«Berna contro la CEDU? Sono preoccupato: il diritto va rispettato»

«Non ignoriamo la sentenza, ma chiediamo al Consiglio federale di non dare ulteriore seguito a questa decisione». Parole del consigliere nazionale Simone Gianini (PLR), che oggi alla Camera del popolo - quale relatore della Commissione degli affari giuridici - ha difeso la dichiarazione critica nei confronti della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il Parlamento, infatti, si è nuovamente infiammato sulla questione: la condanna della Svizzera, in seguito alla battaglia legale delle «Anziane per il clima», non è stata accettata dal fronte borghese. E dopo gli Stati, anche il Nazionale oggi ha deciso di lanciare un segnale a Strasburgo.
«A mio avviso, è importante lanciare questo messaggio», ci spiega Gianini. Per il ticinese si tratta infatti anche di un segnale «a supporto della legittimità e credibilità della Corte, messe invece in discussione da questa sentenza, che va ben al di là delle sue competenze. Oltre ad esasperare le posizioni contrapposte e a distogliere l’attenzione degli Stati dall’applicazione pratica della loro politica per il clima, ho il timore che la sentenza venga utilizzata soprattutto a destra come grimaldello contro la politica europea e quella climatica, ciò che è proprio il contrario di ciò che avrebbe voluto la Corte medesima».
Interpretare il diritto
Un piccolo passo indietro. Il 9 aprile, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Svizzera per violazione dei diritti umani in ambito ambientale, dando così ragione alle «Anziane per il clima» - supportate da Greenpeace - che avevano presentato un ricorso. L’associazione denunciava l’inazione della Confederazione di fronte ai cambiamenti climatici.
La sentenza, considerata storica, è vincolante, non appellabile e fa giurisprudenza: tocca dunque anche gli altri 45 Paesi aderenti alla CEDU.
Il Consiglio degli Stati (Cfr. CdT del 6 giugno) aveva votato a favore della dichiarazione, che non è tuttavia vincolante, già la scorsa settimana. Oggi, il Nazionale (per 111 voti contro 72 e 10 astenuti) ha fatto lo stesso, mantenendo il testo elaborato dai «senatori». «La Corte deve applicare e semmai interpretare la legge, ma non crearla», sottolinea Gianini.
Separazione dei poteri
In aula si sono infatti susseguite le accuse e le controaccuse su chi ha violato la separazione dei poteri. Per Gianini, la Corte lo ha fatto «riconoscendo un nuovo diritto umano alla protezione contro il cambiamento climatico, che gli Stati non hanno mai voluto inserire nella Convenzione dei diritti dell’uomo».
I giudici di Strasburgo, così facendo, hanno assunto il ruolo di legislatore. «Ma questo è un compito degli Stati nazionali e dei loro Parlamenti. Siamo noi a dover far politica». Con la sentenza, critica Gianini, «si va anche a istituire una sorta di sistema di controllo e sanzioni su trattati internazionali come l’Accordo di Parigi, il quale tuttavia, per scelta esplicita degli Stati che l’hanno sottoscritto, non ha carattere vincolante e si basa sulla fiducia tra Nazioni».
Gli sforzi passati e attuali della Svizzera in questo ambito, inoltre, sono già sufficienti per la maggioranza della Camera del popolo. Per elaborare la sua sentenza, la CEDU ha «chiuso i lavori» il 14 febbraio. In seguito, tuttavia, il Parlamento ha approvato a metà marzo la Legge sul CO2 fino al 2030 e domenica il popolo ha dato il via libera alla Legge federale su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili, ciò che la Corte – conclude Gianini – «non ha considerato».
Cambiare la legge
«Se non sono d’accordo su una sentenza, da parlamentare il mio lavoro è quello di cambiare la legge e non di criticare i giudici che l’hanno emanata», deplora invece la consigliera nazionale Tamara Funiciello (PS/BE), che definisce «problematica» la dichiarazione del Parlamento. «Mette in discussione i diritti dell’uomo, la CEDU e anche uno dei pilastri fondamentali della democrazia, ovvero la separazione dei poteri». Una critica mossa anche dalle «Anziane per il clima», presenti a Palazzo federale a osservare i dibattiti e a promuovere la petizione (con oltre 22 mila firme) che chiede al Parlamento di rispettare la sentenza della CEDU.
Per Funiciello, è scandalosa sia la decisione di proporre una dichiarazione di questo tipo, sia il modo in cui è stata fatta. «Il problema è che questa sentenza di quasi 300 pagine l’hanno letta in pochi. Inoltre, in commissione (Funiciello, come Gianini, siede nella Commissione degli affari giuridici, ndr) ne abbiamo discusso davvero poco e per me questo è uno scandalo. In un’ora e con una discussione malfatta non si può mettere in discussione una delle Corti più importanti al mondo».
