Confine

Attilio Fontana: «Troppi frontalieri? Pronto a riprendermeli»

A tu per tu con il presidente della Regione Lombardia, incontrato nel suo ufficio a Milano
© CdT/Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
30.04.2023 06:00

Il Ticino si vede in lontananza dall’ufficio di Attilio Fontana, al 35. piano del grattacielo della Regione Lombardia a Milano. «Appena appena, qualcosina. Dietro ai monti di Como» dice il governatore indicando le vetrate dalla poltrona che - circondata da foto di montagne e plichi di documenti - gli è stata confermata alle elezioni di febbraio per un secondo mandato. In due mesi l’ex sindaco di Varese è stato impegnatissimo - «il rimpasto di giunta, le nomine, tante cosa da impostare» - ma i dossier sul confine lombardo-ticinese così lontano e così vicino sono sul suo tavolo, assicura. Da qualche parte. «A cominciare da quello sui frontalieri».

È sicuramente il più corposo. In Ticino sono aumentati da 74 mila a quasi 78 mila l’anno scorso.
«Ahinoi».

Ahivoi, dice?
«Lo dico perché il Ticino riesce ad essere attrattivo per settori per noi molto importanti, in cui facciamo fatica a reperire personale. Capisco chi se ne va: i vantaggi sono evidenti. Ma per noi è un problema».

Anche per una parte dell’opinione pubblica e della politica ticinese, in realtà.
«Questa invece è un’ostilità che fatico a comprendere. Se il Ticino non avesse bisogno di questi lavoratori, potrebbe lasciarli a casa. Li riprenderei a braccia aperte, guardi. Nel settore della sanità, con cui come Regione siamo coinvolti in primo piano, ma anche in altri. Se c’è un problema oggi in Lombardia è la carenza di manodopera. Il nostro mercato del lavoro sarebbe in grado di riassorbire i frontalieri senza problemi».

Il problema sono i salari.
«Lo sappiamo. E dobbiamo cercare di fare qualcosa. In ambito sanitario come Regione abbiamo aggiunto 100 euro in busta paga agli operatori dei pronto soccorso, e 40 euro a tutto il personale sanitario».

Sono sufficienti? La fuga di professionisti sanitari non si è fermata.
«Il divario è ancora grande. Ma abbiamo le mani legate da Roma, e già queste concessioni rischiano di venire impugnate perché, in particolare nel settore sanitario, le retribuzioni sono definite a libello nazionale. Con una maggiore autonomia la Lombardia avrà tutte le risorse per aumentare i salari. Il nostro bilancio sanitario è in pari, caso unico in Italia».

Il ministro Giancarlo Giorgetti di recente si è impegnato a fare dei passi avanti. Siamo assolutamente convinti che Ticino e Lombardia non debbano farsi la guerra

Ma succederà? Si parla da tempo di una fascia di confine fiscalmente agevolata.
«È quello che vogliamo fare. Alleggerire il carico sulle buste paga di chi rimane. Il ministro Giancarlo Giorgetti di recente si è impegnato a fare dei passi avanti. Siamo assolutamente convinti che Ticino e Lombardia non debbano farsi la guerra. Ci perdiamo tutti e due».

Si riferisce a qualcosa in particolare?
«Penso ad esempio all’attrattività che il Ticino rivolge alle nostre aziende, con sgravi fiscali ed economici per quelle che si trasferiscono. È chiaro che è una cosa che non ci fa piacere. Si desertifica il territorio. I ticinesi non si lamentino poi, se arrivano anche i lavoratori. Ridateci le aziende e ci riprendiamo i frontalieri».

Come se ne esce?
«Con il dialogo. I punti in comune tra i nostri territori sono molti più delle diversità. Bisogna trovare soluzioni che accontentino entrambe le parti nel rispetto reciproco».

Sembra facile a dirsi. Nel concreto?
«Nel concreto lo abbiamo già dimostrato. Sul dossier fiscalità dei frontalieri Berna e Roma non si capivano, la soluzione è arrivata a livello locale con l’accordo che avevamo elaborato Claudio Zeli ed io. Zeli o Zali?»

Zali. Era presidente del Consiglio di Stato.
«Ecco, Zali ed io. Mi confondo perché avevo un compagno di classe che si chiamava Zeli (ride, n.d.r.). Comunque Roma e Berna hanno sostanzialmente ripreso il nostro accordo peggiorandolo un pochino. È la prova che i governi locali conoscono la realtà molto meglio di quelli nazionali e possono risolvere i problemi».

