Da Lanzarote a Fuerteventura
Itinerario
(febbraio 2015)
- 1° giorno Ticino – Arrecife – Femés – Playa Blanca – Corralejo
- 2° giorno Parque Natural Dunas de Corralejo
- 3° giorno Corralejo – La Oliva – Tefía – Betancuria – Pájara – Morro Jable – Corralejo (235 km)
- 4° giorno Playa Blanca – Punta Papagayo – Salinas de Janubio – El Golfo – Yaiza – La Geria – San Bartolomé – Arrecife – Costa Teguise
- 5° giorno Parque Nacional de Timanfaya (con escursione a piedi)
- 6° giorno Costa Teguise – Guatiza – Jameos del Agua – Cueva de los Verdes – Malpaís de la Corona – Órzola – Mirador del Río – Haría – Teguise – Costa Teguise
- 7° giorno Volcán de La Corona (escursione a piedi)
- 8° giorno Lanzarote – Zurigo – Ticino
Durata del viaggio: 8 giorni
Operatore turistico: Organizzato in proprio
LANZAROTE
Un territorio vulcanico con rare oasi verdeggianti, ricche di palme, intercalate ad aspre distese di lava nera dall’aspetto surreale ed inquietante. Ma Lanzarote non sarebbe quello che è se César Manrique, un artista solitario innamorato della sua terra, non avesse utilizzato il suo genio creativo per realizzare le sue opere e valorizzare il suo paesaggio, dopo essersi battuto per anni contro la speculazione e la cementificazione dell’isola.
Lanzarote, con un'estensione di 60 chilometri e una larghezza di 20, è però famosa soprattutto per le sue immense spiagge di sabbia dorata sferzate dalle brezza del mare, che ogni anno richiamano oltre 2 milioni e mezzo di turisti. Il nostro itinerario propone la scoperta dell’isola con le sue incredibili bellezze naturali, ma è compatibile anche per chi sceglie questa meta come vacanza di mare. Gli amanti del bagno non perdano l’occasione di immergersi nelle acque limpidissime dell’idilliaca Playa de Papagayo a sud-est dell’isola e della magnifica Caleta de Famara a nord-ovest.
Una terra lavica
«Chiunque avrebbe potuto credere, data la violenza dell’evento, che quella fosse la fine del mondo. Il cielo si oscurò tenebrosamente, il terreno si lacerò sprigionando vapori pestilenziali, il fuoco si riversò a fiumi distruggendo villaggi e uccidendo animali». Così racconta un curato, testimone delle eruzioni che per sei lunghi anni, dal 1730 al 1736, interessarono 30 vulcani e ricoprirono di lava anche quelle poche terre fertili che erano state risparmiate dalle colate nei secoli precedenti. Per la popolazione di allora fu una catastrofe e molti abitanti furono costretti a lasciare l’isola. Oggi, però, paradossalmente, quella tragedia si è trasformata in un’incomparabile ricchezza turistica che caratterizza Lanzarote conferendole un affascinante aspetto lunare.
Una strada tra i vulcani
Epicentro delle eruzioni settecentesche furono le Montañas del Fuego: il luogo più spettacolare, oggi Parco Nazionale voluto da César Manrique, dove l’architetto ha costruito un ristorante belvedere da cui si gode un incredibile vista sui crateri dei vulcani e sul desolato paesaggio lavico che si estende fino al mare. Una stretta e tortuosa stradina («Ruta de los volcanes»), che si percorre in torpedone, fiancheggia le cime dando la possibilità di ammirare l’interno dei coni vulcanici, attraverso un paesaggio da cui sorgono fantastiche formazioni laviche in gradazioni di nero, grigio, marrone e rosso, schiarite dal colore bianco-giallognolo dei licheni. L’immenso campo di lava e vulcani arriva fino al mare, che si scorge all’orizzonte. Uno dei tratti marini più affascinanti e inconsueti di Lanzarote è proprio quello della costa a sud-ovest che confina con il Parco Nazionale, dove le poderose onde dell’Oceano con la loro bianchissima schiuma bianca, infrangendosi contri i nerissimi scogli lavici, propongono un indimenticabile contrasto. Questo paesaggio lo si può ammirare percorrendo in automobile la strada che dalle «Salinas de Janubio» (interessanti saline), attraversando Los Hervideros, porta a El Golfo, un pittoresco borgo in riva al mare famoso per i suoi ristoranti di pesce. Questo villaggio propone due attrazioni: all’entrata un lago vulcanico dall’acqua color smeraldo, che contrasta con la sabbia nera e il blu del mare, e all’uscita una breve ma spettacolare passeggiata ai bordi del Parco Nazionale.
