«Con il consenso presunto si statalizzano gli organi»
Il 15 maggio si vota sulla revisione della Legge sui trapianti, oggetto di referendum. Fra i contrari ad abbandonare il sistema del consenso esplicito nella donazione degli organi a favore del consenso presunto (diventerebbe donatore chi non si oppone quando è in vita) c’è il consigliere nazionale della Lega dei ticinesi Lorenzo Quadri.
Ogni anno, fra le 60 e le 70 persone in Svizzera muoiono per la mancanza di un organo compatibile. Il sistema del consenso presunto è stato voluto per aumentare la disponibilità di organi. Perché lei si oppone?
«Le persone muoiono perché sono malate, non perché qualcun altro non ha donato gli organi. Questo va sempre tenuto presente, altrimenti si stabilisce un nesso distorto di causa-effetto.
Detto questo, è certamente importante e positivo aumentare il numero di organi a disposizione della medicina dei trapianti. Ma questo obiettivo non va raggiunto trasformando la donazione di organi in un obbligo statale; in simili condizioni, peraltro, non si potrebbe nemmeno più parlare di “donazione”, poiché non esistono donazioni obbligate. Ci sarebbe, è vero, la possibilità di chiamarsi fuori iscrivendosi in un apposito registro (“opting out”). Ma il modello dell’ “opting out” viene utilizzato con estrema parsimonia nei rapporti tra cittadino e Stato, per ovvi motivi. Applicarlo nel campo del più fondamentale dei diritti costituzionali, quello all’integrità fisica, non è accettabile. Compito dello Stato è tutelare i diritti fondamentali dei cittadini, non certo violarli. Lo slogan delle femministe anni Settanta era: “L’utero è mio e lo gestisco io”. Con il consenso presunto si creerebbe la situazione opposta: il corpo non è più mio e lo gestisce lo Stato. La soluzione votata dalla maggioranza del Parlamento comporta la statalizzazione del corpo umano. Il numero di donatori di organi va aumentato convincendo sempre più persone a dare esplicitamente il proprio consenso all’espianto. Non certo decidendo d’ufficio che tutti sono consenzienti a meno che dichiarino il contrario».
Il passaggio dal modello del consenso esplicito a quello del consenso presunto consentirà di aumentare il numero di donazioni?
«È una supposizione. La prova che sia davvero così non esiste. Ed è uno dei motivi per cui la Commissione nazionale di etica in materia di medicina umana è contraria al consenso presunto: un fatto che ritengo significativo. In Ticino, con il sistema del consenso esplicito, abbiamo un tasso di donatori non dissimile da quello di Paesi dove è in vigore il consenso presunto. Ciò significa che anche col sistema attuale è possibile aumentare il numero di donatori, tramite l’informazione ed il lavoro del personale medico, senza bisogno di inventarsi l’ennesimo obbligo statale».
Se all’atto pratico cambia poco, perché opporsi a questo sistema?
«Come dice il nome, il consenso presunto è solo “presunto”. Dunque potrebbe non esserci. Di conseguenza, con questo modello ci saranno persone che, per un motivo o per l’altro, non hanno esplicitato nelle dovute forme la propria contrarietà. A queste persone verrebbero espiantati gli organi contro la loro volontà. Il sistema del consenso presunto contiene inoltre una forte componente di pressione morale.È facile immaginare che non tutti se la sentiranno di iscriversi nel registro dei contrari. In particolare le persone più deboli, che potrebbero non conoscere questa possibilità. O che magari temono, esponendosi, di venire bollati come “renitenti” e di andare incontro a ritorsioni».
Che cosa conta di più? L’interesse a salvare vite o la salvaguardia del diritto all’integrità fisica?
«Esiste senz’altro un interesse pubblico a mettere più organi a disposizione della medicina dei trapianti, ma questo interesse pubblico non può avere maggiore importanza del diritto fondamentale del singolo cittadino di decidere sui propri organi e sulla propria morte».
Come si pone di fronte alla sofferenza delle persone in lista d’attesa e dei loro congiunti, sapendo che un no potrebbe aggravare la loro situazione?
