TREKKING & PANORAMI / Escursioni

La Val Malvaglia

Sopra Malvaglia si apre una valle laterale, percorsa dal torrente Orino, che si estende fino ai piedi dell’Adula. Grazie alla sua posizione appartata e alle difficoltà di accesso che si sono protratte per secoli, questa valle ha mantenuto diverse caratteristiche rurali tipiche e rappresenta un’interessante testimonianza del passato delle regioni alpine. Un paesaggio pressoché intatto, protetto a livello nazionale. Popolata fin dal XIII secolo, la val Malvaglia conserva pure alcune delle costruzioni più antiche del Ticino, con la base in muratura a secco e la parte superiore in legno; spesso sono edifici che assolvono a funzioni diverse (stalla, fienile, casa d’abitazione). Per l'itinerario proposto si calcolino 3 ore di facile e comodo cammino: 1 ora e mezza all'andata e altrettanto per il ritorno.
Giò Rezzonico
Carla Rezzonico
Giò RezzonicoeCarla Rezzonico
01.01.2022 12:00

 

 

Le frazioni montane della valle Malvaglia – chiamate «ville», forse da «villaggio» –  situate tra i 1000 e i 1400 metri di quota, sono ora perlopiù meta di vacanza, escursioni e svago, ma lo sfruttamento di questa ampia zona è stata molto importante per l’economia agropastorale fino all’inizio del Novecento. Vi si praticava l’allevamento, la coltivazione di segale e patate e lo sfruttamento del bosco; mentre parte della popolazione vi risiedeva diversi mesi l’anno se non stabilmente.

Sul versante sinistro dell’Orino si trovano Madra e Dandrio, su quello destro, a solatio, Anzano, Chiavasco e Dagro. A testimoniare la presenza, in passato, di un cospicuo numero di persone, ogni «villa» ha il suo oratorio (peccato che siano quasi sempre chiusi: alcuni, come quello di Madra, sono riccamente ornati di affreschi); c’erano anche due scuole, chiuse nei primi decenni del XX secolo. Ancora a inizio ‘900 le «ville» erano molto popolate e circa 400 persone salivano a Dandrio.

La prima strada che unisce i nuclei risale al 1939; il collegamento, che fu poi asfaltato alla fine degli anni ’50 in relazione alla costruzione del bacino per lo sfruttamento delle acque, non invertì però la tendenza all’abbandono di queste terre lontane dal centro del villaggio.

  

L'itinerario

La gita inizia a Dagro, che si può raggiungere in pochi minuti con una comoda filovia da Malvaglia, oppure percorrendo una stretta strada di montagna (l'incrocio di due veicoli è possibile solo in pochi slarghi). Il tragitto da Dagro a Dandrio comporta circa 1 ora e mezza di facile cammino.

Il paesaggio alpino è splendido. L’armonia delle costruzioni antiche, in legno e pietra, dei tetti in piode, dei piccoli sentieri che collegano le case, è commovente. Sui pendii esposti al sole immaginiamo le rascane di un tempo, con i cereali (essenzialmente segale) messi a essiccare. Oggi non se ne vedono quasi più, se non qualche rara rivisitazione didattica, per esempio al Ballenberg. Erano grandi strutture di legno, alte fino a sette-otto metri, una sorta di scala con due pali verticali e una serie di traverse, rese stabili da sostegni laterali, a cui venivano sospesi i covoni in bella fila.

A Chiavasco (Ciavasch) si arriva in 30 minuti di strada pianeggiante; il nucleo si trova un po’ sotto la carrozzabile e la veduta dall’alto dei tetti grigi è molto bella. L’oratorio del XVII secolo è dedicato a San Barnaba; quello di Anzano, che raggiungiamo dopo un’altra mezzora di cammino, a San Bartolomeo.

Proseguendo sulla strada, in primavera si possono ammirare tra le rocce le fioriture alpine dai colori bianco e giallo e le rare orchidee selvatiche che fanno capolino tra l’erba dei prati. Guardando sul versante opposto, in basso appare il nucleo di Madra, a 1080 metri, posto alla confluenza tra il torrente Orino e quello che scende dalla val Madra. Si scorgono anche il bacino artificiale e la diga costruita verso il 1960. 

Poco dopo aver attraversato l'Orino si giunge a Dandrio, 1220 metri di quota, sul versante sinistro. L’oratorio di San Giovanni Battista, documentato già nel 1581, la scuola attiva fino al 1920, il mulino, il forno: tutto parla della vita intensa di una comunità che sfruttava l’intero territorio del proprio comune. Oggi la scuola ospita un ristoro alpino, «la Furbeda», dal nome della bella cascata. Il mulino a ruota orizzontale invece rivive per l’annuale sagra che si svolge in luglio, quando si macina la farina di segale e si cuoce il pane.

 

Nel ricordo dei Fadaric

Da Dandrio, si torna indietro fino ad Anzano, dove si prende una deviazione per salire verso un nucleo dal nome quasi impronunciabile: Garmagnunagh (Germanionico). È un luogo che fa parte della storia più autentica della valle, che fu abitato dai «Fadaric», una famiglia il cui ultimo esponente, Gino Scossa-Baggi, è mancato nel 2015, dopo aver trascorso tutta la sua esistenza, più di 80 anni, in questi luoghi. 

Camminando in silenzio tra le 17 cascine ormai abbandonate si ha la sensazione che il tempo si sia fermato. «Una famiglia numerosa, la nostra – aveva detto Gino a Teresio Valsesia che era salito fin lassù per intervistarlo – ci chiamano i «Fadaric», per via del nonno Federico. Otto fratelli, tutti maschi. Sono rimasto solo io». Una vita di fatiche che ora sembra venire incontro ai passanti, raccontata dalle vecchie baite in larice. Ma ci sarà un futuro per questo luogo solatio: alla morte del fratello Emilio, Gino, l’ultimo dei Fadaric, ha infatti costituito una Fondazione che sta assicurando il restauro delle cascine e il recupero di quel mondo antico. 

Percorrendo un sentiero nel bosco si raggiunge di nuovo a Dagro, proprio sopra l’arrivo della filovia.

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