Per chi ama camminare, Canary Trekking organizza interessanti passeggiate di tre, quattro ore nelle zone vulcaniche più interessanti: ai confini del Parco Nazionale, chiuso agli escursionisti, e a nord attorno al vulcano de La Corona fino al Risco de Famara, un altro tratto spettacolare di costa. «È un piacere profondo, ineffabile, camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento – ha scritto il premio nobel José Saramago nei «Quaderni di Lanzarote» – risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato...»
La facile scalata del vulcano de La Corona
Il vulcano de La Corona, che si può facilmente scalare, è, assieme al Timanfaya del Parco Nazionale, il più imponente dell’isola. La sua ultima eruzione, che risale a 5 mila anni fa, ha prodotto un interessante fenomeno: la creazione di un tunnel a più strati lungo 7,5 chilometri. Le gallerie si sono formate sotto la superficie della colata lavica, che a contatto con l’aria si è raffreddata e solidificata, permettendo al magma fuso di continuare a scorrere in profondità, finché l’eruzione non si è esaurita. Una tratta di 2 chilometri di questo singolare tunnel la si può visitare («Cueva de los Verdes») seguendo un percorso sotterraneo reso molto suggestivo da una sapiente illuminazione. In questi anfratti naturali nelle viscere della terra si nascosero per secoli gli abitanti dell’isola perseguitati dalle frequenti incursioni dei pirati marocchini, algerini, francesi e inglesi.
Tunnel di lava e molto altro
Lo stesso tunnel lo si trova con il tetto crollato, vicino al mare («Jameos del Agua»), in prossimità di un azzurro lago salato, dove vive una specie di granchio albino cieco unico al mondo. Anche qui il genio artistico di César Manrique ha creato uno splendido mondo sotterraneo di acqua e piante con bar, ristoranti, un auditorium per 600 persone e un piccolo museo sui fenomeni vulcanici.
Nelle vicinanze vale la pena di visitare anche due altre interessanti attrazioni turistiche volute da César Manrique: il «Mirador del Río», un punto panoramico con magnifica vista sull’Isola La Graciosa e altre minori, splendidamente integrato con il suo ristorante nell’ambiente roccioso della scogliera, e il «Jardín de Cactus», con oltre 10 mila esemplari appartenenti a oltre mille diverse varietà. Nella regione merita una sosta anche la graziosa cittadina di Teguise, antica capitale dell’isola.
Vigneti scavati nella sabbia vulcanica
Dopo l’eruzione del Settecento, che coprì i pochi terreni fertili risparmiati in passato dalla lava, la sussistenza dei «mago», i contadini dell’isola, si fece difficile e molti furono costretti ad emigrare. Ma chi rimase, spinto dalla disperazione, scavò nella cenere vulcanica alla ricerca della terra e vi piantò delle piante di vite. Fu un’ottima trovata, perché ancora oggi l’aspetto più caratteristico dell’agricoltura dell’isola è quello dei vigneti scavati nella sabbia vulcanica. Ogni pianta è inoltre protetta da un muretto a mezzaluna in pietra lavica, simile a un ricamo, che non ha il compito di bloccare l’aria – sovente il vento è impetuoso – ma di filtrarla. La composizione vulcanica del suolo conferisce al vino un sapore particolare. Al museo del vino nella Cantina El Grifo, la più antica dell’isola, si possono osservare alcune vigne piantate oltre due secoli fa scavando un metro e più nel terreno per trovare la terra.
