Digitalizzazione

Quando il sole e la fine delle restrizioni mandano Netflix in letargo

Con il graduale ritorno alla normalità e l'arrivo della bella stagione si passa sempre meno tempo davanti agli schermi – Per approfondire il fenomeno ne abbiamo parlato con Gabriele Balbi, professore dell'USI di Lugano
Federica Serrao
21.05.2022 11:15

Maggio. Primavera. Le giornate si allungano e le temperature si alzano. Complici il bel tempo e la graduale fine delle restrizioni, la pandemia che ha caratterizzato gli ultimi due anni è un ricordo che comincia a sbiadire. Allo stesso modo, si cominciano ad abbandonare le abitudini di quel periodo. Le giornate passate in casa, al chiuso, a guardare film e serie tv, sono state rimpiazzate da passeggiate, gite, escursioni o momenti all'aria aperta, nella natura o in città, spesso anche in compagnia. La digitalizzazione, che tanto si era instaurata nelle nostre abitudini quotidiane, sta perdendo slancio. Secondo un sondaggio condotto dal centro di ricerca Sotomo, per conto della Fondazione Sanitas, sembrerebbe che negli ultimi mesi meno persone usino con regolarità i servizi di streaming come Netflix. Non solo. Anche l'utilizzo dei social media, o la partecipazione a videoconferenze, sarebbero diminuiti rispetto ai numeri registrati lo scorso anno. I dati del sondaggio "Osservatorio della società digitale e della solidarietà 2022" parlano chiaro. In questi primi mesi del 2022, il 50% dei 2.450 partecipanti all'indagine ha indicato di usare regolarmente i servizi di streaming come Netflix. Sebbene questo dato possa sembrare incoraggiante, nel 2021 la percentuale dei partecipanti a fruire del servizio era del 60%. Solo nel 2019, prima dell'avvento della pandemia, erano il 37%. La spinta alla digitalizzazione, innescata dalla pandemia, ha compreso anche l'uso di software per videoconferenze e videotelefonia: la percentuale di utenti che continuano a usare regolarmente queste tecnologie è scesa, nel giro di un anno, dal 59% al 50%. Anche in questo caso, a inizio 2020, prima che il coronavirus si diffondesse in tutto il mondo, solo il 33% utilizzava queste piattaforme. Allo stesso modo, anche l'uso dei social media ha raggiunto un picco nel 2020. Se nel 2021, però, la quota di utenti regolari aveva raggiunto il 67%, oggi è scesa al 59%, solamente due punti percentuali sopra al livello del 2019. Secondo gli autori del sondaggio, questi dati dimostrano che le persone hanno riacquistato molta più libertà. La vita si è piano piano sempre più spostata dal mondo virtuale allo spazio reale. Per scoprire quanto le nostre abitudini digitali si siano modificate nel corso degli ultimi due anni abbiamo approfondito l'argomento con il professor Gabriele Balbi, docente in media studies presso l'USI di Lugano. 

In generale, non siamo di fronte a un calo drastico della visione di serie tv e film, anche se ovviamente nei periodi di lockdown i numeri si erano gonfiati
Gabriele Balbi, professore

Il lockdown ha gonfiato i numeri

Con la rimozione della quasi totalità delle restrizioni, per molti, la pandemia sembra giunta a una conclusione. Di fatto, però, non possiamo ancora parlare di un'epoca "post pandemica". «Il concetto di "fine pandemia" andrebbe compreso nel profondo. Possiamo sicuramente riscontrare una distinzione nei consumi mediali data dal lockdown, o nei periodi in cui la COVID era presente, ma le persone non erano confinate a casa. Abbiamo quindi dei consumi mediali vari nel 2020 e nel 2021, che dipendono in primo luogo dai confinamenti». Anche se, osservare dei cambiamenti a livello mondiale non è semplice, dal momento che i dati sullo streaming sono spesso forniti a livello nazionale. «In un recente rapporto Nielsen relativo al mercato negli USA, si certifica una crescita delle ore di visione di contenuti video in streaming tra il 2021 e il 2022. In generale, quindi, non abbiamo di fronte un calo drastico della visione di serie tv e film, anche se ovviamente, nei periodi di lockdown i numeri si erano gonfiati. Diciamo che l'eccezione era costituita proprio dai lockdown, che hanno falsato le tendenze complessive». 

Da sempre, e quindi da prima della pandemia, il clima ha un effetto sul consumo mediatico. In genere, il cambiamento si manifesta nella tarda primavera, e raggiunge il picco più basso in piena estate, per poi risalire nei mesi più freddi
Gabriele Balbi, professore

In estate si vive "fuori dagli schermi"

