Polinesia / Tahiti

Capitale della Polinesia

«Ho creduto di essere arrivato nei giardini dell’Eden». Attorno a questa e ad altre descrizioni di viaggiatori e scrittori, alimentate dalle splendide opere di Paul Gauguin, è nato nel corso di tre secoli il mito turistico di questa terra. A Papeete, capoluogo della Polinesia Francese, i legami con Parigi sono ancora molto stretti. Il giro dell’isola in automobile.
Giò Rezzonico
01.10.2017 12:00

Itinerario

(ottobre/novembre 2017)

  • 1° giorno Milano – Papeete (via Parigi e con scalo a Los Angeles)
  • 2° giorno Papeete
  • 3° giorno Imbarco sul catamarano Polynesia Dream
  • 4° giorno Navigazione fino alla Baia di Opunohu. Attività marine nella zona di Tiki
  • 5° giorno Arrivo nella parte sud dell’Isola di Raiatea. La navigazione prosegue poi verso la Baia di Faaroa
  • 6° giorno Navigazione verso Uturoa, il villaggio principale di Raiatea. Si raggiunge poi la laguna di Motu Tautau, nell’Isola di Taha'a
  • 7° giorno Bora Bora
  • 8° giorno Bora Bora
  • 9° giorno Ritorno all’Isola di Raiatea
  • 10° giorno Uturoa e navigazione verso il Motu Céran
  • 11° giorno Partenza per l’Isola di Huahine e arrivo nella Baia di Bourayne
  • 12° giorno Navigazione fino al villaggio di Faré e ritorno all’Isola di Raiatea
  • 13° giorno Sbarco e trasferimento in aeroporto. Volo Papeete – Milano (via Los Angeles e Parigi)
  • 14° giorno Arrivo a Milano

  

Durata del viaggio: 14 giorni

Operatore turistico: Kel12

  

  

 

 

«Ho creduto di essere arrivato nei giardini dell’Eden». Così Louis-Antoine de Bougainville, grande esploratore francese, descrisse nel 1768 Tahiti nel suo «Voyage autour du monde». Da allora le isole della Polinesia sono diventate leggenda, dipinte come un paradiso da artisti e scrittori legati spesso a cliché rimasti pressoché immutati nel corso del tempo. 

«La notte dell’8 giugno (1891 ndr), dopo 63 giorni di varia navigazione, giorni per me di ansiosa attesa, di inquiete fantasie sulla terra desiderata, scorgiamo lungo il mare una linea serpeggiante di curiosi fuochi. Contro un cielo tetro si stacca, frastagliato, un cono nero. Giriamo attorno a Morea per scoprire Tahiti». Sono queste le righe iniziali di «Noa Noa», lo scritto in cui l’artista Paul Gauguin racconta il suo primo soggiorno in Polinesia. I capolavori del grande pittore francese hanno certamente alimentato il mito di questa terra meravigliosa, anche se quando lui vi soggiornò era già molto cambiata – e in peggio –rispetto ai tempi di de Bougainville.

 

La delusione di Gauguin

Sandro Prato Previde descrive in modo efficace questo cambiamento nel suo libro «Polinesia», edito dall’Istituto Geografico De Agostini. «La generosità del suolo, gli splendidi paesaggi ricchi di una luce nuova e arcana, il clima mite, l’ingenuità e l’assoluta mancanza di inibizioni degli indigeni, la vita pacifica e oziosa che essi conducevano avevano presentato al vecchio mondo (di fine Settecento, ndr) l’immagine vivente di antichi miti, sogni e illusioni perenni». Il leggendario ammutinamento del Bounty nel 1789, inscenato dall’equipaggio per far ritorno nella terra incantata, contribuì ulteriormente «a far balenare nel cuore dell’uomo di fine Settecento, già scosso dai nuovi ideali della Rivoluzione francese, una soluzione alternativa, un modo per rendersi libero e felice col ritorno alle origini, alla vita secondo natura». Immagini che alimentavano il mito del «buon selvaggio» espresso da Diderot.  Ma i duri navigatori europei del 18.mo e 19.mo secolo con la loro facile infatuazione, dovuta più a spinte materiali che a esigenze spirituali, «non sapevano di stringere Tahiti e le altre isole di quel «mare delle meraviglie» in un abbraccio soffocante, mortale. Ciò che essi vi portarono, in cambio di tante sensazioni eccitanti e rigeneranti, furono infatti le malattie micidiali e immonde, la lenta subdola rovina dell’alcoolismo, il denaro che corrompe sostituendosi alla logica del baratto e spesso anche, triste a dirsi, i missionari con un astruso concetto del peccato». È di questa Tahiti che Gauguin dipingerà «l’irrimediabile decadenza e la rassegnata disperazione».

