Chi fermerà lo zar di vetro?
L’altra faccia della Russia. Quella che scende in piazza e sfida il Cremlino. Dall’inizio della guerra in Ucraina, sono oltre 15 mila gli arresti effettuati dalla polizia russa in 60 città del Paese. «Perlopiù si tratta di fermi amministrativi che durano 24 - 48 ore e che solo nei casi più gravi si traducono in processi», osserva Mara Morini, politologa e professoressa associata di Scienza politica all’Università di Genova. «Questo non giustifica la repressione, ma sarebbe comunque un errore pensare a 15 mila persone detenute in carcere».
Chi sono allora questi manifestanti? E che spazio politico occupano nel regime instaurato da Vladimir Putin? «Manifestazioni di questo genere, a cui aderiscono soprattutto le giovani generazioni, non possono in alcun modo influire sulla stabilità del regime», commenta dal canto suo Paolo Calzini, esperto di politica russa e già docente di Relazioni internazionali alla Johns Hopkins University di Bologna. «È un elemento che mette in guardia il regime, ma che non sposta in alcun modo gli equilibri interni, politici e di opinione pubblica».
La pancia e la piazza
Negli ultimi quattro mesi, osserva a questo proposito
Morini, il consenso popolare di Putin è cresciuto di 4 punti percentuali. «A
seconda dell’istituto di sondaggio, anche quello più indipendente come il
Levada Center, il consenso di Putin è al 71 o al 73%». Per Calzini, «è la
“Russia profonda” che per ragioni patriottiche e nazionalistiche appoggia la
narrazione del Cremlino». Una lettura condivisa da Morini: «C’è sicuramente una
frattura generazionale. Gli over 55 guardano prevalentemente la televisione e
sono più soggetti alla propaganda mediatica, che Putin ha costruito nel tempo,
basata sull’orgoglio patriottico e il ritrovato ruolo internazionale della
Russia come superpotenza. Si tratta dello zoccolo duro: pensionati, dipendenti
pubblici e l’esercito. Quelli che poi vanno a votare».
Consenso e repressione, dunque. Ma come definire allora il regime politico instaurato dall’uomo forte del Cremlino? «Ci sono diverse definizioni, ma quella meno problematica, è “autoritarsimo elettorale”, nel senso di un regime autoritario che poggia sulle elezioni. E che, dunque, apparentemente, sembra una democrazia».
Rispetto al regime cinese, le fa eco Calzini, quello russo mantiene una parvenza di elezioni, comunque «fortemente condizionate». Secondo Calzini, «gran parte del Paese è infatti succubo o consenziente, e questo per una ragione molto semplice: la società teme che si possa rompere l’equilibrio raggiunto con Putin». Una stabilità raggiunta con «la dittatura della legge», aggiunge Morini. «Rispetto alla conduzione anarchica del suo lontano predecessore Boris Eltsin, durante la quale tutti facevano ciò che volevano, Putin ha imposto il valore fermo della legge». Un elemento di ordine rispetto al passato. Oggi, il regime di Putin resta ambiguo, ibrido, ribatte Calzini: «Da una parte si regge sul consenso (non senza l’uso della forza) presentandosi come legittimo difensore dei valori nazionali. Dall’altra, così facendo, difende il proprio potere».
Il sistema Duma
Dalle proteste di piazza, alla politica parlamentare. Anche
in questo caso, osservano i nostri interlocutori, sarebbe assolutamente
illusorio pensare che il Parlamento possa ostacolare l’azione di Putin: «La
Duma partecipa pienamente all’ambiguità del regime autoritario russo», chiosa
Calzini, «e ciò nella misura in cui anche l’opposizione si muove lungo una
traiettoria fortemente condizionata dal sistema». Una libertà ridotta «entro i
limiti imposti dal potere», dunque, che, secondo Morini, mostra tutta la sua
debolezza nel sistema elettorale. «Le elezioni parlamentari sono solitamente
più soggette a frodi elettorali ma anche a vincoli burocratici e amministrativi
che impediscono a diversi partiti di partecipare alla corsa elettorale.
Inoltre, la comunicazione politica è fortemente concentrata sui partiti del
potere, e mette in secondo piano le opposizioni. Che poi tanto opposizioni non
sono». Come ricorda Morini, la richiesta del riconoscimento dell’indipendenza
delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk è stata formulata dal Partito
Comunista, che nella Duma rappresenta una delle forze politiche di opposizione.
«Poi la proposta è stata votata dalla grande maggioranza e non solo da
Russia Unita, il partito di Putin. Questo perché, da un lato la componente
nazionalistica è trasversale a tutte le forze politiche presenti nella Duma;
dall’altro, negli anni si è vista un’opposizione parlamentare molto collusa con
il Cremlino e con il partito di maggioranza». Nessun pluripartitismo autentico,
dunque, è presente nella Duma con il tradizionale scopo di «controllo
parlamentare, che conosciamo invece nelle democrazie occidentali», prosegue
Morini.
Fuori dal Parlamento
Per vedere una reale forma di opposizione, dobbiamo uscire
dal Parlamento. «È l’opposizione effettiva, ma è molto minoritaria e
frammentata, grazie anche all’azione di Putin che negli anni ha saputo
disarticolarne la forza e l’organizzazione». Vedi il caso Navalny, precisa
Calzini. «Si tratta di reti costruite dal basso, la cui visibilità resta
minima», gli fa eco Morini, secondo cui il problema è stato anche «di non
aver saputo trovare un leader capace di unire tutte le forze. Motivo per cui
sono rimaste fuori dal Parlamento già dal 2003».
Il potere verticale
Chi può allora fermare Putin? Neppure gli oligarchi, osserva
Calzini: «È facile, ora, immaginare una frizione politica con il potere
economico a causa delle sanzioni, ma in un sistema autoritario come quello
russo è comunque la politica che controlla l’economia. E non il contrario. La
stabilità economica del Paese potrebbe tuttavia costituire un elemento di
tensione, soprattutto se queste sanzioni dovessero durare nel tempo mettendo a
dura prova la popolazione. «Di certo, però, il regime non sarà destabilizzato
sino a che non ci saranno spaccature al vertice», osserva ancora Calzini. A
fargli eco, su questo punto, Morini: «Un eventuale cambiamento può venire solo
dall’alto, anche se Putin sembra aver calcolato anche questa ipotesi, dotandosi
di strutture ben precise per proteggersi da eventuali colpi di Stato».
Chi, dunque, può fermare Putin? «Sé stesso», conclude Morini. Militari e servizi di sicurezza sono le uniche forze in grado di rovesciare il potere dello zar. «Ma sembrano salde sotto la sua ala».