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Lugano-Roma, solo andata: ma chi è, davvero, Sigfrido Ranucci?

E non solo: che fine ha fatto la tassa sulla salute per i frontalieri? Marcello Pelizzari e Carlo Tecce si confrontano sui temi più caldi della settimana a cavallo del confine
©Cecilia Fabiano

Partiamo dalla coda, ovvero dall’attentato – perché di questo si è trattato – a Sigfrido Ranucci, volto noto e giornalista della Rai. Che lettura dai a quanto accaduto?
«C'è una parte da scrivere nei prossimi giorni, con le indagini. Per adesso sappiamo che si è trattato di una bomba di circa un chilogrammo di esplosivo, inserita in una confezione tra due auto della famiglia Ranucci parcheggiate all'esterno dell'abitazione, ma accanto all'ingresso. Una bomba che è scoppiata con una miccia, quindi non con un telecomando: è stata posta lì pochi attimi prima del botto e con il rischio, appunto non controllato, di far male, forse uccidere. Non si sanno le intenzioni di chi ha lasciato quel pacco e né tantomeno si sa, penso si saprà a breve, a chi è stato ordinato di lasciare quel pacco. Ma questa notizia, questa notizia molto triste, inquietante, ha creato angoscia in tutti noi, noi giornalisti, noi militanti della libertà in assoluto, della libertà di informazione in particolare. È una notizia che va descritta e raccontata anche raccontando e descrivendo Sigfrido Ranucci».

Ecco, chi è Sigfrido Ranucci?
«Ranucci è un giornalista che ha fatto della libertà e dell’imprevedibilità il suo mestiere. Non è quel giornalista che attacca il governo, attacca la destra come la sinistra. Imprevedibile, appunto, perché la libertà è assoluta e chiaramente uno come lui dà fastidio, anzi dà molto fastidio al potere. Ranucci non è una persona che si dà delle arie, che cerca di fare il personaggio. Tanto è vero che, in questi mesi, ha ricevuto tante altre pressioni, minacce e intimidazioni. Ma non ne ha mai parlato, proprio per evitare che qualcuno potesse pensare che lui stesse speculando sulla sua popolarità. Di fronte a questo fatto ci si ritrova chiaramente sommersi, penso alla redazione di Report e a tutto il gruppo che vi lavora, da tantissima solidarietà. Ma in questi mesi, e questo è un dato di fatto, Report ha vissuto molto spesso nell'isolamento, nel quasi nel boicottaggio sistemico. E per sistema intendo tutte quelle componenti che fanno di uno Stato una democrazia. La solidarietà oggi è facile, è gratuita, fa anche bene. Ma Report, una se non la principale trasmissione di inchiesta e giornalismo in Italia, merita molto di più. E spero che questa brutta giornata per Sigfrido e la sua famiglia sia, infine, utile. A Report e all'informazione italiana, per prendere maggiore consapevolezza. E spero anche che, la prossima volta che un giornalista di Report chiederà un'intervista a un politico, un potente, ci sia maggiore disponibilità. Che valga ancora quella solidarietà. E quell'afflato verso la libera informazione capace di andare oltre comunicati di poche righe».

Ecco, noi chiaramente ci accodiamo, tutti, a quello che ha detto ad esempio Giorgia Meloni, ovvero che la libertà di stampa è un pilastro della democrazia e va assolutamente difeso. Però, ti chiedo, quanta distanza e quanta discrepanza ci sono tra quello che ha scritto Giorgia Meloni e quella che poi è la realtà dei fatti? Perché, diciamo, quell'area politica in particolare ha spesso visto il giornalismo come un nemico pubblico? O no?
«Sono un po' vago nella risposta, potrei dirti non lo so. Non noto grosse differenze a sinistra. L'informazione di un certo tipo dà fastidio, comunque dà fastidio. A destra ma in generale a tutti i governi in carica. Poi c'è modo e modo di gestire questo fastidio, di ostentarlo. Io credo piuttosto che ci siano stati dei segnali. Sì, ci sono stati dei segnali in questi mesi che hanno isolato Ranucci. E l'isolamento è pericoloso, perché giustifica degli atti. Arma le mani. Una trasmissione del servizio pubblico come Report ha bisogno di protezione. Per fortuna c'è una protezione, una catena umana che, in sostanza, è quella del pubblico che segue tantissimo sia la trasmissione sia il suo conduttore. Il quale ha ereditato con grande valore e grande dignità quello che ha fondato Milena Gabanelli».

