Quattro anni dal crollo del Ponte Morandi: «I brividi ogni volta che passo di lì»
Sono trascorsi quattro anni. Erano le 11.36 del 14 agosto 2018 quando una parte del Ponte Morandi crollò, causando 43 vittime, 11 feriti e 566 sfollati. La pioggia batteva forte e, sotto il nubrifagio, un terribile boato. Una nuvola di polvere, e una parte del ponte non c'era più. Era collassata, trascinando con sé le auto. Dentro, persone che si recavano al lavoro, al porto, in vacanza. Subito hanno iniziato a circolare sul web delle immagini. Impressionanti, troppo difficili per ritenerle vere. Il resto è solo caos. Sirene, vigili del fuoco, soccorsi, gente in fuga. Intere famiglie spezzate.
Oggi al posto di quella voragine c'è un nuovo ponte, il San Giorgio, inaugurato nel mese di agosto del 2020. Ma rimangono aperte le tante, troppe domande. Com'è possibile che un ponte venga giù in quel modo? Il ponte Morandi era lungo oltre un chilometro, con tre piloni di cemento armato a sostenerlo.
La testimonianza
Tra le tante persone che oggi tornano con la mente al 14 agosto del 2018 c'è anche Roberto Bertucci, che ha sfiorato la tragedia. Già, perché alle 11.36 di quattro anni fa si trovava sul ponte, al volante del suo camion. Dal punto in cui il viadotto ha ceduto lo dividevano poco più di una decina di veicoli. Era sceso dal posto di guida quando aveva visto uomini, donne e bambini che correvano nella sua direzione. Aveva percepito la gravità di quello che stava accadendo. Paura, dispiacere, rabbia. Era fuggito e si era messo al sicuro insieme agli altri. Con lui c’era anche l’uomo che si trovava sul camion che si è fermato sull’orlo del precipizio, quel mezzo pesante con la parte anteriore blu e il rimorchio verde le cui immagini hanno tristemente fatto il giro del mondo.
«Se torno con la mente a quel giorno mi viene la pelle d'oca - ci confessa -. Rivedo davanti agli occhi la gente che corre in autostrada, con il terrore negli occhi. Una cosa che non è per niente normale. Penso alle persone che hanno perso la vita, alle loro famiglie». Il signor Bertucci per due anni non è più passato di lì. «Prendevo l'uscita prima e rientravo in autostrada una volta superato, anche se questo comportava allungare un pochino i chilometri e i tempi di percorrenza». Poi, il 14 agosto del 2020 ha trovato il coraggio: «Mi sono detto "se deve succedere, succede indipendentemente dalla mia volontà". Da allora ho i brividi ogni volta che percorro quel tratto, e devo dire che capita che io ci passi anche due volte al giorno». Per superare il trauma, lui si è aggrappato a un mantra: la vita deve andare avanti.
Quella che gli è rimasta è la rabbia. «Se i responsabili avessero prestato attenzione alla manutezione del ponte, tutto questo non sarebbe successo. In fondo era un compito che spettava a loro. L'unica speranza è che questa tragedia abbia acceso l'attenzione su questo problema, considerato pure che in seguito sono capitati altri incidenti. Ma questi signori parlano ancora come se non fosse accaduto nulla. Mentre le persone sono morte, altre sono rimaste traumatizzate e hanno messo in ginocchio un'intera città, per anni».
Il processo
Il 7 luglio è iniziato il processo per fare luce sulle responsabilità della tragedia. Ma la prima udienza è durata pocchissimo. Sono unicamente state presentate le richieste di costituzione di parti civili. Ed è finita, «con anticipo clamoroso» come sottolineato dal presidente del collegio, Paolo Lepri. Se ne riparlerà il 12 settembre. Sono 59 le persone imputate per il crollo del viadotto autostradale . Tra gli imputati ci sono ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava di manutenzioni e ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Le accuse, a vario titolo, sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d'atti d'ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Stando all'accusa, molti degli imputati «immaginavano che il ponte sarebbe potuto crollare», ma non si mossero in tempo e non fecero nulla. Aspi e Spea sono uscite dal processo patteggiando circa 30 milioni. Il Comitato vittime del crollo di ponte Morandi cerca giustizia: «Noi abbiamo tante aspettative - ha dichiarto la presidente Egle Possetti -. Che il processo faccia chiarezza sulle cause e sulle responsabilità che hanno portato all'uccisione dei nostri famigliari, perché altrimenti la morte dei nostri cari sarà stata inutile e loro non potranno riposare in pace. È la punta di un iceberg perché i problemi non ce li aveva solo il ponte Morandi, ma tutte le infrastrutture italiane, che devono essere controllate in modo adeguato. La perizia indipendente individua le cause del crollo nella scarsità se non assenza di manutenzione. Già dal 2013 era nota la pericolosità di queste infrastruttura e non si è fatto nulla».
Ma il 12 settembre potrebbe non essere la data giusta. Gli avvocati genovesi, tramite decisione all’unanimità della Camera Penale ligure, hanno infatti indetto uno sciopero per i gravi problemi di palazzo di giustizia e per carenze di personale.
La commemorazione
Nel corso della matinata di oggi, il sindaco Marco Bucci ha letto il messaggio di cordoglio del premier Mario Draghi e ha aggiunto: «Il mio pensiero, per primo, va alle vittime e ai loro parenti. Genova non dimentica, non vuole dimenticare. Il secondo pensiero va alla città che molto ha sofferto in tutte le sue componenti. Costruiremo il memoriale. Il terzo pensiero è rivolto al nostro futuro, il monito di oggi dice che queste cose non devono più ripetersi. Genova non dimentica, vuole crescere, vuole giustizia». Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha aggiunto: «Porteremo con noi il ricordo del 14 agosto 2018 fino all'ultimo giorno della nostra vita. Oggi è il giorno della memoria e della rabbia, lo capisco bene, perché non dobbiamo dimenticare che quel ponte non sarebbe dovuto crollare nella civile e moderna Italia. Il tempo non asciuga le lacrime ma dà una prospettiva al crollo del ponte: la prima cosa che resta da fare è avere la verità che ristabilisce il rapporto di fiducia tra i cittadini e lo Stato, spero che arrivi presto». Molto applaudite le dure parole di Egle Possetti, portavoce del comitato parenti vittime: «Orgoglio e percezione del cambiamento sono sentimenti che non abbiamo mai provato in questi anni. Abbiamo però grande fiducia in chi sta cercando la verità. Con la cessione di Aspi si è compiuto un atto che non potremo mai accettare. Le responsabilità morali sono chiare, il processo stabilirà anche quelle penali. Non basta cambiare nome, spendere miliardi in pubblicità per cancellare il fango». Alle 11.36 un minuto di silenzio con il suono delle campane, delle sirene delle navi in porto e di quelle delle ambulanze dei soccorritori. Subito dopo, la composizione di Nevio Zanardi eseguita da Cora Greco al violoncello, interrotta alla 43. nota.