«Se mi segui ti cancello, anzi no»

Lo schema, più o meno, è sempre quello. Lo stesso Elon Musk ha scherzato sul concetto di effetto Streisand, un fenomeno mediatico – citiamo Wikipedia – per il quale un tentativo di censurare o rimuovere un’informazione ne provoca, contrariamente alle attese, l’ampia pubblicizzazione.
E così, il clamore provocato dalla decisione di bannare gli account di alcuni giornalisti famosi ha spinto, dopo il solito sondaggio, il patron di Twitter a riammettere gli esclusi. Vox populi, vox Dei. Già. Musk, dunque, venerdì ha annunciato che avrebbe ripristinato i citati account sospesi, fra cui quelli di molti giornalisti, accusati (senza prove) di aver messo in pericolo lui e la sua famiglia. Come? Rivelandone gli spostamenti. «La gente ha parlato. Gli account che hanno pubblicato la mia posizione vedranno revocata la sospensione» ha twittato il miliardario, capace – ancora una volta – di irritare l’Unione Europea (tanto che il blocco ha minacciato sanzioni) e di scomodare addirittura le Nazioni Unite, che hanno subito denunciato e condannato quanto accaduto in un primo momento.
Il solito sondaggio
Musk, mentre la polemica legata alle sospensioni in serie cavalcava l’onda del web e non solo, come detto ha lanciato un sondaggio. Chiedendo se dovesse ripristinare gli account sospesi subito o fra una settimana. Quasi il 59% dei 3,69 milioni di votanti ha optato per un ripristino immediato. Detto, fatto. Molti account sono stati riattivati, fra cui quello di Aaron Rupar, ex giornalista di Vox. Il quale ha ringraziato i suoi follower per essersi immediatamente attivati non appena era stato pronunciato il ban nei suoi confronti. La misura, giorni fa, aveva toccato diverse testate e diversi nomi grossi del giornalismo statunitense: CNN con Donie O’Sullivan), New York Times con Ryan Mac, Washington Post con Drew Harwell. Oltre a svariati giornalisti indipendenti. La polemica era scattata ufficialmente mercoledì, con la sospensione di @elonjet, l’account di uno studente, Jack Sweeney, che riferiva automaticamente degli spostamenti di Musk via jet privato.
Le sospensioni di molti giornalisti hanno portato le redazioni americane (ma non solo) a riconsiderare i rapporti con Twitter. Molte strategie delle citate testate per attirare pubblico, infatti, si sono sempre basate sulle interazioni via social. E sul seguito di cui beneficiavano i singoli giornalisti.
Pericolo sì o no?
Musk, volendo fare un passo indietro, aveva giustificato le sospensioni sostenendo gli account in questione erano un pericolo per l’incolumità sua e della famiglia. Mercoledì, via Twitter, il miliardario ha spiegato che un veicolo con a bordo suo figlio X è stato rintracciato e seguito a Los Angeles da «uno stalker impazzito». Di qui il collegamento, apparentemente casuale, con l’account @ElonJet che, per contro, ha sempre e solo monitorato i voli di Musk.
Twitter, nel senso dell’azienda, non ha mai spiegato perché gli account sono stati sospesi né ha motivato la decisione. Le indicazioni, semmai, le ha date Musk. Il quale ha pure fatto capire, una volta ancora, di non gradire opinioni contrarie alle sue. Venerdì, in diretta su Spaces, la «zona audio» di Twitter, ha abbandonato all’improvviso la discussione dopo essere stato contraddetto. Il risultato? Ha disattivato, momentaneamente, la funzione adducendo un problema tecnico.
Che cos'è il «doxing»
Nella notte fra giovedì e venerdì, ancora, Musk ha adoperato il termine doxing nell’annunciare la sospensione temporanea degli account citati. La parola indica la divulgazione pubblica di informazioni personali su un individuo via Internet, senza il suo consenso.
La mossa, dicevamo, ha scatenato le reazioni della politica e non solo. Il tutto mentre Musk, una volta di più, si è definito difensore della libertà di espressione. «La decisione costituisce un pericoloso precedente in un momento in cui i giornalisti di tutto il mondo devono affrontare censura, minacce fisiche e anche peggio» aveva affermato, a caldo, Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. La vicepresidente della Commissione Europea, Vera Jourova, aveva invece subito ricordato che c’erano «linee rosse» da non oltrepassare, accompagnando il concetto da minacce di sanzioni, mentre Reporters sans frontières (RSF) nel chiedere l’immediato ripristino degli account aveva sottolineato come «l’arbitrarietà delle grandi piattaforme» rappresentasse «un grande pericolo per la democrazia».
Azioni in vendita?
Da quando ha rilevato la piattaforma, per la modica cifra di 44 miliardi di dollari, Musk non è mai stato chiaro su cosa è consentito fare e cosa no nell’universo di Twitter. Nel mentre, nel nome della libertà di espressione ha ripristinato account bannati, fra cui quello di Donald Trump, ma ha pure sospeso quello di Kanye West dopo nuove sparate antisemite e ritenuto non opportuno far ritornare il cospiratore di estrema destra Alex Jones.
Senza contare che l’acquisto sta pesando, e non poco, sulle finanze dello stesso Twitter (l’azienda ha assunto un debito di 13 miliardi per concludere l’accordo) e di Musk, il quale mercoledì ha venduto azioni Tesla per 3,6 miliardi di dollari. Il motivo? Presumibilmente, investire più capitale in Twitter riducendone il debito. Semafor, a tal proposito, ha riferito che il gestore finanziario di Musk, Jared Birchall, questa settimana ha contattato potenziali investitori offrendo azioni di Twitter allo stesso prezzo pagato da Musk: 54,20 dollari. Una vendita difficile, verrebbe da dire, dato che Twitter – con gli utenti in subbuglio e gli inserzionisti pubblicitari in fuga – ha perso parecchio valore nelle scorse settimane.