Anglicismi farlocchi

Forse qualcuno ricorderà uno spot molto pretenzioso di parecchio tempo fa, con protagonista un noto cuoco italiano che si presenta in una vasca da bagno e che, parlando in terza persona, ci comunica che non può stare sempre in cucina. In effetti il messaggio pubblicitario, che risale al 2016, continua mostrandoci il nostro, oltre che in cucina, nel suo soggiorno. Il richiamo finale recita con accento del Nord-Est impostato e mellifluo «il mio bagno, il mio living, la mia cucina».
La Milano da bere è lontana, ma la città più europea d’Italia anche negli ultimi anni continua a tirarsela che è un piacere, addirittura con esempi di «inglese stellato» (si fa per dire), sempre in relazione allo stesso cuoco di cui sopra.
La rilevazione, risalente al gennaio del 2018, è di Licia Corbolante, acuta osservatrice della realtà linguistica italiana, che in rete denuncia da tempo con competenza e vigore le tante manifestazioni italiane di «inglese farlocco», evidenziando in questo caso l’allora futuro ristorante dello chef, le cui indicazioni sulla vetrina oscurata nella prestigiosa Galleria di Milano, unicamente in inglese, riportavano il goffo «next opening» al posto del corretto «opening soon». In un contesto del genere immaginiamo che sarà parso fuori luogo pensare a una banale «prossima apertura», che andrebbe magari bene per il normale cuoco di un normale ristorante, ma non per lo chef stellato che mira a offrire esperienze papillari esclusive all’universo mondo angloparlante. Gli pseudoanglicismi, (che non esistono nell’ «inglese vero») sono molti e sono presenti da tempo nella lingua italiana. In certi casi sono diventati arcaismi ormai poco usati: basterebbe citare «dancing» per «discoteca» o «footing» per «corsa»; in altri casi, se pensiamo al «flipper», è uscito di scena il referente (in inglese «pinball»). Curioso osservare che per «footing», da tempo in concorrenza con «jogging» (anch’esso peraltro oggi un po’ ribasso), il grande linguista Arrigo Castellani, indiscusso specialista di italiano delle origini, aveva proposto (tra il serio e il faceto?) l’eccentrico «trotterello» nel suo famosissimo articolo del 1987, significativamente dedicato al «Morbus Anglicus» e apparso sulla rivista Studi linguistici italiani.
Lo stesso «spot», qui usato all’inizio nel senso di «messaggio pubblicitario televisivo», è uno pseudoanglicismo che ci accompagna da una vita. E che non si trova nella lunga lista di termini di cui Castellani ha proposto i vari equivalenti. L’elenco, letto a quasi quarant’anni di distanza, desta ancora la giusta curiosità da una parte riguardo alla varietà delle proposte fatte e dall’altra all’originalità di una posizione, di cui non si è mai capito fino in fondo la reale intenzione operativa e quanto andasse al di là di un colto divertissement. Bisogna inoltre aggiungere che delle varie proposte poche hanno avuto successo, nonostante alcune fossero ben formate e tecnicamente senz’altro sostenibili. È il caso di «fubbia» («fumo» più «nebbia») per «smog» o di «vendissimo» per «bestseller», sul modello di un superlativo improprio in parte simile a quello di Canzonissima, notissimo programma TV che, imperversando per più di un decennio il sabato sera fino a metà degli anni Settanta, aveva creato diverse altre formazioni analogiche (ci viene in mente fra le altre l’ «Aureolissima» del «Francesco Guccini Fan Club»).
Ma ora che il «morbo» potrebbe essersi trasformato forse in una sindrome non c’è dubbio che la Milano delle mode e del marketing sia ancor di più la patria dell’itanglese, dove proliferano gli esempi di «inglese farlocco» denunciati puntualmente da Corbolante. Ma il fenomeno non si arresta certo a Milano e alle mode più o meno cangianti. Si veda il recente «sistema di prenotazioni» online di alcuni ospedali italiani, denominato «prenoting», comprensibilissimo al pubblico italofono ma non ad anglofoni che si aspetterebbero il ricorso a «book» o a «reserve». Per fortuna i veri errori della sanità non sono questi e anche lo slogan scelto per promuovere il servizio è tutto sommato innocuo: «L’Ospedale e il Paziente con Prenoting parlano la stessa lingua». Una lingua inventata e un po’ approssimativa, nell’intento forse di trasmettere una sensazione di modernità ed efficienza.