La rivoluzione di Swatch: l'intelligenza da artificiale diventa artistica
Alla Swatch, da qualche settimana, la sigla «AI» non significa più soltanto artificial intelligence. Il lessico è cambiato prima ancora del software: qui si parla di «artistic intelligence», intelligenza artistica. La differenza, insistono, non è un vezzo di marketing. È il cuore del progetto presentato ieri nella sede di Bienne, dove giornalisti, partner e ospiti si sono ritrovati davanti a una schermata semplice – una barra in cui scrivere poche parole – e a un risultato che di semplice aveva molto poco: AI-DADA, una piattaforma capace di generare orologi Swatch davvero unici, contrassegnati sul fondello da un esplicito «1/1».
La scena, nel grande spazio espositivo di Bienne, è quella di un lancio di prodotto, ma con una tensione diversa: meno schede tecniche, più curiosità per ciò che «succederà» una volta premuto invio. Sul palco si alternano Nick Hayek, Carlo Giordanetti e, per la prima volta da quando ha assunto l’incarico, il nuovo CEO Vivian Stauffer. Dietro di loro, lo schermo proietta in tempo reale le creazioni che nascono dai prompt scelti per la dimostrazione.

AI-DADA vive sul sito swatch.com – per ora solo in Svizzera – e, nelle intenzioni dell’azienda, deve essere immediata quanto una ricerca su internet. Si accede con il proprio account, si digita una breve descrizione – qualche parola, un’immagine mentale, un’atmosfera – e si invia la richiesta. Nel giro di meno di due minuti, sullo schermo compare un New Gent completo: quadrante, cinturino, composizione grafica, tutto costruito a partire da quell’input. In sala, quando una combinazione azzecca il tono – un orologio invernale nato da «Advent, Winter, Samichlaus» – si sente un mormorio divertito, quasi stupito.
Da lì in poi il ruolo dell’utente è limitato a pochi ritocchi come il colore del meccanismo e qualche dettaglio. La struttura visiva, però, è già definita. Ed è qui che AI-DADA si distanzia dalle IA conversazionali cui ci si è abituati negli ultimi mesi. Non è un chatbot con cui limare il risultato passo dopo passo, negoziando colori, forme, proporzioni. Lavora piuttosto come un artista vero: gli si affida un’idea, lui sparisce in laboratorio e torna con un’opera finita. Se non piace, non si corregge: si ricomincia.
Ogni prompt dà origine a un orologio compiuto; se non convince, si deve passare a un nuovo input. Non c’è un dialogo, non c’è «fammi questo ma un po’ meno così». Per evitare un uso compulsivo – e per accentuare il carattere di sfida – Swatch ha fissato un tetto a tre richieste al giorno. Chi vuole giocare con AI-DADA deve essere più preciso nelle parole iniziali, ma anche disposto a lasciar andare il controllo. In questo spazio di incertezza si consuma, forse, l’operazione più tipicamente swatchiana dell’intero progetto: l’algoritmo non esegue solo un ordine, interpreta.
«Stiamo dando a ognuno la possibilità di sentirsi artista, almeno per il tempo di un orologio» spiega al Corriere del Ticino Vivian Stauffer, mentre gli invitati si accalcano attorno ai tablet per provare la piattaforma. «Non servono competenze di design: basta un’idea e la voglia di vedere che cosa può nascerne quando si mescola con oltre quarant’anni di creatività Swatch».

