Focus Economia

Ampi danni provocati dalla guerra, grandi investimenti per ricostruire

Il conflitto sta portando all'Ucraina il peso delle distruzioni subite e quello della mancata crescita economica – Per la risalita del Paese saranno necessari gli interventi di diversi soggetti: Stati, istituzioni internazionali, investitori privati
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
03.07.2022 20:22

La guerra in Ucraina causata dall’invasione russa sta contribuendo al rallentamento economico mondiale e sta colpendo duramente le economie dei due Paesi che si combattono sul campo. Quella dell’Ucraina soprattutto, che subisce ampie distruzioni mentre si difende militarmente. E a seguire quella della Russia, che oltre al peso dello sforzo bellico affronta quello delle sanzioni occidentali. Al tragico bilancio di perdite umane, per il Paese aggredito e per il Paese aggressore, si aggiungono larghe difficoltà in campo economico. 

Le cifre

Secondo le previsioni rese note dalla Banca mondiale (BM) il mese scorso, la crescita economica globale dovrebbe essere del 2,9% quest’anno e del 3% il prossimo. Si dovrebbe quindi rimanere in area crescita, il che non è cosa secondaria, seppur con chiari rallentamenti rispetto alle previsioni precedenti (all’inizio di quest’anno la BM prevedeva 4,1% per il 2022 e 3,2% per il 2023). Dietro questi rallentamenti ci sono principalmente l’inflazione alta, le strettoie nelle catene di rifornimento, le code di pandemia e, appunto, la guerra in Ucraina. 

Se a livello mondiale si tratta di frenate, più o meno consistenti nelle diverse aree, per Ucraina e Russia l’impatto è duro. Secondo la Banca mondiale l’Ucraina quest’anno dovrebbe subire una caduta del Prodotto interno lordo reale pari al 45,1%; l’anno prossimo dovrebbe registrare una crescita del 2,1%, ma naturalmente ci sono molte variabili – militari, geopolitiche, economiche – attorno a questa previsione. La Russia secondo la BM dovrebbe registrare una contrazione della sua economia pari all’8,9% quest’anno; dovrebbe poi l’anno prossimo avere un’altra caduta economica, pari al 2%.

Per quel che riguarda i danni subiti sin qui dall’Ucraina a livello di infrastrutture, ci sono differenti stime, comprese nell’arco 60 miliardi-100 miliardi di dollari USA. La difficoltà nel fissare le stime deriva naturalmente anche dall’evoluzione dello scontro bellico. È certo che, ovviamente, più durerà la guerra più i danni cresceranno. Dalla capitale ucraina il Kyiv School of Economics Institute ha indicato nelle scorse settimane danni totali per il Paese - includendo anche perdite di crescita, di investimenti, di potenziale economico – tra i 500 e i 600 miliardi di dollari (tra 480 miliardi e 576 miliardi di franchi al cambio attuale).  

Riflettori su Lugano

Il Centre for Economic Policy Research (CEPR), rete di economisti che ha sede a Londra, già nelle prime settimane del conflitto ha indicato per la ricostruzione dell’Ucraina la necessità di mobilitare almeno tra i 220 miliardi e i 540 miliardi di euro. Altre stime hanno poi alzato le cifre alla fascia 600 miliardi-700 miliardi di dollari, mentre fonti ucraine hanno indicato cifre attorno ai mille miliardi di dollari. Anche qui, è difficile stabilire esattamente le somme, visto che la guerra purtroppo prosegue. È chiaro, comunque, che si tratterà almeno di molte centinaia di miliardi e che occorreranno anni per ricostruire. Il presidente Volodymyr Zelensky ha affermato che l’Ucraina presenterà alla Conferenza di Lugano di lunedì e martedì un ampio piano per la ricostruzione del Paese, definendolo «il più grande progetto economico dei nostri tempi in Europa e una straordinaria opportunità per ogni Stato e ogni azienda che inviteremo a lavorare in Ucraina». 

Molti riflettori sono puntati su Lugano, sulla Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. Vedremo quali valutazioni in questa sede saranno fatte sui danni per l’Ucraina e sulle somme da mobilitare, sperando sempre che la guerra finisca il più presto possibile. Mentre prosegue il sostegno economico e in termini di armi all’Ucraina, da parte degli USA soprattutto e poi dei Paesi europei, si tratta anche di guardare avanti, ai futuri assetti dell’Ucraina stessa. Negli investimenti per la ricostruzione, che dovrebbe avere legami con le riforme da attuare nel Paese, saranno probabilmente coinvolti sia gli Stati, sia le istituzioni internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale, Banca europea per lo sviluppo, etc.), sia investitori privati.  