 

Un paradiso per chi ama il mare

Questa lunga premessa è necessaria per non banalizzare la proposta turistica della Polinesia Francese, dove, come già testimoniava Gauguin, rimane poco del passato narrato dai suoi scopritori. Resta ciò nonostante un paese meraviglioso con il mare forse più bello al mondo per i colori e la nitidezza delle sue acque. Il verde delle isole contrasta con le tinte dei fondali che propongono tutte le gradazioni dal blu al turchese. I paesaggi con le palme che si sporgono su un mare popolato da pesci di ogni genere sono davvero da cartolina. Gli abitanti avranno anche perso quella spontaneità descritta dai primi visitatori, ma sono gentili, dolci e ospitali e fanno sentire il turista a proprio agio. Anche se la meta è davvero tanto lontana (dista oltre 20 ore di aereo dalla Svizzera) vale il viaggio per chi ama il mare, la natura e la navigazione. Sì, navigare. Perché il modo migliore per godersi le meraviglie di queste isole è certamente quello di visitarle in nave o in barca. Chi scrive l’ha fatto a bordo di un catamarano con 6 cabine, spostandosi a vela da un’isola all’altra (si veda anche itinerario «Navigando a vela tra le isole»).

Iniziamo quindi il nostro racconto dall’isola di Tahiti, la capitale della Polinesia Francese, dove visse Paul Gauguin a due riprese (dal 1891 al 1893 e dal 1895 al 1901) prima di ritirarsi alle Isole Marchesi, ultima tappa della sua vita.

 

Papeete, il capoluogo

La nostra visita inizia da Papeete, capoluogo dell’isola. Si tratta di una cittadina di medie dimensioni, di scarso interesse turistico. Negli ultimi decenni il centro storico coloniale è andato quasi completamente distrutto. Vale comunque la pena di intrattenersi una mezza giornata in città per visitare l’animato mercato coperto e per passeggiare sul lungomare. Anche una breve incursione nel quartiere amministrativo può essere interessante per intuire i rapporti di queste isole tanto lontane con la Francia di cui la Polinesia fa parte pur avendo garantita un’elevata autonomia. Dove un tempo sorgeva il Palazzo della Regina Pomare, oggi hanno sede gli edifici governativi, la cui buona fattura architettonica denota un interesse di Parigi per queste terre recondite. Nel quartiere diversi cartelli esplicativi raccontano, con un forte accento di orgoglio isolano, la storia della Polinesia e l’evoluzione dei suoi rapporti con la madrepatria.

 

Quella colonia di isole che profuma di Francia

La Polinesia Francese è lontana da tutto, salvo che dalle altre isole del Pacifico, ma guardando i telegiornali locali si vedono spesso le immagini di Parigi accompagnate da notizie sulla politica dell’Eliseo. La cultura della madrepatria ha infatti ancora un grande influsso su Tahiti, capitale dell’arcipelago. Visitando le Isole della Società (le più note della Polinesia Francese) ho spesso avuto l’impressione di trovarmi in Francia. Questa forte impronta europea risale certamente ai tempi del colonialismo ed è frutto di un’odiosa imposizione, ma la lingua di Voltaire continua a essere parlata da tutti. Nel corso degli ultimi decenni comunque, dopo essere stato a lungo proibito, il tahitiano è stato rivalutato e ora viene insegnato nelle scuole ed è oggetto anche di studi universitari. Così come sono state rivalorizzate altre tradizioni legate alla cultura precoloniale, come i tatuaggi e la danza: e non solo in chiave turistica.

Le 118 isole da cui è costituito l’arcipelago sono distribuite su un’area marina con un’estensione quasi equivalente a quella dell’Europa occidentale, ma sommando le loro superfici si supera di poco quella della Svizzera italiana. La Polinesia Francese fa tuttora parte della Francia, anche se politicamente è quasi del tutto indipendente, ma la popolazione – come ci ha raccontato un giornalista del posto – è molto sfiduciata nei confronti dei politici locali. 

La conquista da parte della Francia di queste terre meravigliose e tanto distanti risale al 1846. Tutto ebbe inizio da una guerra tra missionari. Il clero inglese costituiva di fatto una potenza coloniale nelle Isole della Società, nelle Isole Australi e nelle Tuamotu, mentre i missionari francesi controllavano le Isole Gambier e le Marchesi. Si arrivò allo scontro armato quando nel 1836 due religiosi francesi provenienti dalle Gambier sbarcarono a Tahiti e vennero arrestati dagli inglesi. L’esercito francese uscì vincitore dal confronto e la regina Pomare IV fu costretta a sottomettersi al governo di Parigi.

L’influsso della chiesa sulla vita locale è molto presente ancora oggi. Visitando queste terre si nota infatti la presenza di molte chiese, appartenenti a diverse congregazioni protestanti e cattoliche, i cui fedeli vivono però in armonia tra loro.  

