Il punto

Chi si occupa di monitorare il Reno e la sua furia distruttiva?

Lunedì il rischio di esondazione di uno dei corsi d'acqua più lunghi d'Europa era concreto: «Se dovesse succedere, potremmo subire danni fino a 20 miliardi di franchi»
Daniel Dietsche, dell'Internationale Rheinregulierung, che sorveglia il carico di uno dei corsi d'acqua più lungo d'Europa; sullo sfondo, alcune immagini tratte dai media sociali del Reno durante il picco dell'afflusso di ieri, lunedì
Jona Mantovan
29.08.2023 13:15

I tecnici che sorvegliano uno dei più lunghi fiumi d'Europa, il Reno, hanno temuto il peggio ieri, lunedì. Per fortuna l'allarme è poi rientrato, lentamente. E il personale dell'Internationale Rheinregulierung ha tirato un sospiro di sollievo. «Grazie a Dio, la portata massima è stata di 2.000 metri cubi al secondo, registrata attorno alle 15 di lunedì», afferma Daniel Dietsche, in collegamento dalla sede di St. Margrethen, nel canton San Gallo. L'organizzazione transfrontaliera è nata da un trattato tra Austria e Svizzera nel 1892 e si occupa della gestione di questa parte del fiume, seguendo i vari progetti di arginatura. Argini, questi, che tecnicamente oggi sono in grado di far fronte a un afflusso di 3.100 metri cubi al secondo. Per mettere in prospettiva questo valore, si tratta dell'equivalente di capacità di una piscina olimpionica riempita ogni secondo. Una furia distruttiva. Questa placida striscia d'acqua, in realtà, è come un enorme drago dormiente, pronto a scatenarsi con l'arrivo del brutto tempo. Ma cosa succederebbe se questa creatura dovesse risvegliarsi e superare le dighe faticosamente costruite nel corso di svariate decine di anni? «L'area in questa parte della Svizzera è densamente costruita. Ci sono parecchi edifici, località... Se il Reno inondasse questa parte del Paese, rischieremmo danni da un minimo di 10 fino a un massimo 20 miliardi di franchi», spiega l'esperto. Che aggiunge: «Il danno maggiore che può provocare un'alluvione è qui, nella Svizzera orientale, nella bassa valle del Reno. Danni decisamente più grandi di quel che potremmo aspettarci, ad esempio, nella città di Zurigo».

I social media, d'altronde, pullulano di foto e video catturati nella zona proprio nei momenti di portata massima. Il Reno era tre volte più grande del normale e in alcuni punti straripava, lambendo la vegetazione cresciuta ai bordi del suo normale corso. Le strade principali sono state chiuse mentre a Diepoldsau e Lustenau si è visto il peggio, con il fiume uscito dal suo normale corso, ma pur sempre restando all'interno degli argini più esterni. Mentre alcuni militi della protezione civile sono stati mobilitati per verificare eventuali falle nel sistema di protezione. 

«Da venerdì eravamo in allerta con previsioni di un possibile fenomeno di acqua alta che poteva aggirarsi a portate variabili tra i 1.700 e i 3.100 metri cubi al secondo. Un valore del genere raggiunge la portata massima che siamo in grado di gestire con le nostre strutture. Lunedì, sulla base delle previsioni meteorologiche e dell'Ufficio federale dell'ambiente, abbiamo deciso di mobilitare il nostro personale tecnico affinché potesse effettuare tutti i preparativi in vista di questo aumento del livello delle acque», illustra il tecnico 55.enne. 

Come detto, il picco è stato raggiunto alle 15. Ma, anche nel suo momento peggiore, già ieri si intravvedeva qualche spiraglio di luce all'orizzonte. «Contrariamente alle previsioni, non abbiamo raggiunto quei famigerati 2.700 metri cubi al secondo, ma solo 2.000. Vuol dire che avevamo ancora un buon margine di altri mille metri cubi al secondo. Inoltre, il livello dell'acqua stava già scendendo. Abbiamo quindi sospeso le operazioni, anche se per tutta la giornata di lunedì abbiamo verificato costantemente la situazione per assicurarci che il livello dell'acqua non tornasse a salire». 

Non ci aspettavamo delle precipitazioni così abbondanti nel bacino idrografico del Vecchio Reno. Pensavamo che avremmo avuto più deflussi su questo tratto internazionale. Ma, grazie a Dio, abbiamo raggiunto solo i 2.000 metri cubi

Una sorpresa

«Nelle ultime ore di lunedì abbiamo mandato una squadra di una dozzina di persone sul lato svizzero e un'altra dozzina su quello austriaco per valutare la situazione e prendere le misure necessarie», dice ancora Dietsche, reduce da una riunione con l'Ufficio federale dell'ambiente, a Berna. «Abbiamo discusso nuovamente della situazione metereologica e ci hanno confermato che le precipitazioni si attenueranno e che al momento non c'è da aspettarsi nessun aumento delle portate».

Ciò non toglie, però, la sensazione di sorpresa che si era respirata con l'arrivo delle imponenti piogge. «Sì, non ci aspettavamo delle precipitazioni così abbondanti nel bacino idrografico del vecchio Reno. Pensavamo che avremmo avuto più deflussi su questo tratto internazionale. Ma, grazie a Dio, abbiamo raggiunto solo i 2.000 metri cubi».

Il direttore dei lavori sulla parte svizzera del Reno dell'Internationale Rheinregulierung ricorda poi i tre eventi più catastrofici mai registrati nell'area. Il primo, ben documentato, risale al 1927, con la rottura dell'argine a Buchs. «Poi nel 1950, con la grande alluvione e infine nel 1987, quando avevamo registrato una portata di 2.700 metri cubi, vale a dire 700 in più rispetto a oggi».

In cantiere abbiamo un nuovo progetto che costerà 1,4 miliardi di franchi: costruire tutti gli argini e le varie dighe, con un aumento della capacità di afflusso che passerà dagli attuali 3.100 metri cubi massimi a 4.300. Inizieremo nel 2030 e ci vorranno almeno vent'anni per il suo completamento. Finiremo, quindi, attorno al 2050

Il futuro

Statisticamente, un evento simile a quello registrato lunedì si verifica ogni vent'anni. Anche se il Reno si era già ingrossato in maniera del tutto simile anche nel 2016. Il pericolo, per il momento, sembra scampato. La gigantesca creatura tornerà a dormire prima di scatenarsi di nuovo. Ma l'organizzazione transfrontaliera per la gestione e il controllo del Reno non se ne sta a guardare. 

Alle porte c'è un nuovo megaprogetto. «Costerà 1,4 miliardi di franchi», spiega il nostro interlocutore. «Si tratta di costruire tutti gli argini e le varie dighe, con un aumento della capacità di afflusso che passerà dagli attuali 3.100 metri cubi massimi a 4.300». Una nuova struttura. Più robusta e con una maggiore capacità, insomma. Un progetto a lungo termine. «Prevedo che inizieremo attorno al 2030 e ci vorranno almeno vent'anni per il suo completamento. Finiremo, quindi, attorno al 2050», conclude Dietsche.

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