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Lugano-Roma, solo andata: ma Jannik Sinner, quindi, è italiano o no?

E non solo: la solidarietà verso Sigfrido Ranucci è già finita? Marcello Pelizzari e Carlo Tecce si confrontano sui temi più caldi della settimana a cavallo del confine
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Partiamo da dove ci eravamo lasciati la scorsa settimana, cioè da Sigfrido Ranucci. Mi sembra di capire che, al di là delle belle parole e degli attestati di stima e solidarietà, siamo di nuovo alle solite…
«Sì, il Garante per la privacy ha multato Report, cioè la Rai, che è l'editore, per 150 mila euro. Il motivo? Report ha diffuso un audio, una telefonata tra l'ex ministro Sangiuliano e la moglie, che è una giornalista tra l'altro della Rai, come lo è Sangiuliano. Ecco, per questo motivo Report è stata multata. Sigfrido Ranucci ha parlato chiaramente di un contesto politico che, in qualche modo, ha spinto questa decisione. Forza Italia e Fratelli d'Italia, non a caso, hanno ricominciato a martellare sul programma. C'è stata una settimana di pace. È già finita. E ricordiamoci che l'inchiesta sulla bomba messa accanto alle auto della famiglia Ranucci di fronte al cancello di casa, a pochissimi metri all'ingresso, è ancora ai primi vagiti. Non si sa nulla, quindi. Serve ancora tanta solidarietà e serve tanta protezione umana e sincera nei confronti di un grande giornalista. Libero e coraggioso».

A proposito di giornalisti: cambiamo totalmente campo e parliamo di tennis, perché Bruno Vespa si è inserito nella polemica del momento a tema, manco a dirlo, Jannik Sinner, reo di aver rifiutato la convocazione in Davis. Vespa ha detto: «Perché un italiano dovrebbe tifare un tedesco che dice no alla Nazionale?». Che dice il Paese reale, invece?
«La polemica è facile, a Roma come a Milano o a Lugano».

Sì, in effetti anche Roger Federer, in Svizzera, a suo tempo è stato più volte criticato per aver rifiutato la Davis…
«Esatto. Quindi bisogna distinguere, evitare di creare subito clamore, che appunto è facile. L’unico giornalista noto che si è schierato per Sinner è stato il direttore del TG di La 7, Enrico Mentana. Comunque, la questione è una soltanto quest'anno. La Federazione, ma direi tutto il movimento tennistico italiano, aveva davvero bisogno di Sinner. E ne aveva bisogno perché quest'anno la Davis, quella che viene chiamata impropriamente Coppa Davis, si giocherà in Italia, a Bologna. C'era bisogno di una spinta, di un po’ di energia anche: per l'evento, per i soldi investiti, per le attese degli inserzionisti e per la vendita dei biglietti. Per tutto. Sinner, a una chiamata del suo Paese, della sua Federazione, ha risposto non posso. Lo ha fatto il giorno dopo aver partecipato a un torneo farsa in Arabia Saudita, strapagato oltre 5 milioni di euro, un torneo che le petro-monarchie organizzano per trascorrere un fine settimana diverso. Ecco, le due circostanze, i due eventi, uno di fronte all'altro, hanno fatto fare una pessima figura a Sinner in quanto italiano, perché Sinner è italiano, e in quanto campione, perché Sinner è un campione. A me dispiace che Sinner abbia toppato ancora una volta».

Un conto è toppare, un altro è riaccendere la solita, sterile polemica: Sinner non è un vero italiano, vive a Montecarlo, parla tedesco…
«Certo, guai se scadessimo in queste polemiche. Jannik avrebbe fatto lo stesso con l’Austria se fosse stato austriaco e avrebbe fatto lo stesso con la Spagna se fosse stato spagnolo. È la sua mentalità. Pensa molto al successo, è ordinato, disciplinato, fisso sull’obiettivo. E il suo obiettivo è vincere, vincere tantissimo e, in questo momento, tornare il numero uno del mondo. Non solo, vuole fare anche tanti, tanti soldi: vogliamo biasimarlo? Detto questo, servirebbe un po’ di generosità. Ha detto di no al Festival di Sanremo e ha detto di no pure al presidente della Repubblica Mattarella. E Mattarella, l’anno scorso, agli Internazionali d’Italia è andato a vedere Paolini e non Sinner. Un segnale preciso, questo, di cui ha riferito anche Cazzullo sul Corriere della Sera. Potrebbe ripensarci? Non credo, ma lo spero. C’è sempre tempo. E noi ce lo auguriamo. Da Roma a Lugano e fino a Zurigo».

Chiudiamo, come sempre, con il calcio. Per rilassarci un po’. Ma nemmeno troppo, visto quanto sta accadendo a Castellammare di Stabia. Vuoi parlarcene?
«La Juve Stabia è sotto amministrazione giudiziaria, perché attorno alla società si è costituito un gruppo camorristico. E attenzione, non stiamo parlando di una squadra qualsiasi, ma di una formazione di Serie B molto competitiva, che l'anno scorso ha partecipato ai playoff per la Serie A. La delinquenza organizzata, insomma, è arrivata a un livello ancora più alto. In passato, queste cose accadevano in Serie D, al massimo in C, mentre ora siamo arrivati ai limiti della Serie A. C'è un'altra cosa da dire, anzi da ricordare, e cioè che la Juve Stabia, una società all'apparenza sana ed efficiente, diciamo pure virtuosa, era rinata due o tre anni fa quando le era stato accordato uno stralcio dei debiti. La società, all’epoca, aveva una quindicina di milioni di euro di debiti. Una parte di questo debito era stata pagata e il club era ripartito, teoricamente, in maniera pulita. Lo Stato, di conseguenza, è stato fregato due volte: la prima anni fa, quando la società, con un costo per le casse pubbliche, penso ai creditori di quella Juve Stabia, si era ripulita grazie al sostegno dello Stato; la seconda adesso, con la Juve Stabia diventata un posto, come dire, non proprio raccomandabile per il calcio, non solo per il calcio».

Il riferimento, immediato, è la Colombia dei narcotrafficanti che, quasi per divertissement, gestiva diversi club della massima divisione del Paese, che arrivarono anche a ottenere risultati di rilievo a livello internazionale. È questo lo scenario che dobbiamo immaginarci per Castellammare di Stabia?
«Più che immaginare qualcosa, dobbiamo sperare che il sistema calcio, sostenuto chiaramente dal sistema Paese, sia molto più attento ai capitali e ai dirigenti che arrivano. E non parliamo soltanto di criminalità, parliamo spesso di evasione, di riciclaggio, di malaffare che trova nel calcio uno sfogo. Fino a pochi mesi fa parlavamo dei crediti fiscali che trovano nel pallone una facile porta di accesso».