Italia / Barolo

La terra del vino dei re e re dei vini

Un itinerario nelle Langhe tanto care a Cesare Pavese, tra armoniose colline su cui sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli, dove la vigna è protagonista del paesaggio. Già Plinio, diciassette secoli fa scriveva che le argille attorno ad Alba erano adatte alla vite. Secondo gli storici, per trovare le origini del vino Barolo bisogna però risalire al XIII secolo. A intuire l’enorme potenzialità viticola della regione fu agli inizi dell’Ottocento una nobildonna francese, pronipote di Re Sole.
Giò Rezzonico
01.04.2015 12:00

Itinerario

(aprile 2015)

L’itinerario indicato nella cartina e descritto nel testo che visita gli 11 comuni in cui viene prodotto il vino Barolo ha una lunghezza di un centinaio di chilometri e richiede con le visite circa due giorni. Si visitano nell’ordine: Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Serralunga (passando per Sinio), Monforte d’Alba, Novello, Cherasco, Verduno, Roddi, Castiglione Falletto, La Morra e Barolo.

  

  

Durata del viaggio: 2 giorni

Operatore turistico: Organizzato in proprio

  

   

 

 

Un itinerario nella terra del «vino dei re e del re dei vini»: il Barolo. Nelle Langhe a sud di Alba, il nostro percorso si snoda tra armoniose colline battute dal vento. Sul crinale sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Protagonista del paesaggio è la vigna «che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo» con i suoi filari ordinati come «quinte di una scena favolosa, in attesa di un evento» (Cesare Pavese, «Feria d’agosto»). La stagione migliore per visitare questa incantevole regione è l’autunno, quando i vigneti si tingono di un tripudio di colori, che vanno dal giallo al rosso. Ma è affascinante anche in primavera, quando le nebbioline del mattino si alzano lentamente e le colline appaiono come «se si togliesse loro il vestito da sotto in su» (Beppe Fenoglio, «I ventitrè giorni della città di Alba»), così come in estate, quando il sole avvolge la vigna portandola a maturazione.

   

Tra storia e mondanità

Già Plinio diciassette secoli fa scriveva che le argille attorno ad Alba erano adatte alla vite. Secondo gli storici, per trovare le origini del vino Barolo bisogna però risalire al XIII secolo, quando i membri della famiglia Falletti, acquistando un castello dal comune di Alba, divennero Marchesi di Barolo. A intuire l’enorme potenzialità viticola della regione fu agli inizi dell’Ottocento una nobildonna francese, Juliette Colbert di Maulévrier, pronipote del famoso ministro delle finanze di Re Sole, che sposò nel 1807 il Marchese di Barolo Carlo Tancredi Falletti. Juliette comprese che per rivelare tutte le qualità tipiche del suolo e del vitigno era necessaria una lunga fermentazione e un prolungato affinamento in botti di legno. 

La tradizione narra che re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) rimproverasse la marchesa «imperocché mai gli aveva fatto gustare quel famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare». Cosicché, secondo la leggenda, la marchesa caricò una lunga fila di carri trainati da buoi con 325 carrà, piccole botti, una per ogni giorno dell’anno, escluso il periodo della Quaresima. Ogni botte, di circa 500 litri ciascuna, conteneva vino proveniente dalle diverse tenute della proprietà. La soddisfazione di Carlo Alberto fu tale che decise di acquistare il castello di Verduno con gli annessi vigneti e affidò la vinificazione delle uve a un generale e famoso enologo, Paolo Francesco Staglieno, il quale introdusse nuovi metodi di vinificazione. Alcuni anni più tardi fu un altro sovrano, Vittorio Emanuele II, a dare lustro all’etichetta acquistando pure lui un’importante tenuta: quella di Fontanafredda a Serralunga d'Alba, nel cuore della regione, alla quale è legata la piccante storia di cronaca rosa che legò il re alla Bela Rosin. 

