può anche seguire il percorso verso le briglie, un’opera di ingegneria naturalistica che combinando pietra, legname e arbusti vivi aiuta a impedire l’erosione del terreno da parte del Roncaglia in piena.