Ho dovuto firmare un decreto sull’uso parsimonioso dell’acqua, poi per fortuna l’emergenza è rientrata

Sulla questione idrica invece c’è stato qualche bisticcio, l’estate scorsa.
«Ma no, non è vero. Ho parlato più volte con i rappresentanti svizzeri come ha fatto Sertori (Massimo, assessore lombardo alla Montagna e ai rapporti transfrontalieri, n.d.r.) e si è sempre trovata una soluzione. Ho dovuto firmare un decreto sull’uso parsimonioso dell’acqua, poi per fortuna l’emergenza è rientrata».

Quest’anno le previsioni non sono migliori.
«Sono peggiori. Se non piove, ci ritroveremo dove eravamo un anno fa anzi peggio. Purtroppo la questione idrica è complicata da interessi contrastanti. Chi gestisce i bacini alpini deve guadagnare sull’acqua, e ha interesse a rilasciarla in momenti che magari non vanno bene agli agricoltori, al turismo, o agli ambientalisti. I confitti non sono solo di confine ma anche all’interno della Lombardia».

La Lombardia però è a valle. Il Ticino deve occuparsi di questi problemi?
«Ricordiamoci ''qui stabat superior'' nella favola di Fedro. Sempre il lupo. Attenti a dire che gli svizzeri stanno sopra: altrimenti fate la figura dei lupi cattivi».

Passiamo ai trasporti ferroviari, altra questione spinosa. La linea Zurigo-Milano è stata potenziato fino al Ticino con Alptransit, nella tratta lombarda i treni vanno più lenti di vent’anni fa.
«Non dica queste cose. Anche qui, a livello locale la collaborazione funziona benissimo con i TiLo. Sulla lunga percorrenza abbiamo un centinaio di treni dove un secolo fa ne passavano dieci al giorno. La rotaia è rimasta la stessa. È come correre con una Ferrari su una strada di campagna»

E non è colpa della Regione?
«La rotaia è gestita dallo Stato. Le logiche romane affossano qualsiasi efficienza».

Per le Olimpiadi investiamo soprattutto in infrastrutture stradali e collegamenti che sono utili a prescindere, per le zone di montagna

Olimpiadi 2026. Anche qui ci sono ritardi.
«I governi Conte hanno voluto affidare i lavori a una società statale, costituita ben quattro anni dopo l’assegnazione dei Giochi nel 2018. Stiamo recuperando in fretta il tempo perso».

La neve intanto scarseggia. Il turismo invernale è in crisi. Le Alpi non rischiano di ritrovarsi con strutture spropositate?
«Per le Olimpiadi investiamo soprattutto in infrastrutture stradali e collegamenti che sono utili a prescindere, per le zone di montagna. Poi i grandi eventi sono un volano per l’economia. Da Expo 2015 in avanti abbiamo attratto capitali come nessuno in Europa, siamo più produttivi di Catalogna e Baden Würtenberg, la Lombardia ha preso il volo».

La Lombardia o Milano?
«Milano non corre da sola, anche se alcuni lo pensano. I grattacieli non crescono da soli. Milano è cresciuta in modo straordinario perché ha vicino Brescia, Bergamo, Varese, Como».

Ha anche il Ticino, vicino.
«Certo. Il Ticino è da sempre una ricchezza, penso alla finanza, ai patrimoni milanesi e lombardi, un rapporto biunivoco. Ma non parlo solo di economia. Ci sono le montagne, i laghi. Settimana scorsa sono andato a vedere una mostra al Museo delle culture a Lugano. Vengo spesso in Ticino, da privato cittadino».

Come privato ha avuto anche un conto da 5 milioni di franchi all’UBS. E un’indagine in Italia.
«Che si è chiusa in niente. Ho ereditato un conto da mia madre, l’ho dichiarato pagando centinaia di migliaia di euro di tasse. Fine. Ho sofferto, non per il comportamento della Svizzera - correttissimo - ma per le strumentalizzazioni di una certa parte politica in Italia. Io sono tranquillo: continuano a dire che Fontana è un ladro, un cretino, un assassino, e poi perdono le elezioni. Va bene così».

Norman è stato rieletto? Bene. Auguri e complimenti

A proposito, si è votato anche in Ticino.
«È vero. Non ho guardato i risultati. Norman è stato rieletto?»

Gobbi, sì. Anche Zali.
«Bene. Auguri e complimenti. Li devo chiamare tutti e due».

La Lega però ha perso punti a favore della destra tradizionale. Un altro problema comune?
«In Lombardia abbiamo retto all’ondata di Fratelli d’Italia. Il tracollo non c’è stato e non vedo una crisi di identità. La ricetta è rimanere concreti. Siamo gli unici che tutelano i territori, e di questo ci sarà sempre più bisogno. Le Leghe hanno questa prerogativa e se la manterranno sono convinto che, magari con alti e bassi, continueranno a svolgere un ruolo fondamentale. Sia in Italia che in Svizzera».

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