I fondi congelati

Sullo sfondo c’è anche la questione di fondi e beni russi congelati attraverso le sanzioni occidentali. Anche considerando le riserve valutarie della banca centrale russa oggetto di sanzioni, con ogni probabilità questi fondi non basterebbero per la ricostruzione dell’Ucraina, inoltre ci sarebbero questioni legali da affrontare per il loro utilizzo. Ma non sono pochi a ritenere che in linea di principio sarebbe giusto usarli a favore dell’Ucraina. In un’intervista al britannico «Financial Times», Josep Borrell, rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, ha affermato: «Sarei molto favorevole, sarebbe una soluzione piena di logica». 

Per Mosca gli ostacoli si moltiplicano, la forza nelle materie prime non basta

Se l’Ucraina piange, la Russia non ride. Il Paese aggredito subisce le conseguenze più pesanti della guerra, ma il Paese aggressore non è in una buona situazione. Si è molto detto e scritto del vantaggio derivante a Mosca dai prezzi più elevati di gas e petrolio, voci importanti del suo export, e questo è effettivamente per ora uno dei punti di forza russi. Ma dall’altra parte per la Russia ci sono il peso, anche economico, dello sforzo bellico e il fardello non indifferente delle sanzioni occidentali. 

I dati

Nelle previsioni rese note il mese scorso la Banca mondiale indica per la Russia discese della sua economia pari all’8,9% nel 2022 e al 2% nel 2023. Se così sarà, non si tratterà della caduta verticale prevista per l’Ucraina ma si tratterà comunque di pesanti battute d’arresto. Mosca afferma di poter andare avanti bene anche dal punto di vista economico, sottolineando tra l’altro la sua possibilità di sviluppare gli scambi con grandi Paesi asiatici come India e Cina. Questi ultimi, come altri Paesi emergenti, in effetti non aderiscono alle sanzioni anti-Russia, ma resta da vedere se esiste davvero per Mosca la possibilità di arrivare a compensare o a superare - attraverso gli scambi con gli Emergenti - ciò che sta via via perdendo con i Paesi occidentali e con gli alleati di questi. Se per Europa, USA e altri Paesi che aderiscono alle sanzioni, la situazione è complicata, è ancor più vero che per la Russia gli ostacoli sono molti.  

Default e oro

Tra questi ostacoli, due hanno preso nuova consistenza nelle ultime settimane, quello del default su obbligazioni emesse dalla Russia e quello dell’embargo totale sull’oro russo. Dalla mezzanotte del 26 giugno scorso, Mosca può essere accusata di non aver condotto a buon fine i pagamenti degli interessi su due emissioni scadute il 27 maggio, per un valore di 99 milioni di dollari. Le autorità russe affermano di aver fatto partire i pagamenti a tempo debito, ma questi non sono mai arrivati a destinazione, perché sono stati bloccati lungo una catena che ormai non funziona più, appunto a causa delle sanzioni. Se un numero sufficiente di investitori farà ricorso e se ci sarà una sentenza sull’insolvenza, per il debito sovrano estero di Mosca sarà default. 

Quanto all’oro russo, questo è entrato nel mirino soprattutto degli Stati Uniti, che in occasione del recente vertice del G7, svoltosi in Germania, hanno spinto per un divieto assoluto di importazione. Il Regno Unito, il Canada, il Giappone hanno appoggiato nettamente la posizione USA, mentre da Italia, Francia, Germania è venuta la richiesta di tempo, anche per poter approfondire con i partner dell’Unione europea. Il presidente statunitense Joe Biden ha affermato che un embargo totale sull’oro russo potrebbe provocare danni a Mosca per decine di miliardi di dollari. 

La Russia dispone di molte materie prime ed è anche una potenza aurifera. Una parte degli esperti del settore fa notare che le sanzioni occidentali già in vigore hanno già portato ad una riduzione delle vendite della Russia nei Paesi del G7. Rendere totale l’embargo sull’oro russo sarebbe in sostanza un completamento. Per i Paesi che hanno aderito alle sanzioni contro la Russia si tratta peraltro anche di evitare che qualche maglia resti aperta, come dimostra anche un caso emerso nei giorni scorsi alle nostre latitudini. La Svizzera ha aderito alle sanzioni UE anti-Russia e le autorità elvetiche stanno ora indagando su 3,1 tonnellate di lingotti d’oro di fabbricazione russa, che sono entrati in maggio in territorio svizzero e la cui destinazione finale non è stata chiarita.

Difficoltà

Analisti del settore sottolineano la possibilità di un aumento dei tentativi di triangolazione. Alcuni riflettori si sono accesi in particolare su Dubai, che ha registrato aumenti dell’export di oro da quando è iniziata la guerra in Ucraina. Bisogna comunque anche considerare che i lingotti russi fabbricati prima del 7 marzo di quest’anno sono ancora in libera circolazione. Al di là di questi intrecci, resta il fatto che per gli scambi della Russia, colpita da sanzioni in vari settori, in generale le difficoltà tendono ad aumentare.

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