Ma le belle giornate delle stagioni primaverile ed estiva quanta influenza hanno sulla visione di film e serie TV? È interessante notare come i cambiamenti negli spettatori, che "abbandonano" le piattaforme per un certo periodo di tempo, per vivere la propria vita "fuori dagli schermi", si registrino annualmente, anche da prima che il coronavirus si diffondesse. «Da sempre, e quindi da prima della pandemia, il clima ha un effetto sul consumo mediatico. In genere, il cambiamento si manifesta nella tarda primavera, e raggiunge il picco più basso in piena estate, per poi risalire nei mesi più freddi». Ma non solo. Secondo un sondaggio di Deloitte, negli Stati Uniti è anche un altro il fenomeno che porta a un abbandono provvisorio dei propri profili sulle piattaforme di streaming. Nelle generazioni più giovani, infatti, si riscontra più spesso una tendenza a cancellare il proprio abbonamento alle piattaforme di streaming, per poi riattivarlo in certi momenti. «In particolare, si riattiva l'abbonamento quando viene rilasciata la nuova stagione della serie TV preferita, o quando ricomincia la stagione sportiva. Come si nota anche osservando la programmazione televisiva lineare, o dal fatto che i film al cinema escano in certi periodi dell'anno, per esempio attorno alle vacanze di Natale, c'è un ritmo di rilascio dei contenuti audiovisivi che segue un ritmo vero o presunto di consumo. O meglio, di propensione al consumo». A "mettere in pausa" la visione dei contenuti, inoltre, sarebbero più spesso i giovani, per una serie di ragioni ben precise. «Sempre secondo i dati di un rapporto Deloitte, negli Stati Uniti, Brasile, Regno Unito, Germania e Giappone sono i più giovani che tendono a interrompere gli abbonamenti ai servizi di streaming con maggiore frequenza, rispetto alle generazioni più anziane. Tra i fattori che influiscono ci sono sicuramente la minore disponibilità economica e la maggiore capacità di trovare i contenuti su piattaforme alternative, a volte anche pirata». 

Lo streaming, in generale, è aumentato in termini di visioni e abbonamenti, e potrebbe continuare a farlo. Netflix, semplicemente, potrebbe aver fatto da apripista per questo cambiamento, ma non è detto che ne raccolga i frutti migliori
Gabriele Balbi, professore

Netflix fu "solo" l'apripista

Nel frattempo, tra pandemia, fine delle restrizioni e cambio di stagione, gli spettatori hanno modificato le proprie abitudini. «Una tendenza interessante di cui si è parlato molto è il brusco arresto dell'espansione di Netflix a inizio anno. Questa piattaforma aveva avuto una crescita abbastanza costante nell'ultimo decennio, ma ora pare essersi arrestata e le prospettive per il futuro non sembrano rosee». A detta del professor Balbi, questi dati non corrispondono però a un tramonto delle piattaforme di streaming. «È chiaro e direi anche irreversibile il fatto che sempre più persone, in vari Paesi, preferiscano questa forma a quella classica della televisione lineare». La crisi di Netflix, piuttosto, sarebbe stata causata da altri fattori. «Nel corso degli anni sono nate decine di altre piattaforme streaming e colossi come Disney, Amazon, Apple e molti altri hanno investito nel settore, generando una forte concorrenza. Lo streaming, in generale, è aumentato in termini di visioni e abbonamenti, e potrebbe continuare a farlo. Netflix, semplicemente, potrebbe aver fatto da apripista per questo cambiamento, ma non è detto che ne raccolga i frutti migliori». 

In sostanza, i periodi di lockdown sono stati grandi incubatori del cambiamento e momenti in cui si è sperimentata forzatamente la novità tecnologica
Gabriele Balbi, professore

La digitalizzazione oggi

Le "abitudini digitali", come anticipato, hanno riservato cambiamenti anche per quanto riguarda l'utilizzo di social media. Tuttavia, secondo l'esperto, è ancora troppo presto per delineare quali siano i reali cambiamenti tra il periodo attuale e quello pandemico. «I mesi di pandemia, soprattutto quelli di lockdown, hanno sicuramente accelerato il processo di trasformazione digitale, come si sente spesso dire. In sostanza, abbiamo compreso meglio come la digitalizzazione e i servizi digitali possano integrare le funzioni svolte nella vita quotidiana. Senza dubbio, sono aumentati quasi ovunque gli accessi e l'intensità d'uso dei social media, che hanno poi continuato a crescere anche nel 2021 e nel 2022. Si tratta di un trend accelerato dalla pandemia, ma che pare essersi mantenuto anche dopo». Sono diverse, infatti, le «attività digitali» che abbiamo conservato, anche dopo la fine di molte restrizioni. «Ci siamo resi conto che alcune riunioni lavorative potevano essere svolte online. Si sono espansi i servizi digitali come l'homebanking e la telemedicina. In sostanza, i periodi di lockdown sono stati grandi incubatori del cambiamento e momenti in cui si è sperimentata forzatamente la novità tecnologica». In ogni caso, la situazione pandemica o da lockdown è molto diversa rispetto a quella attuale, che ancora non è del tutto post-pandemica, ma vede un ritorno alla normalità. «I livelli di consumo televisivo stanno tornando alle soglie pre-COVID, per esempio. Un caso che trovo molto interessante è quello relativo alla vendita di device digitali. Nel 2020 si era assistito a un netto calo nella vendita degli smartphone: dal miliardo e mezzo di esemplari venduti nel 2019, si era passati a un miliardo e 350 milioni. Nel 2021 la vendita è poi risalita a circa un miliardo e 400 milioni. In questo caso, si era invertita la tendenza. Probabilmente, il bisogno di schermi grandi che sentivamo nelle nostre case durante i lockdown, assieme alla minore tendenza alla mobilité di quei tempi, avevano frenato il mercato dei dispositivi mobili. Al contrario, il boom dei PC che si era registrato in piena pandemia sembra essersi esaurito».