Campania. Terra di romani, ma anche di greci
Itinerario
Ottobre 2023
- Napoli
- Pompei
- Ercolano
- Castellamare di Stabia
- Torre Annunziata
- Paestum
- Velia
Durata del viaggio: 4 giorni
Operatore turistico: Associazione Archeologica Ticinese
Pompei, Ercolano e Stabia scomparvero il 24 agosto del 79 d. C. sotto le ceneri provocate dall’eruzione del Vesuvio. Ercolano fu ricoperta da oltre 20 metri di materiale eruttivo, mentre Pompei e Stabia furono sepolte sotto uno strato spesso fino a 6-7 metri. La maggior parte degli abitanti, nel tentativo di sfuggire alla catastrofe, trovò la morte lungo il litorale, mentre i pochi che cercarono riparo nei sotterranei delle abitazioni perirono per soffocamento. Su questi tragici avvenimenti è interessante la lettura del libro, in chiave romanzata, di Alberto Angela: «I tre giorni di Pompei» (Milano 2021).
Pompei, Ercolano e Stabia vennero così cancellate dal mondo – tanto che si dubitò della loro esistenza – fino al Settecento, quando all’inizio del secolo tornarono alla luce resti delle città dimenticate. Come scrive Luigi Vicinanza («Campania, regno dell’archeologia», Milano 2022) «l’archeologia moderna nacque qui. Quasi per caso», sponsorizzata dai sovrani borbonici, che intravvidero la possibilità di dare maggiore lustro alla Campania, già nota per i templi della Magna Grecia di Paestum. Messaggio percepito, a fine Settecento e nel corso dell’Ottocento, dai viaggiatori del Grand Tour, alla ricerca delle nostre radici antiche.
L’Associazione Archeologica Ticinese ha voluto proporre ai suoi membri, nell’ottobre del 2023, un viaggio di studio alla scoperta della Campania dei greci e dei romani.
Napoli, Museo Archeologico
Una visita al Museo Archeologico di Napoli è d’obbligo. Raccoglie infatti importanti reperti, che a partire dal Settecento giungevano e giungono tuttora dalle zone di scavo, oltre alla straordinaria collezione della famiglia Farnese. Con le sue 44 mila opere dell’antichità è uno dei più importanti musei archeologici al mondo e forse il più ricco per quanto riguarda l’arte romana. La visita potrebbe protrarsi per giornate intere, ma a noi serve come introduzione all’itinerario campano dei giorni successivi. Il museo ospita infatti importanti mosaici e affreschi provenienti da edifici pubblici e da case private che visitiamo nei giorni seguenti. Ma espone anche una grande quantità di oggetti, utensili, vasellame, strumenti chirurgici e musicali, lucernari, gioielli, tempietti in ricordo degli antenati, che permettono di fare luce sulle abitudini di vita dei romani. Nel cosiddetto «Gabinetto segreto» sono esposti 250 reperti che illustrano i diversi aspetti della sessualità nel mondo antico. Un famoso affresco ricorda una devastante lite avvenuta a Pompei tra tifosi di sponde opposte durante uno spettacolo di gladiatori, che provocò un migliaio di vittime. Tanto da indurre Nerone a vietare questi spettacoli in città per un periodo di 10 anni.
Accanto a tutte queste opere, provenienti dagli scavi, si può ammirare la straordinaria collezione Farnese, con capolavori della Magna Grecia, nonché di epoca romana, dai quali risulta la forte influenza esercitata dalla cultura greca su quella romana. A trasferire a Napoli da Roma e da Parma queste opere, raccolte dalla madre Elisabetta Farnese, fu Carlo di Borbone, che agli inizi del Settecento promosse anche gli scavi archeologici in Campania. A fondare invece l’attuale museo nel palazzo cinquecentesco, che fu dapprima luogo destinato a esercizi di equitazione e in seguito sede universitaria, fu invece suo figlio Ferdinando.
