Dalle Ande all'Amazzonia, sino alle Galapagos
Itinerario
(gennaio 2020)
- 1° giorno Milano - Quito
- 2° giorno Otavalo (visita al mercato)
- 3° giorno Parco Nazionale di Cotopaxi
- 4° giorno Quito - Coca (imbarco sulla nave Anaconda)
- 5° giorno Parco nazionale Yasuní
- 6° giorno Navigazione
- 7° giorno Avventura nella foresta
- 8° giorno Rientro a Quito
- 9° giorno Quito - Galapagos (imbarco sul M/Y Grand Majestic)
- 10° giorno Isola North Seymour e Isola Santa Cruz
- 11° giorno Isola Santiago e Isola Bartolomé
- 12° giorno Isola Isabela
- 13° giorno Isola Fernandina e Isola Isabela
- 14° giorno Isola Santiago
- 15° giorno Isola Santa Cruz
- 16° giorno Isola di San Cristóbal - Sbarco - Volo per Milano
- 17° giorno Arrivo a Milano
Durata del viaggio: 17 giorni
Operatore turistico: Kel12
Su un territorio relativamente piccolo l’Ecuador offre numerose bellezze naturali. Dagli affascinanti paesaggi vulcanici andini con vette perennemente innevate che sfiorano i 6 mila metri di quota, all’asprezza della Foresta amazzonica con la sua straordinaria varietà vegetale e animale, alle località balneari sulla costa atlantica, per terminare nelle mitiche isole Galapagos, che distano un’ora di aereo dalla terraferma (si veda anche «Galapagos. Nel paradiso terrestre degli animali»). Una destinazione, quella dell’Ecuador, ingiustamente poco frequentata dai turisti europei, che vale davvero una visita, perché è possibile combinare esperienze molto diverse come gite in alta montagna e crociere lungo un affluente del Rio delle Amazzoni o tra le «Isole Incantate». Ma l’Ecuador non offre solo natura. Il centro storico della sua capitale figura tra le più interessanti testimonianze architettoniche dell’epoca coloniale spagnola.
Quito, la capitale
Arrivando in aereo e sorvolando Quito, la capitale dell’Ecuador, si vede una città costretta fra due catene montuose andine. Situata alla latitudine zero e a un’altezza di 2’800 metri la metropoli si sviluppa in lunghezza (oltre 40 chilometri) e poco in ampiezza (circa 12). Sorgendo in una zona sismica i suoi edifici sono di altezza ridotta. Il clima e la temperatura sono molto variabili. Come fa notare Victor von Hagen, autore di numerosi libri di viaggio, le condizioni termiche «dipendono dall’ora del giorno e dal lato della via su cui ti trovi a camminare: nella parte soleggiata è primavera, in quella all’ombra autunno e, quando il sole tramonta, inverno». Il gioiello di Quito è il centro storico, decretato nel 1978 patrimonio monumentale dell’umanità dall’Unesco, certamente uno dei più pregiati dell’America latina. La città vecchia, di origine coloniale, è piuttosto vasta, ma la parte ben restaurata si riduce a pochi isolati. Lungo le vie acciottolate e sulle piazze si affacciano edifici costruiti dagli Spagnoli durante la loro dominazione, che cominciò all’inizio del Cinquecento e si protrasse per tre lunghi secoli. Ma ciò che sorprende del centro città è l’enorme quantità e qualità di chiese, costruite per la maggior parte tra il Cinquecento e il Seicento, che ben giustificano il soprannome di «città-convento». Particolarmente sontuosa la basilica edificata dai gesuiti nel XVII secolo, splendida quella dei francescani, la prima ad essere progettata nel 1534 dopo la conquista. Quito, che in lingua indigena significa centro del mondo, fece parte dell’impero degli Inca e competeva per importanza con la mitica Cuzco (in Perù). Di quell’epoca non rimane però praticamente nulla, dato che l’imperatore Atahualpa preferì raderla al suolo piuttosto che cederla all’invasore spagnolo Sebastián de Belalcázar.
Vulcani e mercati
Durante il soggiorno a Quito, le guide turistiche consigliano la gita giornaliera a Otavalo per visitare il locale mercato artigianale, pare molto vivace soprattutto il sabato. L’ho visitato di lunedì e, francamente, non ne valeva la pena, perché è diventato troppo turistico e commerciale. Più interessante, invece, il mercato alimentare di questa località. Passeggiandovi ci si rende conto di quanto l’Ecuador sia ancora un paese prevalentemente agricolo. Grazie al clima mite e al terreno vulcanico nelle vallate andine cresce di tutto, mentre ciò che invece necessita di maggior calore viene coltivato lungo la costa oceanica. Viaggiando verso Otavalo si attraversa una vasta zona dedita alla coltivazione di fiori e in particolare di rose, che vengono esportate in tutto il mondo.
