Abbigliamento professionale

«L’abito fa il monaco» è una regola aurea nel mondo del lavoro

L’importanza della divisa è innegabile: segno tangibile di competenze, garantisce l’immediata riconoscibilità di alcune professioni.
Martina Ravioli
19.05.2022 07:00

A ben pensarci non c’è professione alcuna che non abbia un suo specifico abbigliamento: formale per l’ufficio, pratico per i lavori manuali, sportivo per quelli legati al benessere e via discorrendo. Alcune professioni più di altre, però, sono un tutt’uno con il proprio vestiario, tanto da venirne identificate: il tutù diventa un’elegante ballerina, il camice un dotto medico, l’uniforme simboleggia le forze armate, cappellino e tailleur sono (o forse erano) bandiera delle hostess, grembiule nero lungo con cintura portafoglio è spesso simbolo dei camerieri e il cappello bianco a forma di fungo lo è dei cuochi.

Nell’esercito

Alcune divise soggiacciono a regolamenti ben precisi. È il caso del vestiario dell’esercito le cui regole d’uso e manutenzione sono esplicitate nelle 80 pagine del «Regolamento 51.009 i - Vestiario e pacchettaggi» scaricabile da vtg.admin.ch. Viene chiarito che si distinguono tre tenute, ognuna composta da differenti capi di vestiario e adeguata a varie situazioni: tenuta A (tenuta d’uscita), tenuta B (tenuta di servizio), tenuta C (tenuta da lavoro). In ogni caso il militare è il responsabile dell’ordine e della pulizia del vestiario che deve lavare, o in alcuni casi far lavare in lavanderia, a proprie spese.

Al ristorante

Diverso è quanto sancito dall’articolo 30 del CCNL dell’industria alberghiera e della ristorazione. Infatti, se l’azienda non provvede a lavare e stirare il vestiario dei cuochi e dei pasticcieri, il datore di lavoro deve versare un’indennità mensile di Chf 50.-, stesso importo per le giacche del personale di servizio, mentre per i grembiuli sono conteggiati Chf 20.-. Anche le uniformi, se previste, del personale di servizio nella hall o ai piani soggiacciono alle stesse regole, ma il CCNL chiarisce, per tutti i casi, che se il collaboratore non approfitta della possibilità di far pulire gli abiti dall’azienda, il diritto all’indennità si estingue. Inoltre, per il personale di servizio, va specificato che pantaloni e gonne neri e camicie bianche non sono considerati abiti di servizio particolari e pertanto non sottostanno ad indennità o ad obbligo di lavaggio del datore di lavoro.

Industria ed edilizia

Secondo l’art.5 dell’Ordinanza sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali OPI, «se non è possibile escludere del tutto o parzialmente i rischi di infortunio o di danni alla salute mediante provvedimenti tecnici od organizzativi, il datore di lavoro deve mettere a disposizione del lavoratore dispositivi di protezione individuale efficaci e il cui uso sia ragionevolmente esigibile, come elmetti, retine per capelli, occhiali protettivi, schermi protettivi, protezioni auricolari, respiratori, calzature, guanti e indumenti di protezione, dispositivi contro le cadute e l’annegamento, prodotti per la protezione della cute nonché, se necessario, appositi capi di biancheria. Il datore di lavoro deve provvedere affinché tali dispositivi siano sempre in perfetto stato e pronti all’uso». Ne deriva che l’abbigliamento sui cantieri o in fabbrica è dettato da regole di sicurezza ed è completato dai DPI, dispositivi di protezione individuale. La SUVA offre informazioni e rimandi alle norme da tenere in considerazione.

In corsia

È impensabile che medici e infermieri si aggirino per le corsie degli ospedali vestiti con abiti «civili» sia per una questione di riconoscibilità che di igiene. Indossare un corretto abbigliamento è importante al punto che anche il tribunale del lavoro di Bülach ha indicato che il cambio d’abito è da considerare tempo di lavoro. La discussione è tuttavia aperta e le sentenze sono contrastanti, ad indicare che la tematica resta di stretta attualità. E questi sono solo alcuni dei lavori che uniscono l’apparire al fare. Ogni attività ha il suo vestito. D’altronde, ancora oggi, quando si desidera specificare che si passa da una cosa ad un’altra si usa dire «questo è un altro paio di maniche». Il detto ha probabilmente origine medioevale quando le maniche spesso non erano cucite ai corpetti, ma erano staccabili così da poter essere cambiate all’occorrenza, lavate più frequentemente del resto ed adattate alla situazione d’uso. Insomma, che ci piaccia o no, l’abito è storia, cultura, professionalità, lignaggio e anche apparenza, come ben ci racconta la favola «I vestiti nuovi dell’imperatore» di Andersen. A quanti oneri e a quali onori deve far fronte un semplice pezzo di stoffa e colui che lo porta! 

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