Se l’esperienza d’uso è giocosa, l’architettura sottostante è invece rigidamente controllata. Durante la presentazione, qualcuno in sala prova a forzare il sistema combinando «children», «tennis» e «Winston Churchill». Il risultato è rivelatore: l’IA digerisce i primi due termini, ma inciampa sul terzo. Churchill, semplicemente, non fa parte dell’universo visivo di Swatch, quindi non entra nel vocabolario di AI-DADA.
La ragione è tecnica e politica insieme. AI-DADA, viene spiegato, non «pesca nel web»: è stata addestrata esclusivamente sui motivi, le grafiche e le combinazioni che, in 42 anni, sono apparse su un orologio Swatch. Nessun materiale esterno, nessuna immagine trovata in rete. Per ragioni di copyright, certo, ma anche di identità: tutto ciò che la piattaforma restituisce è frutto di una rielaborazione di ciò che il marchio ha già prodotto in passato, comprese le collaborazioni con artisti, il lavoro dello Swatch Art Peace Hotel di Shanghai, i progetti di street art e gli interventi in ambito musicale.
È in questo contesto che il nome prende senso. «AI» viene reinterpretato come «Artistic Intelligence», intelligenza artistica; «DADA» rimanda al Dadaismo nato a Zurigo nel 1916, movimento che ha fatto del caso, del gioco e della provocazione un metodo creativo. Nella cartella stampa Swatch include una definizione di «intelligenza artistica» generata da ChatGPT – «innata capacità umana di immaginare, provocare e creare», una forma di intelligenza «emotiva, visiva e intuitiva», in linea con il DNA del marchio, «giocoso, audace e radicato nella creatività culturale» – quasi a rovesciare il rapporto di forza: qui è l’IA «classica» a descrivere quella artistica, che resta saldamente ancorata all’esperienza umana.

In prima fila, guardando scorrere sullo schermo decine di orologi uno diverso dall’altro, Carlo Giordanetti sembra muoversi a casa propria. L’uomo che ha costruito nel tempo la rete di relazioni artistiche di Swatch e che cura lo Swatch Art Peace Hotel definisce AI-DADA «un ponte tra decine di migliaia di espressioni visive nate in casa Swatch e la curiosità di chi entra oggi nel nostro mondo». Il sistema, dice, «organizza questo universo di forme e colori, ma la scintilla iniziale resta umana, così come la scelta finale. Noi apriamo il mondo del divertimento, il resto lo fanno le persone con le loro parole».
Più tardi, sul palco, Nick Hayek allarga lo zoom. Ricorda come l’orologeria svizzera viva da anni in un equilibrio precario, stretta tra tassi di cambio, decisioni politiche, tariffe doganali che cambiano direzione nel giro di pochi mesi. Le aliquote sui mercati esteri si alzano e si abbassano – di recente i dazi USA sugli orologi svizzeri sono stati ridotti al 15% – ma, sottolinea, si tratta di variabili che l’industria non controlla. Su AI-DADA il discorso cambia: qui non si reagisce a una pressione esterna, si prova ad aprire un fronte diverso, quello della relazione emotiva con il pubblico.

«Chi usa la piattaforma diventa, per un momento, designer Swatch» riprende Stauffer. «Porta qualcosa del proprio immaginario e lo intreccia con oltre quarant’anni di esperienze del marchio: le collaborazioni con artisti, i progetti di street art, gli eventi, perfino il legame con la musica. In futuro potremmo integrare anche quella dimensione. Non ci poniamo limiti, ma restiamo fedeli alla nostra filosofia».
I prompt e i design resteranno nel sistema e, inevitabilmente, diventeranno un osservatorio sui gusti delle persone. «Fra un anno sarà interessante capire che cosa emerge» concede Stauffer. «Probabilmente vedremo differenze tra Paesi, mercati, culture visive diverse. Ma AI-DADA non è nata per studiare il mercato. Prima di tutto, è un invito a giocare seriamente con la propria immaginazione».
Nessun obiettivo numerico dichiarato, nessun traguardo di volumi. «Non abbiamo messo nel business plan un numero di orologi AI-DADA da produrre per giustificare l’investimento» insiste. «Swatch è un marchio creativo che ama provocare in modo gioioso. Se un’idea è buona e coerente con lo spirito del brand, la sviluppiamo. Questa prima fase solo in Svizzera ci servirà anche per mettere a punto produzione e distribuzione in vista di un’estensione internazionale».
Fuori, intanto, si continua a sperimentare. C’è chi digita parole intime, chi gioca con riferimenti pop, chi si limita a testare i limiti del sistema. Non tutti i risultati sono memorabili, alcuni sembrano esercizi di stile, altri sorprendono per equilibrio. Ma è proprio in questa irregolarità che si misura la distanza tra l’idea di un’IA che standardizza tutto e quella, più fragile e meno rassicurante, di un’intelligenza che si dichiara «artistica». AI-DADA, per ora, abita questa seconda zona: un luogo in cui l’algoritmo ha memoria lunga, ma il primo rischio creativo resta a carico di chi scrive quelle parole da cui tutto comincia.


