Come si sta combattendo contro il revenge porn
Revenge porn, ovvero la vendetta esposta su internet, con la diffusione di contenuti intimi senza il consenso della persona interessata. Un fenomeno che è partito proprio come una vile forma di ritorsione verso l’ex partner, una volta finita la relazione, ma che racchiude al suo interno altre forme simili, come il deepfake. Una pratica sempre più diffusa e assolutamente illegale, alla quale si fatica ancora a mettere un freno legislativo univoco. Il Parlamento europeo si sta muovendo per garantire un’uniformità di legge contro il revenge porn, dato che finora in Europa la normativa in materia spetta ai singoli Stati membri. Ma i problemi non mancano.
Cybercrimine
I ricercatori stimano che nell’Unione europea siano diverse migliaia le persone oggetto di questo tipo di diffamazione virtuale. Soprattutto donne. Ma il fenomeno colpisce anche gli uomini e sempre di più i giovani. L’argomento è stato recentemente sollevato dal portale Wired. I danni che questi comportamenti creano sono traumatizzanti, profondi e duraturi nel tempo. Perché la rimozione definitiva di queste immagini, molte volte prese senza che la vittima ne sia consapevole, è praticamente impossibile da realizzare, una volta diffuse nella rete di internet. Purtroppo riuscire a porre dei limiti oggettivi ai reati virtuali non è cosa semplice. Spesso questi non sono ancora nemmeno presenti nei testi di legge, in quanto si tratta di forme di criminalità moderna e difficilmente definibile entro limiti canonici, vista la vastità della rete. Va quindi creata in molti casi una legislazione ad hoc.
L’Unione europea e le leggi
In Europa c’è sensibilità verso il tema e ci si sta muovendo in modo da poter fornire un’adeguata protezione alle vittime. In Francia, ad esempio, vige, dal 2016, a livello di Codice penale, una normativa che determina – per chi si macchia del reato di revenge porn – la detenzione fino a due anni e pene pecuniarie fino a 60 mila euro. Mentre nella vicina Italia il fenomeno ha cominciato a essere delineato giuridicamente a partire dal 2016, arrivando nel 2019 all’adozione di una disposizione specifica e di sanzioni contro questo reato. Ma, trovandoci in un campo delicato e davanti a vittime che necessitano di una protezione accresciuta, la sensazione è quella di poter fare sempre di più e di unificare il diritto in questa materia.
Il Digital Services Act
Il Parlamento europeo doveva infatti adottare una nuova legge sui servizi digitali, il Digital Services Act (DSA), che avrebbe potuto cambiare le cose in materia di regolamentazione e repressione del revenge porn. In particolare, era previsto l’articolo 24b del DSA, contenente nuove regole per arginare il fenomeno. Ma il progetto non è andato in porto. L’approvazione della proposta di legge al Parlamento europeo è slittata. Il motivo? Come detto, si tratta di un campo molto delicato, nel quale è complicato intervenire. Legate a queste nuove disposizioni, come riporta Wired, ci sarebbero delle complicazioni di ordine tecnico e di protezione della privacy. Vediamo di capire meglio di cosa stiamo parlando.
Privacy e precedenti
Il Digital Services Act, cercando di monitorare i contenuti caricati in rete, avrebbe di fatto costretto alla verifica dell’account – attraverso numero di telefono e indirizzo mail – di chiunque volesse caricare un contenuto sulle piattaforme pornografiche. Oltre ai timori sul rispetto della privacy di chi, consensualmente, vuole rendere disponibile e condividere questo genere di contenuti, c’era anche la paura di creare un precedente, con il rischio che poi un simile protocollo si estendesse a tutte le altre piattaforme social e di condivisione come Facebook, Twitter o TikTok.
Le disposizioni avrebbero anche avuto delle ripercussioni tecniche, imponendo alle aziende che gestiscono le piattaforme di assumere e formare il loro personale in materia di abusi sessuali virtuali, controllando le immagini postate e insegnando loro a riconoscere una pubblicazione che lede la sfera intima di una persona da una che invece viene condivisa consensualmente. E, oltre a questo, di disporre di un buon numero di moderatori, pronti a rimuovere immediatamente i contenuti su segnalazione delle vittime.
La non accettazione di questa nuova disposizione da parte del Parlamento europeo ha generato scontento in diverse parti, deluse in primis le organizzazioni che si occupano della tutela delle donne. L’adozione di questa normativa non solo avrebbe fornito uno strumento simbolico e giuridico alle vittime, ma avrebbe anche acceso i riflettori su questo genere di reati. «Avrebbe fatto una differenza enorme» ha affermato la parlamentare europea Alexandra Geese. Ma il Parlamento europeo ha però deciso – almeno per il momento – di dare la precedenza ad altri temi.
