Medio Oriente / Arabia Saudita

Il gioiello archeologico di Hegra, l’altra Petra

Un viaggio attraverso oasi e deserti caratterizzati da massi rocciosi emersi dalla sabbia e modellati sia dalla natura che dall’uomo. Territori attraversati nel corso dei secoli da sud a nord verso il Mediterraneo per trasportare merci e in senso contrario dai pellegrini musulmani per raggiungere Medina e Mecca.
Giò Rezzonico
28.03.2025 12:00

Itinerario

Marzo – Aprile 2025

  • 1° giorno          Milano – Jeddah
  • 2° giorno          I volti di Jeddah, dal mercato del pesce allo storico quartiere di Al Balad
  • 3° giorno          Volo per Tabuk e le dune di sabbia della Hisma Valley
  • 4° giorno          Verso l’oasi si Al Ula attraversando la Disha Valley
  • 5° e 6° giorno   L’antica Hegra, l’altra Petra, la necropoli di Dedan e i petroglifici di Ikmah
  • 7° giorno          Medina, la città santa del profeta e in treno veloce verso Jeddah
  • 8° giorno          Jeddah – Milano

 

 

Durata del viaggio: 10 giorni

Operatore turistico: Kel12

 

  

Un viaggio, organizzato da Kel12, in cui l’opera della natura concorre con quella dell’uomo per offrire stupendi paesaggi. Giornate trascorse a bordo di fuoristrada alla scoperta di deserti caratterizzati da massi rocciosi emersi dalla sabbia e modellati sia dalla pioggia e dal vento, sia dall’intervento artistico dell’uomo. In particolare a Hegra, sorella della Petra giordana, dove duemila anni fa monumentali tombe sono state scavate e scolpite nelle rocce di arenaria. Deserti e oasi solcati nei secoli scorsi da carovane di uomini e cammelli, che sfidavano le insidie di un ambiente ostico per trasportare incenso, mirra e spezie verso il Mediterraneo. Ma anche territori percorsi in senso inverso dai pellegrini musulmani per recarsi nelle città sacre islamiche di Medina e Mecca. Tutto questo facendo astrazione dall’attuale situazione politica del paese, dove regna ancora una monarchia assoluta degna di altri tempi.

 

Nel deserto tra i dromedari

Una delle maggiori attrazioni del paese sono i deserti, intercalati da oasi. Nella Hisma Valley, a nord-ovest di Tabuc verso il confine con la Giordania, immense distese di sabbia da cui emergono spettacolari rocce ricordano il deserto giordano del Wadi Rum. Dall’aeroporto di Tabuk un’escursione in fuori strada ci porta in un mondo misterioso e disabitato, salvo qualche raro insediamento di beduini allevatori di dromedari. Questi simpatici animali, di natura curiosa, si mimetizzano nel fantastico paesaggio forgiato dalla natura. Soprannominati navi del deserto, hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’Arabia antica. Hanno infatti permesso, attraversando minacciosi deserti, di sviluppare una complessa trama di rapporti economici e culturali tra aree molto distanti tra loro. «Si comprende quanto forte dovette essere il legame tra l’uomo e questo animale – scrive Romolo Loreto nel suo saggio «Alle origini degli arabi» – se si considera che a partire dal III secolo a.C. le cavalcature venivano sepolte assieme al loro proprietario». I dromedari erano infatti utilizzati sia per il trasporto di merci, sia in battaglia grazie alle loro incredibili capacità di adattamento all’ambiente del deserto: possono infatti marciare per giorni senza bere né mangiare fino a perdere il 30 per cento del loro peso. Ancora oggi questi animali sono molto apprezzati dalla popolazione locale e sono protagonisti di corse, gare di bellezza e persino competizioni sulla produzione di latte. Il nostro autista non finiva più di mostrarci filmati che ne magnificavano le virtù.