Grazie a questo sistema di coltivazione unico al mondo ci si è in seguito resi conto che la ghiaia lavica svolge varie funzioni: protegge la terra sottostante dall’eccessivo calore del sole, impedisce all’acqua incamerata nel terreno di evaporare troppo in fretta, accentua alcune proprietà minerali del suolo. I contadini di Lanzarote, dopo questa scoperta, spargono così sui campi coltivati uno strato di cenere lavica, che agisce da spugna, assorbendo la notte l’umidità e trasmettendola durante il giorno alla terra.
La sfida di un architetto contro la speculazione
Come proteggere l’ambiente e le bellezze naturali contro lo sviluppo incontrollato del turismo senza però rinunciare al progresso economico? È stata questa l’interessante sfida di César Manrique (1919-1992), intellettuale, architetto, scultore, pittore nella sua amata isola di Lanzarote alle Canarie. Una sfida vinta in parte. Attraversando i villaggi all’interno di Lanzarote si può infatti notare come lo stile architettonico tradizionale di piccole e basse abitazioni bianchissime, seppur interpretato in chiave moderna, sia rimasto la norma. Anche i borghi che si affacciano sul mare sono in gran parte stati risparmiati dalla speculazione edilizia. Questo impegno di Manrique è stato riconosciuto dopo la sua morte dall’Unesco, dichiarando l’intera isola «Riserva della Biosfera». Certo, la natura ha fatto la sua parte, ma Lanzarote non sarebbe quello che è oggi se César Manrique non avesse deciso di realizzare la sua tela artistica direttamente sul territorio della sua terra natia.
Già durante gli studi di architettura all’Università di Tenerife e in seguito quelli di Belle Arti a Madrid coltivava il sogno di disegnare le sue opere direttamente nel paesaggio. Tanto che sull’isola sono in molti a pensare che ci sia una Lanzarote prima e una dopo César Manrique. L’artista ha infatti proposto con successo un modello di sviluppo alternativo, partendo dalla convinzione che fosse possibile una sintesi tra arte e natura e un’integrazione tra diversi linguaggi artistici: pittura, scultura, disegno e architettura. Con il suo genio ha così reinventato il paesaggio, interpretando in chiave moderna l’estetica originale dell’isola.
Nato ad Arrecife nel 1919, nel ‘37 Manrique si arruolò come volontario nell’esercito franchista, ma nel ’39 ritornò sull’isola, cosparse di petrolio la sua divisa e le diede fuoco. Dopo gli studi di architettura e di Belle Arti trascorse parecchi anni a New York, dove divenne pupillo di Nelson Rockefeller ed espose al Guggenheim Museum. Nel ’68 tornò a Lanzarote. Erano gli anni in cui si decideva se lo sviluppo turistico dovesse corrispondere a colate di cemento e grandi alberghi o rispetto del paesaggio e costruzioni in armonia con la natura. In questo periodo Manrique organizzò manifestazioni di protesta e fondò il gruppo ambientalista «El Guincho» riuscendo a fare approvare al governo dell’isola leggi che limitavano e regolamentavano lo sviluppo urbanistico con norme per stabilire l’altezza, lo stile e il colore degli edifici. La sua azione non si limitò però alla protesta, ma propose anche alcune realizzazioni turistiche, che oggi costituiscono alcuni tra i luoghi più spettacolari di Lanzarote, come lo scenografico ristorante nel «Parque nacional de Timanfaya» da cui si dominano i crateri vulcanici, il «Mirador del Río», uno straordinario punto panoramico splendidamente integrato nell’ambiente roccioso della scogliera, il «Jameos del Agua», un intervento architettonico moderno in un suggestivo mondo sotterraneo, o ancora i «Juguetes de viento», una serie di monumenti mobili che accompagnano il turista durante la sua visita dell’isola. Senza naturalmente dimenticare la sua abitazione, oggi «Fundación César Manrique», costruita su un terreno coperto di lava e ceneri sfruttando cinque bolle vulcaniche formatesi oltre 200 anni fa.
FUERTEVENTURA
Uno «scheletro d’isola» la definì Miguel de Unamuno, l’intellettuale spagnolo esiliato a Fuerteventura nel 1924 dal dittatore spagnolo Miguel Primo de Rivera. Rimase probabilmente colpito dalla nudità degli spazi desertici delle dune, dalle cime pelate dei coni vulcanici estinti e dal profilo africano del paesaggio.