Un’altra famosa figura della storia d’Italia lega il suo nome al Barolo: Camillo Benso conte di Cavour, proprietario del Castello di Grinzane e dei contigui vigneti, che a metà Ottocento modernizzò la produzione e commercializzò il Barolo rendendolo famoso nelle corti di tutta Europa.

  

Tra le colline del Barolo

Il Barolo viene vinificato in undici comuni: Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga (dove si produce esclusivamente questo vino), Monforte d'Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d'Alba, Cherasco e Roddi. Per gli amanti del trekking esistono 250 chilometri di sentieri segnalati che attraversano tutta le regione collegando queste undici località. Anche l’itinerario in automobile oggetto di questo articolo tocca tutti i comuni, iniziando a percorrere il perimetro della zona per poi entrare nel cuore della regione e terminare al Museo del Vino di Barolo. 

La nostra prima tappa prevede la visita di un altro interessante museo, dedicato alla storia e allo sviluppo del «vino dei re», oltre che del tartufo. Il percorso inizia infatti dalla visita di Grinzane e del suo imponente castello, che fu abitato dal 1832 al 1849 dal grande statista Camillo Benso di Cavour, padre dell’unità d’Italia. L'ottima audio guida del museo racconta l’impegno del conte di Cavour per rinnovare la produzione del Barolo e per diffonderlo in tutto il continente. La maestosa costruzione, realizzata attorno alla torre centrale della prima metà dell’XI secolo, ospita ogni anno un prestigioso premio letterario e l’asta mondiale del tartufo, che si tiene a fine ottobre-inizio novembre e alla quale sono collegati via internet gourmet da tutto il mondo, frutta ogni anno centinaia di migliaia di euro.

Si prosegue in direzione di Sinio, dove il locale castello ospita un interessante albergo gestito da una cittadina italo americana. Si prosegue, lungo una strada romantica, verso Serralunga, un piccolo borgo ad anelli concentrici, che si arrampica a spirale sulla collina fino al suo imponente e slanciato maniero duecentesco, che dal terzo piano offre un panorama straordinario sui dolci declivi della Langa, punteggiata da paeselli. La tappa successiva è Monforte d'Alba, dove una ragnatela di viuzze culmina in un’antica torre campanaria. Novello è caratterizzato dal castello in stile neogotico, dalla parrocchiale barocca e dalla Bottega del Vino ospitata nella cripta di una chiesa sconsacrata. A Cherasco, capitale italiana delle lumache, il castello visconteo rievoca il passato di piazzaforte militare dei Savoia. La graziosa cittadina propone ampie strade porticate con nobili architetture, che vanno dal medioevo all’età barocca. Il nostro circuito perimetrale ad anello si conclude a Verduno e a Roddi, dove dai rispettivi manieri si aprono splendidi panorami su Langhe, Monferrato e Alpi.

A questo punto l’itinerario prosegue penetrando nel cuore della regione, dapprima a Castiglione Falletto, quindi all’antico borgo medioevale di La Morra, che si distende a ventaglio e offre panorami mozzafiato sul borgo di Barolo, ultima tappa del nostro percorso. Situato in una conca aperta, tra armoniose colline, le sue case sono addossate all’importante castello dei Falletti, Marchesi di Barolo, che diedero il nome al «vino dei re». Un interessante e innovativo museo, con ottima audio guida, si sofferma sul vino nella storia e nell’arte, in cucina e nel cinema, nella musica e nella letteratura, nei miti universali e nelle tradizioni locali. L'esposizione è anche un omaggio alla storia del castello e ai personaggi illustri che lo hanno abitato: la nobildonna francese Juliette Colbert che divenne marchesa di Barolo e fu la prima, come abbiamo visto, a intuire nella prima metà dell’Ottocento le grandi potenzialità di questo vino e il patriota Silvio Pellico, uno dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano, che qui fu bibliotecario dei Falletti e di cui sono conservate intatte la camera e lo studio. 