«Non è un capriccio politico»
Il rischio, tra le altre cose, è anche quello di delegittimare la CEDU. «Credo che la Corte si sia già screditata da sola con questa sentenza politica», sostiene dal canto suo il consigliere nazionale Paolo Pamini (UDC), secondo cui nella decisione dei giudici di Strasburgo ci sono troppi elementi che non tornano: il diritto di ricorso delle associazioni, ma anche il fatto che la CEDU si sia occupata in questo modo di una decisione di non entrata in materia del Tribunale federale.
«Doveva limitarsi solo a quel giudizio, ma ha colto la palla al balzo per andare ben oltre le sue competenze. Per questo la dichiarazione non è un capriccio politico», sottolinea Pamini. L’UDC, particolarmente inviperito nei confronti dei giudici di Strasburgo, vuole però andare ancora più lontano. «Abbiamo già depositato formalmente un atto parlamentare affinché la Svizzera esca dalla CEDU, perché ormai questo tribunale sta sfuggendo di mano».
Il Consiglio federale attende
E ora? La dichiarazione non è vincolante, ma la palla passa comunque nelle mani del Consiglio federale. In autunno il «ministro» degli Esteri Ignazio Cassis dovrà recarsi al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per far conoscere la posizione della Confederazione e per presentare un rapporto sulle misure adottate.
Il Governo, per il momento, non si è ancora espresso. Lunedì, alla Camera del popolo, il consigliere federale Beat Jans ha reso noto che l’Esecutivo si occuperà della sentenza dopo la pausa estiva. Fino ad allora, nessun commento ufficiale. Eppure, incalzato dal consigliere nazionale Christian Imark (UDC/SO) all’Ora delle domande, il «ministro» della Giustizia si è lasciato andare a un commento sibillino: «La separazione dei poteri è un principio fondamentale della democrazia in Svizzera». E poi ancora: «Una cosa è chiara: se un tribunale viola la separazione dei poteri, ciò non significa immediatamente che i politici debbano fare lo stesso».
Nel mirino delle critiche c’è finito anche lui: Andreas Zünd, ex giudice federale, dal gennaio 2021 è giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il 67.enne sangallese, vicino al PS, è uno dei 16 magistrati (su 17) che si sono pronunciati contro la Svizzera. In sostanza, contro il suo Paese.
Ma cosa significa questa sentenza per Berna? «La sentenza, non solo per la Svizzera, ma anche per gli altri Stati membri della Convenzione, significa che devono adottare misure per contrastare il riscaldamento climatico», spiega al CdT il giudice di Strasburgo. «Ciò funzionerà soltanto se lo sforzo sarà globale e ogni Stato farà la sua parte. Questo è esattamente ciò che gli Stati hanno concordato nell’Accordo di Parigi». Le Camere federali hanno tuttavia deciso di lanciare un messaggio forte e chiaro, invitando il Consiglio federale a non dare ulteriore seguito alla sentenza. La preoccupa? «Sì, perché il riscaldamento globale, soprattutto nel campo dei diritti umani, è una sfida importante», aggiunge Zünd.
Lo Stato deve proteggere
C’è però un aspetto da sottolineare: è la prima volta che un Paese viene condannato per «inazione» in questo ambito. Finora la protezione dal cambiamento climatico non era un diritto umano. Perché dovrebbe rientrare in questa sfera? «La Convenzione garantisce il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata, la quale include l’integrità fisica. Entrambi i diritti sono minacciati dal cambiamento climatico», sostiene il giudice elvetico, secondo cui gli Stati hanno l’obbligo di proteggere la popolazione da questa minaccia.
Per le due Camere federali, però, la CEDU in questo modo sta facendo «attivismo giudiziario» e sta oltrepassando le proprie competenze. «No», risponde Zünd. «Il cambiamento climatico è una nuova sfida, alla quale la giurisprudenza esistente viene applicata e adattata. La Corte deve interpretare la Convenzione alla luce delle realtà odierne.
A suo avviso, tuttavia, la dichiarazione (non vincolante) del Parlamento non rappresenta una violazione dei poteri. Tuttavia, tiene a precisare, «gli Stati membri della CEDU sono tenuti a conformarsi alla sentenza. Dovrebbero farlo in buona fede».
Legittimità e responsabilità
Stati e Nazionale, con la dichiarazione, hanno però lanciato un chiaro messaggio all’indirizzo della CEDU e, probabilmente, il segnale è arrivato anche agli altri 45 Paesi nei quali si dovrebbe applicare quanto stabilito dai giudici di Bruxelles. C’è il rischio di perdere legittimità e che altri Stati non diano seguito alle sentenze della Corte? «I diritti umani non sono garantiti una volta per tutte. La volontà della società di proteggerli è importante», ci spiega Zünd. Eppure, la pressione nei confronti della CEDU è aumentata fortemente dallo scorso 9 aprile. «C’è una cosa che mi preoccupa», ammette il giudice sangallese. «Il diritto ha come presupposto culturale che siamo disposti a rispettarlo. Le autorità statali hanno una responsabilità particolare in questo senso».