Un’altra gita giornaliera che vale invece assolutamente la pena di fare partendo da Quito è la visita del Parco nazionale del vulcano Cotopaxi, uno dei più famosi del paese. Gioiello del paesaggio andino, la sua mole è possente e il cono perfetto. Con i suoi 5897 metri di altezza è il vulcano attivo più alto del pianeta. Autore di eruzioni furiose, la più recente risale al 1877. Lo si raggiunge percorrendo la Panamericana, che in quel tratto assume il nome di Avenida de los Volcanes. Se avete la fortuna, com’è capitato a me, di avere una giornata di bel tempo, il panorama è fantastico: la strada, a quota 3 mila metri e oltre, zigzaga tra i vulcani. I più spettacolari, come il Cotopaxi, sfiorano i 6 mila metri e hanno la sommità coperta da nevi perenni. Entrati nel parco, una strada sterrata, che si ferma a quota 4’600, percorre le pendici, dove s’incontrano cavalli selvatici, lama, volpi, cervi, condor andini e, se avete fortuna, il sempre più raro orso dagli occhiali. Un lago poco profondo e immerso tra i canneti si trova alla base del vulcano. La vegetazione arriva fino a 4 mila metri, sopra è prateria. Dal posteggio si può raggiungere la capanna percorrendo un dislivello di soli 200 metri: ma che fatica camminare a quella quota…!
L’Amazzonia ecuadoregna
Il 40 per cento del territorio ecuadoregno è occupato dalla Foresta amazzonica, ma costituisce solo il 2 per cento del totale di questa regione, che si espande su cinque stati: Brasile, Bolivia, Perù, Colombia e, appunto, Ecuador. Negli ultimi tempi si sono espresse molte preoccupazioni per la conservazione di questo territorio, che rappresenta la più grande riserva d’acqua del pianeta ed è considerato il «polmone della terra», minacciato dalla presenza di pozzi petroliferi, dall’eccessivo sfruttamento del legname e da incendi provocati dall’uomo per far posto a pascoli per il bestiame. In particolare in Ecuador, dove ogni anno scompare oltre l’uno per cento di foresta, la minaccia maggiore è rappresentata dalla presenza dell’oro nero. Recentemente si sono scoperti importanti giacimenti di petrolio all’interno dello splendido Parco nazionale Yasuní, dove sono stati costruiti sia una lunga strada che attraversa la giungla, sia un oleodotto con ovvio impatto negativo sull’ambiente.
In questa regione orientale del paese la temperatura si aggira tutto l’anno attorno ai 27 gradi con diversi indici di umidità. Le precipitazioni e l’estrema fertilità del terreno danno vita a una varietà biologica unica al mondo. Basti dire che in un solo ettaro quadrato di foresta sono presenti più specie vegetali che nell’intera America del Nord. Gli altissimi alberi costituiscono una volta a oltre 40 metri da terra, da cui pendono le liane rampicanti, che ci fanno pensare ai racconti di Salgari. Alcune piante superano i 60 metri e la più alta misurata finora raggiunge addirittura gli 83 metri. Sono innumerevoli anche le varietà animali che vivono nella selva e nei corsi d’acqua della regione: dalle tarantole ai tucani, dalle scimmie ai caimani, dalla paurosa anaconda ai temibili piranha, dai delfini rosa ai pappagalli.
La regione è popolata da 9 diversi gruppi etnici, di cui i principali sono i Quichua, seguiti dagli Shuar e dagli Huaorani, quest’ultimi noti come cacciatori di teste. Queste comunità vivono in maniera simile, ma si differenziano tra loro per le lingue che parlano, per i vestiti che portano, per le abitazioni, per il rispettivo credo religioso (anche se la maggioranza sono cattolici, ma con inclinazione alle loro religioni tradizionali). Alcuni sono poligami, altri nomadi. Per tutti loro, però, la Foresta amazzonica offre tutto ciò che serve per sopravvivere (si veda anche l’appendice al termine di questo articolo). Siccome le possibilità di trovare un lavoro retribuito sono scarsissime, le famiglie coltivano yuca (una radice commestibile ricca di carboidrati) e banane, che vendono al mercato della città più vicina per racimolare i soldi necessari per alcune spese basilari. Si approvvigionano di acqua dal fiume, ricco anche di pesci, dalle lagune e da pozzi sotterranei. Gli sciamani sfruttano le erbe medicinali per curare ogni tipo di malattia. D’altra parte, a questo proposito è interessante notare come anche il 25 per cento delle medicine della farmacologia moderna occidentale provengono da specie vegetali, che per la grande maggioranza si trovano nella Foresta amazzonica. Queste popolazioni hanno potuto mantenere le loro tradizioni nel corso dei secoli anche grazie al loro territorio così impervio da tenere lontani i colonizzatori.