Una propaggine del Sahara nell’Oceano
Emblema spettacolare di questa natura è il «Parque Natural Dunas de Corralejo», una propaggine del Sahara in riva al mare, con le sue dune di sabbia bianchissima che si estendono per una decina di chilometri a sud della città fino alle pendici del vulcano Montaña Roja. Solo due mostri di cemento della catena Riu interrompono l’incanto di questo paesaggio.
Con i suoi 160 chilometri di lunghezza e 30 di larghezza Fuerteventura è la seconda isola per vastità dell’arcipelago, dopo Tenerife. È celebre soprattutto per le acque turchesi e per le vaste spiagge sferzate dal vento che ne fanno un paradiso per i surfisti. Il mare è solitamente tanto più bello quanto più ci si allontana dai centri abitati, troppo spesso frutto di speculazione edilizia. All’interno dell’isola si trovano ancora alcuni villaggi caratteristici con case basse e bianchissime costruite attorno alla chiesa, quasi sempre chiusa. Ma se si ha la fortuna di trovarne qualcuna aperta, come a La Oliva, Antigua, Betancuria o Pájara si potranno ammirare i soffitti in legno e gli altari barocchi.
Percorrendo l’isola da nord a sud
Per scoprire l’isola si può facilmente percorrere in un giorno un itinerario che si sviluppa da nord a sud. Si parte da Corralejo per raggiungere La Oliva con la sua graziosa piazzetta caratterizzata dalla «Iglesia de Nuestra Señora de la Candelaria», dotata di un campanile costruito in pietra vulcanica nera che contrasta con il bianco del villaggio. A poca distanza si può visitare la «Casa de los Coroneles», dove gli ufficiali stanziati in paese controllavano gli affari dell’isola per conto degli spagnoli. A Tefía, una ventina di chilometri a sud, l’«Ecomuseo de La Alcogida» conserva una decina di antiche case restaurate e illustra la vita quotidiana degli isolani di un tempo con le loro attività agricole e artigianali.
Un segno distintivo del paesaggio di quest'isola è costituito dai frequenti mulini a vento, che nei tempi passati macinavano farina da grano, orzo e granturco, oppure servivano per pompare l’acqua dai pozzi. Ad Antigua un museo ne illustra la storia e presenta un’altra importante attività isolana: la produzione di un ottimo formaggio di capra. Pochi chilometri separano Antigua da Betancuria, antica capitale di Fuerteventura, raccolta all’interno di un cratere e attorniata da cime di vulcani estinti. Questo villaggio, senza dubbio il più bello dell’isola, fu fondato all’inizio del Quattrocento da Jean de Béthencourt, che conquistò Fuerteventura per conto della corona spagnola. Una strada molto spettacolare porta dapprima a Pájara e in seguito a La Pared al limite nord-ovest della penisola di Jandía, dove si trova il confine tra due tipi di spiaggia, entrambi meravigliosi ma completamente diversi per il colore della sabbia: a sud dorata, a nord nera perché di origine vulcanica. Da La Pared, viaggiando sempre in direzione sud si raggiunge dapprima Costa Calma, una città rivierasca costruita negli anni Sessanta secondo un moderno piano urbanistico e in seguito la caotica Morro Jable. Spingendosi ancora più a sud si entra nel selvaggio «Parque Natural de Jandía», dove non è giunta la speculazione edilizia. In un’ora e mezza circa di automobile si ritorna a Corralejo. Seguendo le indicazioni e la strada per l’aeroporto, una ventina di chilometri dopo La Lajita, si attraversa una desolata e spettacolare zona denominata «Malpaís Grande», dove la superficie lavica assume forme sorprendenti.
Per saperne di più
- Isole Canarie, Le Guide Mondadori, Milano 2011
- Isole Canarie, Lonely Planet, Torino 2008
- Attilio Gaudio, Canarie, Moizzi, Milano 1991
- Meridiani, Canarie, aprile 2014
- Meridiani, Baleari e Canarie, giugno 2001
- Traveller, Canarie, febbraio 2003