A Pompei la vita si è fermata
Pompei è certamente il sito archeologico più famoso al mondo ed anche uno dei più visitati: nel 2023 sono stati superati i 4 milioni di visite. Ciò che maggiormente sorprende, passeggiando oggi lungo le vie di questa città romana, è come tutto sia rimasto praticamente intatto dopo la catastrofe del 79 d.C. . Sono passati quasi duemila anni, ma tutto resiste al suo posto per testimoniare la tragedia, ma anche il modo di vivere dei romani all’inizio del primo millennio. La maggiore testimonianza della drammaticità degli eventi del 79 d.C. è certamente rappresentata dai calchi di corpi in agonia durante le ultime ore di vita in città. Sono stati riprodotti iniettando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi decomposti all’interno del materiale vulcanico. Ne sono sortite delle «statue», esposte al Foro di Pompei, estremamente espressive, testimoni di una fine terribile.
La città, fondata nel corso del VII secolo a.C., passò sotto controllo romano tre secoli più tardi. Per diventare urbe romana a tutti gli effetti, dovette però attendere fino all’80 a.C. . È suddivisa in quartieri (regiones), a loro volta frazionati in isolati (insulae); inoltrandosi oltre le regiones si raggiungono le necropoli, mentre fuori dalle mura vennero edificate fastose ville. Gli studiosi dibattono tuttora su quanti fossero i suoi abitanti. Dopo un terribile terremoto, che nel 62 a.C. distrusse in parte la città, molti cittadini si stabilirono infatti altrove ritenendola poco sicura. Si parla comunque di una popolazione che oscillava tra 10 e 20 mila persone.
Non è necessario essere esperti di archeologia per rendersi conto, passeggiando lungo le antiche vie, di come si svolgesse la vita a Pompei. Grazie ai numerosi ritrovamenti, non da ultimo le scritte sui muri, gli studiosi sono riusciti a stabilire che i romani lavoravano dal mattino di buonora fino a mezzogiorno. Terminata la giornata lavorativa si incontravano al Foro, centro nevralgico della città, su cui si affacciano edifici pubblici e religiosi, nonché i mercati cittadini. Ma gli abitanti amavano anche godersi la vita (carpe diem). Le terme, suddivise per sesso, costituivano uno dei passatempi preferiti, senza sdegnare la visita a uno dei 25 bordelli presenti in città, sulle cui pareti sono affrescate le prestazioni erotiche offerte. Un’altra passione era quella per gli spettacoli dei gladiatori, spesso seguiti da disordini tra tifosi, come ricorda l’affresco esposto al Museo Archeologico di Napoli. A Pompei si visitano sia il campo di allenamento dei gladiatori, attorno al quale sono disposte le loro celle abitative e quelle dei loro maestri al piano superiore, sia l’imponente anfiteatro, dove si svolgevano i «giochi», che poteva ospitare fino a 20 mia spettatori. Molto frequentate erano anche le rappresentazioni teatrali, che si tenevano nel Teatro Grande, e quelle musicali nel Teatro Piccolo. Gli spettatori erano distribuiti in base al loro status sociale e uno spazio era riservato alle donne, per evitare che venissero molestate. Sulle pareti dei teatri si possono ancora leggere i nomi degli «sponsor», incisi nella pietra. Passeggiando per Pompei si incontrano numerose botteghe dove venivano offerti prodotti enogastronomici, secondo la migliore tradizione dello street food, dove era possibile rifocillarsi prima o dopo gli spettacoli. Lungo le strade si trovano anche diverse fontane, dove le famiglie meno abbienti si recavano per rifornirsi di acqua, mentre i ricchi disponevano di acqua potabile nelle loro lussuose residenze urbane, molte delle quali, a rotazione, sono aperte al pubblico.
Finora sono stati riportati alla luce i tre quinti della Pompei romana. Ma «questa città – come ha dichiarato il professor Massimo Osanna, ex direttore del Parco Archeologico – rimane un laboratorio di studio dalle potenzialità inesauribili, capace di aggiungere continuamente nuovi dati alla sua storia».