Per capire un po’ meglio i contorni del problema, abbiamo affrontato l’argomento insieme a Bertil Cottier, professore della facoltà di comunicazione, cultura e società dell’USI.
Partiamo
dall’inizio, come mai il Parlamento europeo non ha approvato queste
disposizioni?
«La
decisione di non mantenere l'articolo 24b – che non era nella proposta
originale della Commissione ma è stato introdotto da una deputata verde durante
i dibattiti iniziali sul regolamento sui servizi digitali – è stata presa
durante gli ultimi negoziati tra il Parlamento e il Consiglio europeo per
trovare diversi compromessi tra le due istituzioni al fine di finalizzare l'adozione
del DSA». Negoziati che, spiega Cottier, si sono svolti a porte chiuse. «Sembra
che il Consiglio abbia voluto limitare i compromessi, quindi ha chiesto al
Parlamento di fissare delle priorità e quest'ultimo non ha messo il revenge
porn tra le sue priorità».


Quali
sono gli strumenti di cui può disporre chi è vittima di questo reato?
«All'inizio si pensava che il nuovo
regolamento sulla protezione dei dati, entrato in vigore nel 2018, che ha
seriamente rafforzato le possibilità di bloccare i contenuti distribuiti senza
il consenso della persona interessata, avrebbe permesso di rimuovere anche i
video di revenge porn». Tuttavia questa misura non si è rivelata utile,
continua Cottier. «Gli avvocati delle vittime hanno dovuto constatare che
questo nuovo strumento non è efficace, poiché pone tutto il peso dell'azione
legale sulla vittima: spetta a quest’ultima prendere l'iniziativa. Mentre le
piattaforme non hanno alcun dovere di diligenza o di controllo». Mentre, una
volta diffuso, il contenuto rimane sempre accessibile. Il nostro interlocutore
ci conferma che una volta pubblicato qualcosa su internet non c’è modo di avere
la certezza della sua completa rimozione: «È così. Ed è anche confermato da
parte di specialisti dell’informatica».
Come fare
allora per proteggere le persone coinvolte?
«A marzo – ci risponde Cottier –, la Commissione ha
lanciato una proposta di direttiva UE per lottare contro la violenza sessuale.
In questo testo si propone, tra l'altro, di criminalizzare la condivisione di
contenuti sessuali senza il consenso di tutti i protagonisti. È possibile che
la questione del revenge porn sia di nuovo sul tavolo durante la discussione di
questo nuovo testo».


E in
Svizzera quali sono le disposizioni legali applicabili?
Non esiste ancora una normativa
specifica contro il revenge porn, ma le vittime sono tutelate in alcuni casi
tramite altre disposizioni legali. Tutto ciò che si situa sotto a questo
cappello è infatti un comportamento illecito che va a ledere la sfera intima
delle persone. Per questo in Svizzera il reato cade sia sotto disposizioni
civili che penali. A livello penale, spiega Cottier, siamo nella sfera di
competenza dei delitti contro l’onore e la sfera personale riservata. In
particolare, parliamo del reato di diffamazione che va a punire la persona
colpevole della diffusione su internet. A livello civile, si applicano le
disposizioni che proteggono la privacy degli individui «per ottenere il blocco
dei video sulle piattaforme che li ospitano». Anche se la protezione offerta in
questo caso alle vittime non è delle migliori. «Queste disposizioni offrono
solo una protezione limitata, poiché sono soggette a condizioni molto
restrittive». Ma le forze politiche si stanno muovendo per rispondere alle
richieste di una migliore tutela, anche sull’esempio di altri Paesi europei:
«La Commissione giuridica del Consiglio degli Stati ha proposto nel febbraio
2022 di completare il Codice penale con una disposizione speciale che punisca
espressamente il revenge porn, come già esiste in Francia, Irlanda e Belgio»
continua Cottier. Anche se recentemente, precisa, il Consiglio federale ha
espresso il suo disaccordo con questa proposta: «La disposizione è troppo
vaga». L’idea è quella di aspettare il futuro dibattito sulle misure per
lottare in modo generale contro il cyberharassment (le molestie virtuali in senso lato),
spiega il nostro interlocutore, lasciando aperta la possibilità che a breve
verrà trovata una soluzione. «Vedremo cosa dirà il plenum del Consiglio degli
Stati nel prossimo futuro».