 

Neom, la città del futuro

Speriamo che le meraviglie del deserto non vengano sconvolte da Neom, la nuova città che sta per sorgere a ovest di Tabuk lungo la costa del Mar Rosso in un territorio delimitato dal mare e dalla catena montagnosa dell’Hejaz. Si tratta di una realizzazione che fa parte della Saudi Vision 2030, un progetto voluto dal principe ereditario Mohammed Bin Salman per rendere il paese meno dipendente dalle ricchezze prodotte dal petrolio, di cui l’Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori al mondo. «Neom – si legge nei documenti ufficiali – sarà una destinazione, una casa per le persone che sognano in grande e desiderano partecipare alla costruzione di un nuovo modello di vita, lavoro e prosperità sostenibili». Un paradiso per ricchi, senza automobili, né strade, né emissioni di carbonio grazie a un trasporto pubblico sostenibile. Una destinazione turistica raggiungibile in 4 ore di volo dal 40 per cento della popolazione mondiale. E per aggirare le rigide leggi del paese, che proibiscono la consumazione di alcoolici e impongono un rigoroso codice di abbigliamento, si sta pensando di dotare Neom di una legislazione indipendente rispetto al resto del regno. Il progetto Saudi Vision 2030 prevede pure la creazione di un centro industriale di prossima generazione, basato su tecnologie avanzate, e addirittura la creazione sulle montagne del nord di un villaggio sciistico in inverno e fresco durante l’estate.

Dopo questa immersione tra passato e futuro trascorriamo la notte a Tabuk e il mattino seguente di buonora ci inoltriamo di nuovo nel deserto, ma questa volta in direzione sud con destinazione l’oasi di Al Ula.

 

Tra Gran Canyon e Disha Valley

Lungo il tragitto incontriamo dapprima il Shaq Canyon, soprannominato il Gran Canyon dell’Arabia. Si tratta di una meraviglia geologica prodotta da una profonda spaccatura, profonda 250 metri (Al-Shaq significa in arabo fessura, strappo), causata, migliaia di anni fa, da movimenti tettonici. Nelle vicinanze sorgono alcune tombe abbandonate, risalenti all’età del bronzo (terzo millennio a.C.).

Proseguendo verso sud, a bordo dei nostri fuoristrada, attraversiamo uno degli scenari più sorprendenti di tutto il viaggio, quello della verdissima Disha Valley. Percorriamo molto lentamente e con qualche difficoltà il letto di un fiumiciattolo che scorre tra altissime pareti rocciose. Come non pensare ai disagi che dovettero superare nei secoli scorsi i carovanieri per attraversare questi territori trasportando verso il Mediterraneo incenso, mirra e spezie? «Le grandi carovane – scrive Cino Bocazzi in «La lunga pista» – si formavano prevalentemente in autunno. Migliaia di cammelli venivano caricati con merci stoccate nei magazzini dei porti sudarabici (dove venivano immagazzinate le spezie) o nei villaggi situati fra i boschi di incenso». Il tragitto si articolava in media attorno ai 2 mila chilometri e veniva completato in circa 2 mesi. «Percorrevano, pressappoco, una quarantina di chilometri al giorno – prosegue Bocazzi – ma i tempi potevano variare a seconda delle condizioni delle piste e di eventuali incidenti o attacchi di razziatori nomadi… Le carovane partivano a scaglioni, intervallate di qualche giorno, per permettere alle acque dei pozzi di ritornare a livello». Il carico medio per cammello era di 100 chilogrammi. Le tappe venivano stabilite da un’oasi all’altra, tenendo conto che i dromedari potevano resistere fino a due settimane senza bere, né mangiare.

All’inizio del XX secolo questi territori furono attraversati anche da una ferrovia, che li collegava a Damasco e a Costantinopoli, costruita dagli ottomani per migliorare le relazioni economiche e politiche con il mondo arabo. La via ferrata ebbe però vita breve, in quanto fu inaugurata nel 1908 e cessò di funzionare dopo il crollo dell’impero ottomano, in seguito alla sua disfatta nella prima guerra mondiale.

Oltrepassata la Disha Valley, saliamo lungo le montagne dell’Heyaz. Dalle vette il panorama spazia su un groviglio di impervie vallate simili a quella appena attraversata. Dopo aver scollinato, il paesaggio diventa anonimo per poi rianimarsi quando ci avviciniamo all’oasi di Al Ula, dove torna ad essere spettacolare con rocce di arenaria rossa dalle forme originali: alcune sembrano pizzi ricamati, altre, imponenti, ricordano figure animali o umane in una sorta di museo naturale all’aperto. In questo scenario lunare è stata costruita nel 2019, da uno studio di architettura italo-tedesco, un'avveniristica sala da concerti, interamente realizzata con specchi per mimetizzarsi con il paesaggio circostante, che si riflette sulle pareti dell’edificio.