Ercolano, più piccola, ma…
Ercolano la si ammira con un colpo d’occhio dall’alto di una terrazza accanto all’entrata: è molto più piccola di Pompei e solo un terzo dell’antica urbe romana è stato riportato alla luce, perché sopra i rimanenti due terzi è stata costruita la città moderna. «È diversa e minore rispetto a Pompei – afferma Amedeo Maiuri, direttore degli scavi dal 1927 al 1961 – ma non per questo meno importante, con la sua fisionomia urbanistica, la sua civiltà e, quel che più importa, con il suo volto umano». La sua storia è simile a quella di Pompei e si pensa che avesse tra i 4 e i 5 mila abitanti. A differenza della sorella maggiore, per ragioni che gli studiosi stanno ancora cercando di valutare, a Ercolano si sono però salvati i materiali organici: legno, papiri, generi alimentari, capi di abbigliamento. Prodotti che hanno permesso agli studiosi di fare nuove scoperte sulle abitudini di vita del tempo. Scoperte ben documentate nei due musei adiacenti al sito archeologico: uno che presenta numerosi oggetti della vita quotidiana e un altro dove è esposta una piccola barca (liburna), lunga 10 metri, in dotazione alla flotta romana per effettuare pattugliamenti. L’alto spessore del fango ha permesso di scoprire anche edifici a più piani, rivelando il superamento del concetto della casa signorile monofamiliare articolata orizzontalmente.
Le vie di Ercolano sono molto piacevoli da percorrere, anche perché sono molto meno affollate di quelle di Pompei. Si ammirano sia edifici pubblici come le terme, il teatro, una casa che pare fosse adibita ad albergo, una vasta palestra pubblica di oltre 9 mila metri quadrati, sia eleganti abitazioni private, come la Casa dei Cervi, costruita sulla scogliera con ampie aperture per ammirare il panorama sul Golfo (il mare nel corso dei secoli si è molto ritirato). Una scalinata scende alla spiaggia, dove spiccano alcune costruzioni a volta per custodire le imbarcazioni. Sia all’interno di questi spazi, sia lungo la spiaggia gli archeologi hanno scoperto corpi di cittadini in fuga, carbonizzati da nubi di gas tossici ad elevatissime temperature sprigionati dall’eruzione del vulcano.
Splendide ville in riva al mare
Come accade oggi, anche in epoca romana il Golfo di Napoli esercitava un grande fascino, grazie ai suoi splendidi panorami e al clima mite. I notabili romani amavano infatti costruire imponenti ville residenziali o di otium su pendii panoramici, a picco sul mare, con accesso diretto alla spiaggia. Cosa di cui oggi è difficile rendersi conto, in quanto il Tirreno, soprattutto durante l’eruzione, si è allontanato di centinaia di metri. Sulle terre pianeggianti sorgevano invece le residenze rurali, legate soprattutto ad attività agricole.
Sono molte le ville aperte al pubblico. Per il nostro itinerario ne sono state scelte due: quella di San Marco a Castellamare di Stabia e quella appartenuta alla seconda moglie di Nerone, a Torre Annunziata. Entrambe distano pochi chilometri da Pompei.
Villa San Marco fu scoperta nel 1950 da un preside di scuola media e in parte scavata con l’aiuto degli allievi e dei bidelli. Era sepolta sotto 5 metri di lapilli e cenere, che l’hanno sigillata durante l’eruzione per consegnarla a noi in ottime condizioni. Di dimensioni enormi – molto superiori a quelle di un campo di calcio – con i suoi 11 mila metri quadrati (di cui finora 8 mila scavati) è considerata una delle più grandi della Campania romana. Propone molti ambienti aperti, semiaperti delimitati da colonnati e chiusi, con zone dedicate ai proprietari ed altre agli ospiti. Ampio spazio è dedicato alle terme, così come alla piscina di dimensioni quasi olimpioniche. Particolarmente interessanti gli affreschi alle pareti e i pavimenti, ancora originali.
Anche la Villa di Poppea ha dimensioni simili e si affaccia sul mare con splendidi panorami sul Golfo. Sorge a Oplontis, zona che nel corso del primo secolo d.C. era considerata un centro residenziale esclusivo. Al momento della terribile eruzione l’edificio era in ristrutturazione. Era infatti stato costruito 160 anni prima ed era appartenuto a diverse famiglie, prima di diventare proprietà della seconda moglie di Nerone. Per questa ragione è molto interessante dal punto di vista della storia dell’arte romana, in quanto presenta affreschi appartenenti a periodi diversi. Sono finora stati riportati alla luce 100 ambienti (giardini esterni ed interni, un’immensa piscina, terme, atrii, stanze di rappresentanza e da letto) e rimane da esplorare ancora un terzo del complesso.
