Vendita

Adeguato il minimo salariale, ma le critiche restano

Le parti sociali hanno ridiscusso i contenuti del CCL del commercio al dettaglio – Soddisfatto il padronato, più critica la parte sindacale – Renato Ricciardi (OCST): «Lo sforzo fatto non è sufficiente»
© CdT/ Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
13.01.2024 06:00

Il suo rinnovo era atteso, non solo perché il contratto collettivo di lavoro (CCL) della vendita è stato politicamente un terreno minato, ma anche perché la sua approvazione, tre anni fa, ha reso possibile l’introduzione della nuova legge sull’apertura dei negozi, poi modificata in votazione popolare lo scorso giugno.

Ebbene, dopo settimane di discussioni, la firma sul nuovo accordo è stata raggiunta. Al tavolo delle trattative per la parte padronale sedevano Federcommercio e DISTI; per quella sindacale, OCST, SIT e SIC.

Nodo centrale del nuovo CCL, che avrà validità fino al 31 dicembre 2026, ancora una volta è stato il salario minimo, oggetto, tre anni fa, di duri scontri sul fronte sindacale. In particolare, UNIA decise di tirarsi fuori dalla comunità contrattuale, ritenuto che il minimo salariale di 19 franchi all’ora per un venditore senza qualifica, ossia di 3.200 franchi al mese lordi, non fosse dignitoso.

I datori di lavoro

Oggi, invece, dove sono arrivate le trattative? «Il processo di rinnovo del CCL ha visto un impegno significativo da entrambe le parti per garantire salari migliori, con particolare attenzione alle categorie di collaboratrici e collaboratori con livelli di formazione più elevati», si legge in una nota stampa congiunta inviata ieri.

Dal canto suo la parte padronale ha sottolineato il contributo positivo apportato dall’introduzione del CCL il 1. gennaio 2020. «Il contratto ha sin qui dimostrato la sua importanza, contribuendo a migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti. La conferma che il settore è sano la si è avuta in occasione di molti controlli effettuati dagli ispettori, che non hanno riscontrato alcuna infrazione rilevante», ribadiscono Federcommercio e DISTI.

Un leggero rialzo

Concretamente, il salario minimo della vendita è stato portato da 19 a 19,75 franchi all’ora, per un salario mensile che passa - nel caso del venditore senza qualifica - da 3.200 a 3.318 franchi per 13 mensilità. Un adeguamento che segue l’entrata in vigore dal 1. dicembre 2023 della seconda forchetta del salario minimo cantonale (vedi box a lato). «Rispetto al minimo legale di 19,50 franchi è stato fatto uno sforzo supplementare, portando il minimo della vendita a 19,75 franchi all’ora», commenta al CdT la presidente di Federcommercio Lorenza Sommaruga. La quale ricorda come il contratto abbia voluto innanzitutto premiare i collaboratori con una formazione. «In generale - prosegue Sommaruga - dai controlli effettuati riscontriamo comunque che nella maggior parte dei casi il salario minimo versato è superiore a quello stabilito dal CCL».

La posizione di OCST

Di particolare interesse la posizione del sindacato cristiano sociale (OCST), parte contraente del contratto collettivo della vendita e, nello stesso tempo, promotore nell’ottobre del 2022 del referendum (assieme a UNIA) contro la modifica della legge cantonale sugli orari di apertura dei negozi, approvata poi in votazione popolare lo scorso 18 giugno.

In quell’occasione, il sindacato aveva affermato che, in sede di rinnovo del contratto, si sarebbe battuto per un testo migliorativo, consapevole che le carte in tavola erano cambiate e che le premesse non erano più quelle che avevano accompagnato la firma del CCL. Oggi, dunque, quali garanzie sono state ottenute? «È stata una trattativa complessa», ammette il segretario generale di OCST, Renato Ricciardi. «Il settore è sotto pressione, ma lo sono anche i salari dei dipendenti». Come giudicare allora il minimo salariale negoziato nel CCL? «Il minimo della vendita è leggermente superiore al minimo legale», osserva Ricciardi. Il quale tuttavia ammette che «lo sforzo fatto non è sufficiente e che pertanto il sindacato s’impegnerà a chiedere condizioni e salari migliori».

Se dunque da una parte OCST riconosce l’importanza di aver rinnovato il CCL, dall’altra non nasconde - rispetto a quanto concesso con l’estensione della legge sull’apertura dei negozi - che occorre fare di più: «Riconosciamo che il salario minimo è il punto debole del contratto collettivo. Purtroppo, non è stato possibile ottenere dalla controparte gli adeguamenti salariali richiesti». Su questo punto, però, Ricciardi aggiunge: «Federcommerico si è impegnata a riaprire la discussione sull’adeguamento dei salari reali nel corso della durata del nuovo contratto collettivo, prima quindi del suo prossimo rinnovo».

UNIA: «Ma con questo stipendio non è possibile vivere»

«Ecco quanto valgono le aperture domenicali: appena 25 centesimi». Chiara Landi, sindacalista di UNIA, non nasconde la sua profonda delusione di fronte alle nuove condizioni salariali introdotte dal contratto collettivo della vendita. «A dicembre 2023 è entrato in vigore il salario minimo cantonale a 19,50 franchi all’ora. La grande concessione fatta con questo adeguamento, quindi, è di soli 25 centesimi all’ora. Tenuto conto, però, che dal 1. dicembre 2024 il minimo legale sarà portato a 19.75 franchi all’ora, l’aumento concesso praticamente si azzera». UNIA - che non ha aderito alla comunità contrattuale e che pertanto non ha firmato il CCL - ha sempre criticato la soglia salariale d’entrata. Non solo: «I salari previsti dal CCL della vendita, in questi anni, non sono mai stati adeguati al rincaro», commenta Landi. Secondo la rappresentante sindacale, in risposta ai vantaggi ottenuti dai datori di lavoro grazie all’estensione della legge sull’apertura dei negozi, era essenziale impegnarsi per ottenere garanzie più sostanziali. E qui, la critica della sindacalista ricade soprattutto sul fronte sindacale: «Questo accordo svende la professionalità e i sacrifici di molti lavoratori che ogni giorno si impegnano sul posto di lavoro». Più in generale, Landi definisce quindi inaccettabile la soglia del salario minimo pattuito dal CCL: «In un Paese ricco come il nostro è inaccettabile. Semplicemente non consente a una persona di sostenersi con il proprio stipendio».