 

L’oasi di Al Ula

L’importante oasi di Al Ula è un luogo emozionante per il connubio tra l’opera della natura e quella dell’uomo. È situata in posizione strategica nel deserto lungo le rotte commerciali che nei secoli scorsi garantivano i collegamenti con il Mediterraneo. Nel corso della storia questa oasi ha quindi rappresentato un punto di incontro tra genti di culture diverse e, dopo Maometto, è diventata una via di accesso per i pellegrini diretti alla Medina e alla Mecca. In virtù di questa sua posizione strategica offre interessanti testimonianze storiche di civiltà che l’hanno abitata sin dalla preistoria, come rivelano alcuni petroglifici scoperti nel deserto. Nella cosiddetta «biblioteca all’aperto» di Jabal Ikmah si possono invece ammirare le prime iscrizioni, risalenti al X e al IX secolo a.C., scolpite nella roccia in varie lingue, che confermano già in quell’epoca il passaggio delle carovane. Altre importanti testimonianze archeologiche risalgono invece al regno di Lihyan, nel periodo tra il VI e il II secolo a.C., che fondò la sua fortuna sulla capacità di gestire le fonti d’acqua presenti a poca profondità (circa 10 metri). A Dedan, capitale del regno, si possono ammirare tombe scavate in un’imponente parete rocciosa. La più famosa è quella denominata «dei leoni» per la raffigurazione di questi animali sulla porta d’ingresso. Sulla pianura sottostante si estendeva una zona destinata ad edifici religiosi e ai pozzi. Poco oltre, dove oggi sorge un folto palmeto, si trovava la città.

 

Hegra, l’altra Petra

Quando iniziò il declino del regno di Lihyan si imposero i Nabatei, che avevano la loro capitale a Petra nell’attuale Giordania. Nel deserto arabico, nell'oasi Al Ula, fondarono la loro città, Hegra, pochi chilometri a nord rispetto a Dedan.

«Per circa cinque secoli – scrive Romolo Loreto nell’opera già citata – dal IV secolo a.C. al 106 d.C. i Nabatei svolsero un ruolo determinante nel controllo delle rotte più settentrionali della via carovaniera», che portano a Gaza sul Mediterraneo. Come scrive lo storico romano Diodoro, i Nabatei erano una delle più ricche tribù arabe che trasportavano fino a Gaza incenso, mirra e spezie, grazie alla loro capacità di spostarsi nel deserto e di gestire le fonti d’acqua. Avevano infatti sviluppato «un’agricoltura irrigua intensiva – annota ancora Romolo Loreto – bastante per il sostentamento della popolazione locale e per il rifornimento delle carovane». A partire dal II secolo a.C. i Nabatei vennero in contatto con l’impero romano e raggiunsero la loro maggiore ricchezza ed estensione nel I secolo d.C., fino a quando Traiano non decise di creare la Provincia Arabia per controllare in proprio le rotte carovaniere.

Hegra è la più importante testimonianza della civiltà nabatea, dopo Petra in Giordania. A differenza della capitale qui non sono sepolti i membri della famiglia reale, ma altri personaggi di alto rango, di cui rimangono 131 tombe scavate nella roccia di arenaria. Questi monumentali sepolcri con portali scolpiti, ricchi di iscrizioni e raffigurazioni, risalgono a un limitato lasso di tempo: i primi 75 anni dopo Cristo. La tomba più famosa, che occupa un intero mastodontico masso di arenaria, è forse quella (Qasr Farid) dedicata a un valoroso condottiero, che morì in battaglia e non potè quindi mai concedersi la pace eterna nel sontuoso sepolcro. Un altro imponente masso di arenaria fu invece scavato per ricavarne un vasto luogo di riunione per incontri religiosi o politici.

Dopo aver soppiantato l’impero nabateo i romani controllarono la regione per tre secoli, fino al IV secolo d.C.

Proseguendo nell'oasi, pochi chilometri a nord di Hegra si trova la Città Vecchia di Al Ula, che fu abitata a partire dal XII secolo fino agli anni Ottanta del Novecento e oggi trasformata in un museo all'aperto. È costituita da un migliaio di edifici in argilla, dominati da un forte, da cui si gode uno splendido panorama sulla città e sull’intera regione. La maggior parte delle abitazioni sono ormai dei ruderi, ma alcune sono state restaurate affinché il visitatore possa rendersi conto di come vi si svolgeva la vita. Al centro storico si accede solo partecipando a visite guidate, in partenza da un viale turistico ricco di ristorantini e boutiques. Molto suggestiva è anche la visita del palmeto, poco distante, dove gli abitanti della Città Vecchia possedevano le loro «case di vacanza» costruite , all’ombra delle palme, in mattoni di fango.