Una crociera lungo il fiume
Dalla città di Coca, nata una cinquantina di anni fa in vista dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, il Rio Napo scorre placidamente verso est, in direzione del Rio delle Amazzoni, seguendo il margine del Parco nazionale Yasuní, il più esteso dell’Ecuador e considerato Riserva della biosfera dall’Unesco. Il fiume è il protagonista della vita degli indigeni che vivono lungo le sue rive. L’educazione, la salute, il commercio, la vita familiare, dipendono dalla mobilità lungo questa via di comunicazione.
Un’offerta turistica interessante è quella della compagnia Anakonda. Propone crociere di quattro giorni su un battello, che ricorda in chiave moderna quelli che valicavano a fine Ottocento le acque del Mississippi. Le cabine sono ampie, la cucina ottima. Un battello che funge in pratica da albergo mobile. Le varie attività per visitare la giungla si svolgono poi con canoe di ogni formato, adattate agli affluenti del Napo, che più sono angusti e più sono affascinanti. Il percorso si snoda lungo i 257 chilometri di fiume che separano la cittadina di Coca dalla frontiera con il Perù. Si perlustra la foresta dall’acqua e da terra condotti da Avel, una giovane guida indigena che ha un rapporto straordinario con la giungla dove è nato e dove la sua famiglia vive tuttora. Riconosce e sa imitare i versi degli animali, aiuta a scoprire le particolarità dei vegetali. Con lui visitiamo anche alcune comunità (si veda l’appendice qui di seguito), che vivono lungo il fiume.
APPENDICE
Nella foresta una serenità perduta e rimpianta
«Mio fratello, che vive ancora con la sua famiglia nella Foresta amazzonica ed è quasi completamente autosufficiente con quanto quell’ambiente gli offre, è più sereno di me. Io devo pensare a pagare ogni mese l’affitto di casa, il leasing dell’automobile, la scuola di mio figlio ed i miei studi universitari. A lui bastano poche decine di dollari, che guadagna coltivando yuca e banane che vende al mercato. La foresta funge per lui da supermercato, da farmacia, da negozio di ferramenta, da tempio». A parlare così è Avel, la guida indigena che mi ha accompagnato a scoprire la Foresta amazzonica ecuadoregna. Si è occidentalizzato, mentre suo fratello continua a vivere nell’ambiente dove è nato anche Avel e che, in fondo, rimpiange, anche se si rende conto che ormai non appartiene più a quel mondo.
Quella di Avel è una storia di vita interessante. È scappato di casa all’età di 12 anni attratto dal mondo occidentale. Ha lavorato dapprima per una famiglia di piccoli imprenditori che avevano un allevamento di polli e una piccola azienda metalmeccanica. In cambio gli pagavano gli studi alla scuola secondaria. Un amico americano del suo padre adottivo, che gestiva una fondazione per aiutare gli indigeni, notò quel ragazzino intelligente e gli finanziò gli studi, permettendogli addirittura un soggiorno di un anno in un’università dell’Illinois, negli Stati Uniti, dove Avel ha imparato l’inglese e seguito corsi di biologia e di informatica. Tornato in patria ha seguito una formazione per diventare guida turistica. Oggi, accanto al lavoro, segue corsi di biologia all’università. Unisce così la cultura a un forte istinto per la natura, ma rimane sempre diviso tra la sua appartenenza a due mondi non facili da conciliare. Spera di poterlo fare in futuro occupandosi di politica.
Ci racconta della vita delle circa 150 comunità indigene che vivono lungo le rive del Rio Napo, un affluente ecuadoregno del Rio delle Amazzoni. Ciascuna di esse conta poche centinaia di persone, tra le quali è stato distribuito il terreno messo a disposizione dallo Stato. Anticamente a governare questi gruppi era la persona più anziana, mentre oggi si opta per chi ha una migliore preparazione. Nonostante la massiccia presenza di compagnie petrolifere, il lavoro scarseggia, per cui gli abitanti fanno tesoro di ciò che hanno appreso nel corso dei secoli e che permette loro di vivere soprattutto di quanto offre il territorio. Un territorio retto da un delicatissimo ecosistema, che mal si concilia con la massiccia presenza di giacimenti petroliferi, che hanno richiesto la costruzione di un oleodotto e di alcune strade. Ogni comunità dispone di una scuola, dove i bimbi seguono i primi 7 anni di corsi. Chi poi intende proseguire gli studi viene trasportato in barca nei centri dove si trovano gli istituti secondari. Da una decina di anni le comunità dispongono anche di un centro medico di pronto intervento, ma per le malattie più serie devono recarsi nella città più vicina.
Per saperne di più
- Ecuador e Galapagos, Lonely Planet, Torino 2018
- Ecuador e Galapagos, Polaris, Firenze 2013