Il mondo greco di Paestum…
Facciamo un salto indietro di alcuni secoli nel tempo per recarci a Paestum, una delle più ricche e fiorenti colonie della Magna Grecia nell’Italia meridionale, per scoprire alcuni gioielli dell’architettura dorica risalenti al Cinquecento e al Quattrocento a.C. . I templi dell’antica Poseidonia sono infatti considerati i meglio conservati al mondo, assieme a quelli di Atene e di Agrigento. Osservandoli Friedrich Nietzsche esclamò: «È come se un dio avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa». Il più antico è quello dedicato alla dea Hera e risale al VI secolo a.C. . Si compone di 50 colonne alte oltre 6 metri, 9 sui lati corti e 18 su quelli lunghi Quelle della facciata sostengono un architrave su cui sono posati il fregio e le metope, sovrastate dal timpano.
Ancora più grande e imponente è il tempio di Nettuno, che sorge accanto e risale alla prima metà del V secolo a.C. . Più a nord, un po’ discosto, si trova invece il tempio di Cerere dell’inizio del V secolo a.C. . Realizzati in travertino, anticamente si presentavano con colori vivaci. Sulla piattaforma dove si trovavano i luoghi sacri potevano salire solo i sacerdoti. Accanto agli edifici venivano scavati i cosiddetti pozzi sacri, dove i sacerdoti depositavano parte dei doni ricevuti. Poco distante sorgeva la città greca, di cui rimangono testimoni soltanto i perimetri degli edifici pubblici e privati. Interessante notare come le abitazioni dei notabili risultino ridotte rispetto a quelle dei romani: segno di una filosofia di vita più sobria e spirituale e intrisa di religiosità. Differenze, comunque, che non impedirono una profonda influenza della cultura greca su quella romana.
Dopo la dominazione greca la città conobbe una lenta decadenza. L’incuria permise alle acque dei due fiumi, tra i quali sorgeva Paestum, di invadere la pianura rendendola paludosa e allagando le basi dei templi. Solo nel Settecento, grazie ai Borbone, la zona venne bonificata e i templi, restaurati, tornarono al loro antico splendore.
All’interno del sito archeologico è stato costruito un museo, dove sono esposti oggetti, statue, fregi e metope (notevoli!) ricavati dai restauri. Di straordinario interesse sono una serie di affreschi di età greca, provenienti da monumenti funebri, tra cui la famosissima Tomba del Tuffatore. Rappresenta un giovane nudo mentre si tuffa nell’oceano, immagine metaforica del passaggio dalla vita alla morte.
… e quello di Velia
Un’ora di automobile separa Paestum da Velia, culla del pensiero filosofico occidentale. Fu infatti in questo luogo, immerso in un’ampia area di macchia mediterranea, che Parmenide fondò la sua scuola filosofica. Portata avanti in seguito dal suo allievo Zenone, proponeva la priorità della ragione come mezzo privilegiato di ricerca della verità. Un principio che ha influenzato l’intera storia della filosofia occidentale.
Velia fu fondata nel 540 a.C. – come ci racconta lo storico greco Erodoto – da esuli della città di Focea nell’Asia Minore (oggi Turchia), in fuga dai Persiani. Era costituita da tre quartieri, situati in diversi avallamenti, che confluiscono nella Porta Rosa, edificata sulla cima di una collina. La città, che sorgeva in riva al mare (oggi molto arretrato), fu distrutta a più riprese da diverse alluvioni, ragione per cui i romani, succeduti ai greci, la abbandonarono. Nel sito archeologico i ruderi di epoca greca e romana si sovrappongono, ma i tre quartieri sono ancora bene delimitati e la Porta Rosa, con il suo ampio arco, rimane un gioiello dell’architettura greca.
Per saperne di più
- Campania, Touring Club Italiano, Guida Rossa, Milano 2005
- Napoli e dintorni, Touring Club italiano, Guida Rossa, Milano 2005
- Campania, Touring Club Italiano, Guida Verde, Milano 2020
- Campania, Regno dell’archeologia, Le Guide di Repubblica, Torino 2022
- Pompei Oplontis Ercolano Stabiae, Guide Archeologiche Laterza, Roma 2018
- Alberto Angela, I tre giorni di Pompei, Milano 2021