«Non c’è la garanzia che un sì la migliori. Sono senz’altro favorevole all’aumento dei donatori, ed invito tutti quanti sono intenzionati a donare gli organi ad esplicitare il proprio consenso. Questo referendum ha permesso di aprire una discussione sul tema. Votare no il 15 maggio non significa essere contrari alla donazione di organi, ma solo al passaggio dal consenso esplicito al consenso presunto, che è un consenso fittizio inventato dallo Stato».
Il suo collega al Nazionale Kurt Fluri (PLR) ha dichiarato: «Il rischio che gli organi vengano prelevati da qualcuno che potrebbe non averlo voluto è meno importante per me della possibilità di preservare e salvare vite». Come replica?
«Se si giustifica una violazione sostanziale del diritto all’integrità fisica motivandola con un interesse pubblico di tipo sanitario, il prossimo passo sarà l’obbligo di vaccinazione contro il Covid, obbligo cui infatti il collega Fluri sarebbe stato favorevole se non ci fossero stati impedimenti legali. Mi pare che quello del collega Fluri sia un approccio piuttosto creativo e non molto “liberale” nei confronti dei diritti costituzionali dei cittadini. L’integrità fisica è uno di essi, e le persone candidate all’espianto di organi ne sono in possesso. Affinché la limitazione di un diritto fondamentale sia consentita occorre una base legale, un interesse pubblico e la limitazione deve essere proporzionale. La proporzionalità implica anch’essa dei requisiti. Il consenso presunto non adempie a questi presupposti. Non esiste un diritto ad impossessarsi degli organi altrui».
Se non con il consenso presunto, già praticato in molti altri Paesi, come si potrebbe aumentare la disponibilità alla donazione?
«Ci sono alternative per stimolare i favorevoli alla donazione degli organi a palesare il proprio consenso senza bisogno di abbandonare il principio del consenso esplicito. L’esempio ticinese lo dimostra. A parte le campagne informative ed il dialogo tra medici e pazienti, ci sono ad esempio Paesi che associano la tessera di donatore di organi alla patente di guida, con richiesta annuale di rinnovare o revocare la propria disponibilità. Oppure modelli che prevedono che i donatori vengano avvantaggiati in caso necessitino essi stessi di una donazione».
Il consenso presunto in senso lato prevede comunque il coinvolgimento dei parenti se non ci sono indicazioni da parte del defunto. All’atto pratico, dove sta il problema allora rispetto ad oggi?
«La decisione di donare gli organi deve essere presa dalla persona direttamente interessata. Il coinvolgimento dei parenti li mette ulteriormente sotto pressione. Il donatore ideale è un giovane vittima di un incidente. Di solito i genitori sono ancora vivi, e vogliono fare di tutto per salvare il proprio figlio o la propria figlia. Questi genitori si troverebbero a decidere sull’espianto degli organi in una situazione drammatica, aggravata dalla consapevolezza che da loro ci si attende un responso positivo. Gli organi non vengono estratti da un cadavere freddo. Se il donatore si trova in stato di morte cerebrale, vuol dire che è morto il cervello, ma non tutto il resto».
Non è esagerato dire che lo Stato mette in piedi un’officina di pezzi di ricambio?
«Col consenso presunto lo Stato si appropria dei corpi dei cittadini e si arroga il diritto di distribuirne gli organi. Il parallelismo con officine e pezzi di ricambio è provocatorio, ma non così fuori posto. Il consenso presunto comporta la statalizzazione degli organi».
In caso di sì, le autorità dicono che sarà necessario un grosso sforzo di informazione. I contrari però contestano che sarà possibile informare compiutamente tutta la popolazione adulta. Perché?
«Presupposto per un intervento medico è il consenso informato del paziente. Questo vale anche per il consenso presunto. Ma non sarà possibile informare compiutamente su un tema complesso come il trapianto di organi 6,5 milioni di adulti residenti in Svizzera, inclusi gli stranieri che non parlano le lingue nazionali. Senza un grado di informazione sufficiente a creare la consapevolezza richiesta, un consenso (anche se presunto) non può dirsi informato. Quindi non è valido».