I frontalieri, chiaramente, vivono sempre una condizione sospesa, sia dal punto di vista professionale sia della mobilità. Purtroppo per loro, in Italia, in questo periodo ormai si va avanti a tempo di finanza creativa

Cambio tema e ti riporto a Lugano, anzi in Ticino, anche se poi a ben vedere rimaniamo a Roma. I frontalieri, qui, si chiedono quando entrerà in vigore la famigerata tassa sulla salute, rimasta prigioniera mi verrebbe da dire della burocrazia italiana…
«I frontalieri, chiaramente, vivono sempre una condizione sospesa, sia dal punto di vista professionale sia della mobilità. Purtroppo per loro, in Italia, in questo periodo ormai si va avanti a tempo di finanza creativa. Cioè si cercano fondi, risorse, in qualsiasi modo. In questo caso, la tassa sulla salute per i frontalieri dovrebbe servire in gran parte a finanziare la sanità della Lombardia. Quindi, a compensare un buco, una mancanza di risorse. Un esempio simile, di questi giorni, andrà a colpire tutti coloro che passeranno delle notti in albergo, in strutture ricettive, nelle aree delle Olimpiadi di Milano-Cortina. È stata infatti aumentata la tassa di soggiorno, da due a cinque euro, così si raccolgono soldi, da un lato, per trovare risorse aggiuntive per le Olimpiadi e, dall’altro, per finanziare il Fondo per le disabilità. Semplicemente, lo Stato, l'Italia, in questo momento – ma anche in altri momenti – ha bisogno di più soldi. E questi soldi si cercano in tanti modi, anche attraverso i frontalieri».

Ma è l’arte di arrangiarsi, quindi?
«Eh sì, è anche l'arte di arrangiarsi. In un modo, però, fastidioso, perché mentre si recuperano soldi facendo passare queste trovate come un grande successo, dall’altra c’è il taglio delle tasse Irpef sulla persona fisica per portare beneficio ai redditi medio-bassi. Parliamo di poche decine di euro all'anno. Quindi, da una parte si dà ma dall’altra si toglie. Intendiamoci, non è facile. E nessuno vorrebbe essere al posto di Giorgetti, che ha una sua idea, un suo equilibrio, e che ha dato una grossa mano all’Italia anche a migliorare le sue prestazioni finanziarie. È una stagione, ne abbiamo già parlato tante volte, che richiede grossi investimenti sulle armi. Un settore in cui quasi non si bada a spese. Giorgetti però ci bada alle spese. E così, purtroppo, alla fine c'è questa guerra non tra poveri ma tra deboli. Dieci euro di più, dieci euro di meno, dieci euro di qua, dieci euro di là. Misure, queste, che danno fastidio, creano incertezza, malumore. E noi possiamo solo raccontarlo, questo malumore, dal momento che vedo un'opposizione distratta. Le battaglie, ora come ora, sono su grandi temi geopolitici. Va bene, ma qui gli elettori hanno bisogno di avere una proposta alternativa. Finché non c'è la proposta politica alternativa, beh, possiamo lamentarci di questo governo ma non possiamo neanche intravederne uno diverso».

Tu hai parlato di malcontento, io adesso ti provoco perché il malcontento lo proviamo anche noi che, come ti dicevo nella prima puntata, siamo anche se non soprattutto tifosi di squadre italiane. Torna il campionato di Serie A ma senza molti suoi giocatori, visto che la sosta per le nazionali ha spezzato il ritmo della stagione e ha spezzato pure campioni come Pulisic e Rabiot fra gli altri… Così com’è strutturato, il calendario è folle.
«Sì, è folle. È folle che ci siano tre soste per le qualificazioni mondiali. Settembre, ottobre, poi ancora novembre. Con alcuni calciatori costretti a giri intorno al mondo, pensiamo a quelli che giocano in Sudamerica. Chiaramente, questo comporta un danno per le squadre di club. Pensa a Lautaro, che va in Argentina ogni quattro settimane. Non aiuta né lo spettacolo dei campionati, né lo spettacolo delle nazionali. Anzi, finisce che le nazionali sono appunto un fastidio. Pensate l’Italia, che a novembre avrà due partite fondamentalmente inutili… Sarebbe stato più semplice e razionale organizzare, in testa e in coda a una stagione, una parentesi per le nazionali. Il tutto sarebbe stato più omogeneo. Ma l'obiettivo di chi organizza il calcio non è questo. I calciatori, che sono strapagati, spesso mal consigliati, non hanno un sindacato che vada a trattare l'orario lavorativo. Vanno in giro, giocano e se non giocano, pazienza: guadagnano lo stesso. Alla fine, tuttavia, ne perde la natura stessa del gioco. Ormai ci sono partite tutti i giorni, si è perso anche il gusto di guardarle, anche perché la qualità spesso è misera. Pensiamo all'ultimo Juve-Milan. È stato uno spettacolo indecoroso. Mi diverto molto di più con l'Avellino in Serie B».

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