L’itinerario si conclude nel modo più appagante negli scantinati del castello, che tennero a battesimo questo vino leggendario e che oggi ospitano l’Enoteca Regionale del Barolo, rappresentativa degli undici borghi della regione, con una vastissima scelta di etichette e di annate memorabili.

 

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, «vino dei re»

Da oltre trent’anni frequento l’Enoteca Casa Bava a Cannobio sul Lago Maggiore e dal suo titolare Giuseppe Bava, scomparso nel dicembre 2020, ho imparato ad apprezzare il vino e a capire che i gusti cambiano ed evolvono. La grande passione dell’amico Giuseppe è sempre stata il Barolo, che io non ho mai saputo apprezzare più di tanto. Ogni volta che ci incontravamo per una degustazione mi diceva: «Vedrai che prima o poi arriverai a capire questo grande vino». Non vi dico la sua soddisfazione quando ho iniziato ad apprezzare il cosiddetto «vino dei re». «Certo – mi dice Giuseppe – ci hai messo molti anni per capirlo, ma il Barolo è un punto di arrivo, non di partenza. Comunque chi ama il vino prima o poi finisce per capirlo». «A un cliente giovane – afferma Francesco,  figlio di Giuseppe – non offrirei mai un Barolo. Inizierei con altri vini, più facili da apprezzare». Come, per esempio, i Chianti o i cosiddetti Supertuscan? «Sono vini che hanno un raggio di gradimento più vasto, mentre il Barolo è un po’ come il Bourgogne, difficile da vinificare e anche da gustare». Ma, chiedo ancora a Giuseppe Bava, non è che i Baroli moderni siano più facili da capire rispetto a quelli classici? «Quelli di oggi sono pronti per essere bevuti, mentre quelli classici, per essere goduti, andavano invecchiati. Sono comunque del parere che il vino vada acquistato per essere bevuto, non per essere conservato in cantina, per cui credo che nella vinificazione del Barolo siano stati compiuti grandi progressi nel corso degli ultimi trent’anni. Anch’io preferisco ai classici i moderni, che per altro sopportano benissimo anche l’invecchiamento».

Pure Paolo Basso, il già campione del mondo dei sommeliers, non ha dubbi in proposito: «Negli ultimi trent’anni – afferma – il Barolo ha fatto passi da gigante». Come mai? «Fino agli anni Ottanta erano in pochi a vinificarlo. Tutto è cambiato quando alcuni giovani enologi, preparati, diplomati, con grande talento, hanno creato le loro cantine di produzione e hanno saputo andare oltre al cosiddetto Barolo classico – dietro al quale talvolta si nascondevano anche palesi difetti – pur rimanendo fedeli alla tradizione. Più che di vini moderni – aggiunge Basso – parlerei pertanto di prodotti più professionali che migliorano invecchiando». Anche se lei consiglia di non conservare troppo a lungo i vini in cantina. «Diciamo che un Barolo entra nella sua pienezza dopo 10 anni. Comunque è come con le persone: si può essere simpatici da giovani, così come quando si raggiunge la maturità». Non manca chi rimpiange i vecchi metodi di produzione… «Sa, è un po’ come chi preferisce alle auto moderne quelle d’epoca, che sono scomode, pericolose e inquinanti, ma magari ricordano loro gli anni spensierati della giovinezza». Come considera il vino dei re a livello internazionale? «Come uno dei grandi al mondo, che oggi, grazie alla qualità e a un marketing intelligente, non può mancare sulla carta dei vini di un grande ristorante». E quanto all’abbinamento con il cibo? «Certamente si accorda con i gusti della tradizione piemontese – carni a lunga cottura e tartufi – o simili».

  

  

Per saperne di più

  • Piemonte, Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1976
  • Piemonte, Valle d’Aosta, Guide d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 2001
  • Turismo del vino in Italia, Guide Enogastronomia, Touring Club Italiano, Milano 2003
  • Italia, Guida Michelin alberghi e ristoranti, 2015
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