Belfor, accordo sulla pena per sette imputati

Il processo Belfor si è aperto questa mattina con un colpo di scena già al momento delle questioni pregiudiziali, ovvero prima di entrare nel vivo del dibattimento. Sette dei nove imputati (tre dei quali dispensati dal comparire in aula), alla sbarra per la maxi-truffa assicurativa milionaria, hanno infatti raggiunto un accordo con la procuratrice pubblica Chiara Borelli. Sostanzialmente riconoscendo le azioni elencate nell’atto d’accusa e accettando la pena proposta dall’accusa. Sei e 5 anni di carcere per i due fratelli ex dirigenti della succursale ticinese di Belfor a Lumino (i principali accusati); 5 anni per la dirigente di un’azienda interinale coinvolta nelle truffe; 3 anni di cui 12 mesi da scontare, 24 mesi sospesi, 20 mesi sospesi e 14 mesi sospesi per gli altri imputati. Su queste proposte di pena sarà la Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (affiancato da Luca Zorzi e Fabrizio Filippo Monaci) a pronunciarsi.
Diversi capi di imputazione
A carico degli imputati – lo ricordiamo – pendono, a vario titolo, i reati di truffa per mestiere (ripetuta), amministrazione infedele, corruzione fra privati (corruzione attiva), corruzione di pubblici funzionari, corruzione passiva, appropriazione indebita e falsità in documenti, nonché infrazione e contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. Gli accusati sono difesi dagli avvocati Nicola Orelli, Maria Galliani, Niccolò Giovanettina, Marco Masoni, Francesca Piffaretti-Lanz, Anna Grümann, Luigi Mattei, Mauro Ermani (alla sua prima apparizione pubblica dopo le dimissioni rassegnate in gennaio dalla carica di giudice) e Luisa Polli.
Un procedimento disgiunto
A rifiutare l’accordo stabilito con l'accusa sono invece stati due imputati, difesi dagli avvocati Mauro Ermani e Anna Grümann. A tal proposito l’ex giudice ha preso la parola chiedendo che il procedimento nei confronti del suo assistito venga disgiunto da quello degli altri. Il già presidente del Tribunale penale, dopo mesi di silenzio, è tornato oggi in aula sedendo però sul banco riservato alle difese e non in quello centrale, che ha occupato in qualità di giudice durante una carriera durata 36 anni in seno alla Magistratura. E si è mostrato calmo, ma deciso e sicuro nel dettagliare i punti delle sue richieste. «Non mi sembra corretto né tantomeno giusto che si faccia un dibattimento con degli imputati che hanno già l’accordo in tasca», ha spiegato motivando la richiesta di disgiunzione. «Non è giusto che in questa sede vi siano delle posizioni così diverse e antitetiche. Non mi scandalizzo che accusa e difesa parlino e trovino una soluzione, ma qui ci troviamo di fronte a una procedura diversa». Chiedendo infine per il suo assistito un dibattimento che verta su tutti i punti, «poiché lui li contesta». Una richiesta di disgiunzione che però è stata respinta dal giudice: «L’unità del procedimento deve essere tenuta come regola, la disgiunzione rimane l’eccezione». Si tratta sempre e comunque di un rito ordinario e non abbreviato, ha puntualizzato Amos Pagnamenta, «la Corte è quindi libera e non vincolata dalla proposta di pena. Non c’è alcun accordo già in tasca».
«Condanna su dati verificabili»
Così come è stata respinta anche la richiesta di Mauro Ermani di rinviare l’atto d’accusa al Ministero pubblico per far sì che la procuratrice pubblica Chiara Borelli ne redigesse uno nuovo, in quanto a mente del difensore nel documento vi sarebbero degli errori: «Nella vita siamo tutti umani e possiamo sbagliare», ha sottolineato a più riprese Ermani, «il problema è quando non possiamo verificare le circostanze che stanno a monte. Non si può condannare qualcuno sulla base di informazioni che non si possono verificare». Richiesta anche questa rifiutata dal presidente della Corte delle Assise criminali che ritiene l'atto d'accusa sufficientemente chiaro. Sempre sulla base di questo ragionamento Ermani ha chiesto anche che la perizia contabile sulla base della quale sono indicate le cifre dell’atto d’accusa venga fatta da terzi, «che garantiscano l’equità del processo», e non dall'accusa. Pure quest'ultimo punto è stato respinto da Pagnamenta, in quanto «la contabilità redatta non pone problemi». L’ammontare delle fatture presentate alle assicurazioni è di oltre 16 milioni, secondo le cifre riportate dall’atto d’accusa. Di questi, all'incirca 5 milioni deriverebbero dalle fatture gonfiate.
Terminate le questioni pregiudiziali, nel primo pomeriggio, il dibattimento è continuato con l'interrogatorio degli imputati.