 

Medina, città santa

Il mattino di buonora lasciamo l’oasi di Al Ula per riprendere la via del deserto e giungere a Medina in tempo per assistere alla preghiera del mezzogiorno nella Moschea del Profeta, che in particolare nel giorno festivo del venerdì accoglie oltre 1 milione di fedeli. Quarto centro più popolato del regno con oltre 2 milioni di abitanti, Medina, che significa la città del profeta, è il luogo sacro più importante dell’Islam dopo la Mecca. Nel 622 d.C. Maometto e i suoi seguaci, perseguitati dai loro concittadini alla Mecca, ripararono infatti a Egira (l’attuale Medina), dove furono accolti e dove il profeta visse fino alla morte. La sua tomba si trova tuttora nella Masjid al Nabawi (Moschea del Profeta), il cui nucleo iniziale fu edificato dallo stesso Maometto. Nel corso dei secoli la moschea fu più volte ingrandita. Oggi conta 27 cupole (sotto quella verde si trova la tomba del profeta), 10 minareti e può ospitare fino a 1 milione di fedeli. La religione islamica prevede che ogni musulmano, una volta nella vita, debba recarsi alla Mecca. Molti pellegrini estendono però il loro pellegrinaggio anche a Medina (che dista 2 ore di treno) per pregare sulla tomba del profeta e in altri luoghi sacri a lui cari. Questa città, caratterizzata soprattutto dal turismo religioso, è stata aperta da poco tempo ai non musulmani. Assistere alla preghiera del mezzogiorno è un’esperienza indimenticabile. Abituati alle nostre chiese, sempre più vuote, vedere oltre 1 milione di persone pregare assieme è stata un’esperienza toccante. C’era gente proveniente dai cinque continenti. Alla fine della preghiera il lento deflusso di quella folla permette di incontrare pellegrini dai tratti somatici più diversi, vestiti con gli abiti tradizionali dei loro paesi di provenienza.

 

In treno verso Jeddah

Due ore di treno ad alta velocità ci separano da Jeddah, ultima tappa del nostro viaggio in Arabia Saudita. Originariamente villaggio di pescatori, nel 647 d.C. venne trasformata in un porto per accogliere i pellegrini musulmani diretti alla Mecca, che dista meno di 100 chilometri nell’entroterra. Ancora oggi è crocevia per milioni di fedeli che giungono via mare o in aereo da ogni parte del mondo, diretti in pellegrinaggio alla città santa.

Con oltre 4 milioni di abitanti, Jeddah è la seconda metropoli del regno saudita e il secondo porto più importante del Medio Oriente. Città commerciale da millenni, frequentata da africani, asiatici ed europei, ha un’attitudine multiculturale e, in virtù di questa sua caratteristica, è considerata la più aperta di vedute del paese.

La Jeddah moderna si è sviluppata in lunghezza ai bordi del mare con le sue spiagge, le sue passeggiate lungo le animate Corniche e l’Art promenade, le interessanti moderne moschee, la fontana con lo zampillo più alto al mondo e, addirittura, una pista di Formula1. La maggiore attrattiva di Jeddah è però rappresentata dal suo quartiere antico di Al Balad, ormai non più abitato da anni, ma diventato un museo all’aperto. È costituito da oltre 400 edifici costruiti nei secoli scorsi in mattoni di corallo e decorati con i cosiddetti roshan: delle finestre in legno, simili a quelle tipiche dello Yemen, che garantiscono ombra e ventilazione nell’assoluto rispetto della privacy, in quanto dall’interno si vede l’esterno senza che avvenga il contrario. Alcuni edifici sono stati restaurati e adibiti a musei. Lungo le tortuose viuzze si affacciano ristorantini e boutiques, ma chi ama lo shopping può perdersi nei coloriti e profumati souq che animano la città storica.  

 

 

Per saperne di più

  • Arabia Saudita, Morellini, Milano 2024
  • Guida Arabia Saudita 2025, Wilbur Flynn
  • Guida di viaggio Arabia Saudita 2024, Ryan Hatch
  • Arabia Saudita, Usi, costumi e tradizioni, Morellini, Milano 2024
  • Alle origini degli arabi, Romolo Loreto, Firenze 2017
  • La lunga pista, Ciro Boccazzi, Roma 1993
  • Arabia Deserta, Charles M. Doughty
  • L’Arabia Saudita, uno stato islamico contro le donne e di diritti, Lisa Limatainen, Roma 2021
  • Figli del loro tempo, Emiliano Laurenzi, Roma 2023
In questo articolo: