La robotica educativa al servizio dei più fragili
Prende sempre più forma il progetto «ated4special: la tecnologia al servizio delle persone», promosso da ated-associazione ticinese evoluzione digitale con il Patrocinio del Dipartimento della sanità e della socialità e della Città di Lugano.
Fra le molte iniziative dedicate a educatori, insegnanti, psicologi, psicoterapeuti e genitori vi è la mattina del 2 aprile dalle ore 8:30 alle 13:00, presso il Campus EST della SUPSI a Viganello con workshop tenuti da professionisti per dibattere sul tema della tecnologia in aiuto a chi ha fragilità cognitive. Fra questi vi è Davide Ghiglino, psicologo clinico e dottore di ricerca in Bioingegneria e Robotica. Lavora come ricercatore post-doc presso l’unità Social Cognition in Human-Robot Interaction, coordinato dalla Professoressa Agnieszka Wykowska all’Istituto Italiano di Tecnologia. Le sue attività di ricerca principali sono legate alla robotica assistenziale ed educativa nei contesti di sviluppo tipico e atipico.
Dottor Ghiglino, l’Istituto Italiano di Tecnologia per cui lavora è un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale ed opera in molteplici campi. Fra questi vi è la robotica educativa, che è oggetto delle sue ricerche e studi. Quali sono a suo modo di vedere i risultati più interessanti che osserva oggi in questo specifico ambito?
«Si sente spesso parlare del tema della diversità nel contesto educativo. Riconoscere che le persone possono avere inclinazioni e abilità diverse tra loro è fondamentale nel processo educativo. Valorizzare le diversità significa sviluppare metodi e strumenti innovativi, che permettano ai bambini (e non solo) di sperimentarsi in diversi ambiti. Le nuove tecnologie, inclusi i robot, permettono di sviluppare attività "immersive" in cui il bambino apprende giocando in prima persona. Questo approccio si è dimostrato particolarmente utile per bambini che possono trovarsi in difficoltà con i metodi più classici di apprendimento «frontale»».
Insieme all’Opera Don Orione Genova collabora a un progetto che prevede l’utilizzo di robot umanoidi per curare i pazienti con disturbi del neuro-sviluppo. Ci racconta il vostro perimetro di intervento e quali sono i benefici che state osservando nei pazienti convolti?
«Più che per «curare», noi crediamo che i robot possano essere impiegati come strumento di potenziamento, che viene affiancato al personale clinico per svolgere attività mirate all’acquisizione e al consolidamento di alcune competenze sociali. Quello che abbiamo osservato è che nei bambini con autismo vi è una tendenza a interagire con i robot umanoidi in modo spontaneamente «sociale». Negli anni abbiamo sviluppato dei protocolli riabilitativi che utilizzano questa propensione per stimolare competenze sociali quali l’attenzione condivisa, il perspective-taking, e la teoria della mente. L’idea è offrire al personale clinico uno strumento in più che possa stimolare l’interesse dei bambini».
È molto evidente come la tecnologia riesca oggi a sostenere le famiglie e i professionisti della cura nell’assistenza e servizio anche delle persone più fragili. Quali sono a suo modo di vedere i progressi che potremo osservare nei prossimi anni?
«In questi anni stiamo assistendo a un fiorire di tecnologie sempre più complesse, in grado di emulare il comportamento umano minimizzandone la complessità. Questo permette la realizzazione di scenari di interazione sempre più complessi, che possono fare da «palestre relazionali» per persone con difficoltà nell’interazione sociale. In futuro contiamo di poter sviluppare protocolli riabilitativi in cui gli individui possano simulare situazioni di interazione con un robot simili a quelle della vita reale, ma in ambienti sicuri e altamente prevedibili. Questo potrebbe essere un passo importante per potenziare gli apprendimenti relativi alla cognizione sociale in alcune tipologie di individui».