 

La Tahiti di Gauguin

Gauguin, deluso da Papeete, fuggì da questa città così com’era scappato dall’Europa. Trovò l’ispirazione per i suoi celebri quadri nelle campagne, dove cercò e incontrò il vero volto di questa isola nei suoi uomini e soprattutto nelle sue donne. Con Titi, la sua prima compagna tahitiana, noleggiò un carro e viaggiò lungo la costa sud cercando per se e per la sua «Vahine» (donna) una capanna in un mondo incontaminato. Purtroppo per il turista odierno è difficile ripercorrere le tracce del grande pittore sull’isola, anche perché il museo a lui dedicato è chiuso da anni. 

Oggi, a distanza di oltre un secolo, la costa su cui si stabilì Gauguin è la più abitata e costruita. Tahiti è un’isola a forma di un otto in posizione obliqua. La parte alta, più grande, è denominata Tahiti-Nui, mentre quella bassa, più piccola e meno turistica, Tahiti-Iti. Sono collegate tra loro da uno stretto istmo su cui si trova la cittadina di Taravao. 

 

Il giro dell’isola

Il giro di Tahiti lo si può effettuare comodamente in una giornata. Gli amanti della natura potranno visitare spiagge nonché grotte e cascate immerse in una vegetazione lussureggiante, un paradiso tropicale dove cresce ogni ben di Dio: palme da cocco e da banane, canna da zucchero, cotone, caffè, verdure, ananas, agrumi e frutti di ogni sorta come papaia, mango, avocado fra strelitzie, ibischi e fiori di ogni genere. La flora si può ammirare in modo particolare lungo la costa sud nei giardini della sorgente di Vaipahi e nel «Jardin Botanique Harrison Smith» creato all’inizio del XX secolo da uno studioso americano. Sempre sulla costa occidentale si può visitare il «Musée de Tahiti et des Îles», che dedica una sezione alla geografia, una alla storia naturale e una alla cultura precoloniale e coloniale. 

Della storia delle isole prima dell’arrivo degli europei si conosce poco, anche perché le popolazioni indigene non possedevano una lingua scritta. Gli studiosi presumono che i primi abitanti provenissero dalle regioni sud orientali dell’Asia. Si trattava di popolazioni agricole che per ragioni non conosciute abbandonarono la propria terra e secolari abitudini per trasformarsi in gente di mare, dando inizio a quelle migrazioni oceaniche che nel corso di 2500 anni popolarono gli arcipelaghi del Pacifico centrale. Risalenti al periodo precoloniale, a Tahiti così come nelle altre isole, rimangono interessanti testimonianze archeologiche. Si possono infatti visitare lungo la costa meridionale diversi «marae», cioè luoghi di culto che secondo gli studiosi riproducevano il cosmo e dove l’uomo incontrava gli dei e cercava di ingraziarseli con cerimonie di vario genere, inclusi sacrifici umani.

 

Il paradiso del surf

Lasciamo la costa sud di Tahiti-Nui per seguire la strada litoranea meridionale della più piccola e selvaggia Tahiti-Iti, che termina al villaggio di Teahupo'o, famoso tra gli appassionati di surf per la sua onda gigantesca, dove ogni anno si svolge il «Billabong Pro Tahiti», una specie di campionato del mondo di questo sport. Ritorniamo sui nostri passi per percorrere questa volta alcuni chilometri sulla costa nord di Tahiti-Iti. Una strada in salita di 7 chilometri attraversa un'idilliaca valle verdeggiante, dal paesaggio alpino con le mucche al pascolo, per giungere a un belvedere da cui si gode un fantastico panorama sull’istmo di Taravao e su Tahiti-Nui. Il rientro a Papeete avviene lungo la litoranea nord di Tahiti-Nui, molto più selvaggia e meno abitata di quella sud. La strada offre splendide vedute sulla costa rocciosa, dove intraprendenti surfisti cercano di cavalcare le onde. A Pointe Vénus, pochi chilometri prima di Papeete, il capitano Cook aveva installato a fine Settecento il suo osservatorio per calcolare la distanza tra il sole e la terra. 

 

 

Per saperne di più

  • Brash Celeste, Tahiti e la Polinesia francese, Lonely Planet, Torino 2017
  • Vignati Antonella, Polinesia, Edizioni del Riccio, Firenze 1992
  • AAVV, Polinesia, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981
  • Stingl Miloslav, L’ultimo paradiso, Mursia Editore, Milano 1986
  • Quilici Folco, Polinesia. Isole e atolli del mito, Mondadori, Milano 1995
  • Pigliasco Guido Carlo, Paradisi inquieti: viaggio in Polinesia, EDT, Torino 2000
  • Gerbault Alain, Polinesia, un paradiso che muore, Edizioni Mare verticale, Grancona 2014
  • Stevenson Robert Louis, Nei mari del sud, Tarka, Mulazzo 2015

 

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