Italia

Cinque anni fa il crollo del Ponte Morandi, una ferita ancora aperta

La sentenza di primo grado è attesa (forse) per il 2024 – I parenti delle vittime continuano a chiedere che i colpevoli paghino
© KEYSTONE (Luca Zennaro/ANSA via AP)
Red. Online
14.08.2023 10:30

Sono trascorsi cinque anni. Erano le 11.36 del 14 agosto 2018 quando una parte del Ponte Morandi crollò, causando 43 vittime, 11 feriti e 566 sfollati. La pioggia batteva forte e, sotto il nubrifagio, un terribile boato. Una nuvola di polvere, e una parte del ponte non c'era più. Era collassata, trascinando con sé le auto. Dentro, persone che si recavano al lavoro, al porto, in vacanza. Subito hanno iniziato a circolare sul web delle immagini. Impressionanti, troppo difficili per ritenerle vere. Il resto è solo caos. Sirene, vigili del fuoco, soccorsi, gente in fuga. Intere famiglie spezzate. Oggi al posto di quella voragine c'è un nuovo ponte, il San Giorgio, inaugurato nell'agosto del 2020. Il 7 luglio 2020 è iniziato il processo con 59 imputati, centinaia di persone hanno chiesto risarcimenti.

«È una ferita ancora aperta per tutti noi – ha detto il presidente della Regione Giovanni Toti – e soprattutto per le famiglie delle 43 vittime a cui va il mio pensiero. Dal processo in corso, attraverso le testimonianze e le parole degli indagati, sono emerse verità che ci hanno lasciati sgomenti. Il mio auspicio è che i giudici dimostrino la colpevolezza di chi si è reso responsabile di questa immane tragedia, che ha colpito l'Italia intera. È irrinunciabile mantenere alta l'attenzione e continuare a ricordare quanto accaduto. Genova e la Liguria non potranno mai dimenticare ma, al contempo questa città e tutta la regione sono state capaci di reagire con coraggio e determinazione, diventando un esempio per l'Italia e per il mondo».

Anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, si è espresso con un messaggio, in occasione dell'anniversario: «Il crollo del Ponte Morandi a Genova ha rappresentato un drammatico appello alle responsabilità di quanti sono incaricati di attendere a un pubblico servizio, sia di coloro che provvedono, sul terreno, alla erogazione agli utenti, sia di chi deve provvedere alla verifica delle indispensabili condizioni di sicurezza. Un patrimonio la cui manutenzione e miglioramento sono responsabilità indeclinabili. Il trascorrere del tempo non attenua il peso delle responsabilità per quanto accaduto. Ed è responsabilità fare giustizia, completando l'iter processuale, con l'accertamento definitivo delle circostanze, delle colpe, delle disfunzioni, delle omissioni».

Il processo

Tra i 59 imputati ci sono dirigenti, funzionari e tecnici di Autostrade per l’Italia, ministero delle Infrastrutture e Spea, Società progettazioni edili autostradali. Le accuse sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Sono quasi 170 i testimoni dell’accusa. Le indagini, prima del rinvio a giudizio, sono durate tre anni. La sentenza di primo grado è attesa per il 2024, ma il procuratore capo di Genova, Francesco Pinto, già lo scorso anno annunciava che «sarà difficile rispettare i parametri costituzionali della "ragionevole durata"».

Lo scorso maggio, la testimonianza che ha fatto molto discutere e che ha riaperto ferite mai curate. «Dal 2010, otto anni prima del disastro, tutti sapevano che il ponte Morandi poteva crollare». A dirlo è stato Gianni Mion, l'ex amministratore delegato della holding dei Benetton, uno dei principali dirigenti della società che gestiva il ponte. «In una riunione emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che creava perplessità tra i tecnici sul fatto che potesse restare su. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e mi risposero "ce la autocertifichiamo". Dopo quella riunione avrei dovuto fare casino, ma non l'ho fatto. Forse perché tenevo al mio posto di lavoro». Secondo gli investigatori i tecnici di Spea ammorbidivano i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i lavori. Era stato scoperto, inoltre, che le barriere fonoassorbenti montate su alcuni tratti autostradali erano difettose e si erano staccate causando problemi agli automobilisti.

Ma per avere giustizia bisogna ancora aspettare.

Egle Possetti, presidente del Comitato «Parenti vittime ponte Morandi», ha perso la sorella nel crollo del ponte. Claudia, in auto per andare al mare, aveva accanto Andrea, l'uomo sposato 22 giorni prima, e dietro i figli avuti nel primo matrimonio, Manuele, 16 anni, e Camilla, 12, oltre alla cagnolina Stella. Sono morti tutti. Egle Possetti in questi giorni ai giornali continua a ripetere: «Lo Stato ci ha abbandonato. I miei genitori ottantenni non hanno ricevuto neppure un telegramma di condoglianze. Nessuno ci ha cercato. Ci ha chiamato solo il Comune di Genova due mesi dopo quel 14 agosto 2018. Vorrei che tutti noi e il nostro dolore diventassimo granelli di sabbia per inceppare il meccanismo di un sistema di sicurezza che non ha funzionato».